Spy Party, [21/07/2010] Deliri di onnipotenza

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^Nihal88^
view post Posted on 15/11/2010, 23:36




Titolo: Spy Party
Autore: RonyLupin/^Nihal88^
Fandom: Host Club
Rating: Per tutti
Personaggi: Kyouya Ootori, Haruhi Fujioka, Mei Yasumura, Yoshio Ootori
Pairing: KyoHaru (facoltativo)
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 3088 parole
Avvertimenti: Nessuno
Genere: Demenziale, Comico, Commedia
Disclaimer: Per l’ennesima volta, vi comunico che l’Host Club non mi appartiene, ma è proprietà di Bisco Hatori, Studio Bones, LALA e chi di dovere. Persino le assistenti della Hatori possono vantarci più diritti di me, in quanto io non ci guadagno nulla, loro sì (e viaggiano pure gratis per le ricerche). Io ci gioco e basta.
Umi Ootori, invece, è una mia creazione e ne sono molto gelosa. Siete vivamente pregati di non toccarmela.
Note dell'Autore: Rei Kawakubo esiste davvero ed è una stilista famosa a livello internazionale (fino ad oggi pomeriggio non lo sapevo, lo ammetto), non l’ho inventata io.
La Camera dei Consiglieri, invece, è la Camera Alta del governo Giapponese.
Introduzione alla Fan's Fiction: Era una fresca sera estiva; Haruhi stava davanti alla porta dell’enorme villa Ootori con Mei al suo fianco, una busta da lettere tra le mani e un’espressione molto poco convinta in viso identica a quella dell’amica. Gettò l’ennesima occhiata al cartoncino con eleganti scritte dorate stampate sopra, mordicchiandosi il labbro: Yoshio Ootori, presidente dell’omonimo gruppo, invitava lei e un accompagnatore ad una cena nella sua residenza principale a cui avrebbero partecipato solo i migliori studenti dell’Ouran, alcuni importanti uomini d’affari e eminenti politici giapponesi.




Spy Party



Era una fresca sera estiva; Haruhi stava davanti alla porta dell’enorme villa Ootori con Mei al suo fianco, una busta da lettere tra le mani e un’espressione molto poco convinta in viso identica a quella dell’amica. Gettò l’ennesima occhiata al cartoncino con eleganti scritte dorate stampate sopra, mordicchiandosi il labbro: Yoshio Ootori, presidente dell’omonimo gruppo, invitava lei e un accompagnatore ad una cena nella sua residenza principale a cui avrebbero partecipato solo i migliori studenti dell’Ouran, alcuni importanti uomini d’affari ed eminenti politici giapponesi.
Ad esseri sinceri, la prima reazione di Haruhi dopo aver aperto la busta in pesante pergamena e letto l’invito, era stata quella di fare spallucce e cestinarlo senza troppi problemi: cosa poteva mai interessarle, in fondo, di partecipare ad una festa piena di stupidi ricchi?
Era stata costretta a cambiare idea meno di un’ora dopo quando suo padre, già vestito di tutto punto per andare al lavoro, aprì di scatto la porta del salotto. Aveva la testa china e l’espressione del viso nascosta dai lunghi capelli che gli cadevano davanti, ma Haruhi poteva sentire a pelle la sua disapprovazione per qualcosa che aveva fatto. Quando gli occhi le caddero sulla busta ormai spiegazzata in mano sua, non le ci volle molto a capire che fosse successo.
“Haruhi, perché ho trovato questo,” il cartoncino con l’invito fece improvvisamente la sua apparizione nella mano libera. “Nella spazzatura?”
“Perché guardavi nella spazzatura?” chiese, sinceramente curiosa.
“Questo non ha importanza,” replicò lui, ma Haruhi non poté far a meno di notare che era improvvisamente arrossito sotto al trucco. Strano. “Come hai potuto cestinare l’invito ad una festa nella villa della famiglia di Kyouya-kun? È una scortesia imperdonabile, Haruhi! Tu devi andarci!”
“No, grazie.” Disse, semplicemente, e tornò ad affondare il naso nel libro di matematica su cui stava studiando. Per tutta risposta, Ranka accentuò l’espressione arrabbiata, le si avvicinò e glielo levò di scatto di mano, dandoglielo di piatto in testa.
“Ma che…?!” sbottò la ragazza, alzando lo sguardo sul padre per rimanervi subito di sasso: Ranka la fissava con il labbro tremolante e l’espressione di chi sta tentando in ogni modo di non scoppiare a piangere come un bambino di cinque anni. Per un inquietantissimo attimo, le ricordò Tamaki: il tentativo riusciva molto, molto male ad entrambi.
“Haruhi, come puoi essere così insensibile?” le si inginocchiò di fianco, prendendole le mani tra le sue e dilatando ulteriormente gli occhi da cane bastonato. “Come puoi essere così scortese con la famiglia di Kyouya-kun, che ti ha amorevolmente spedito un invito così bello e a modo e che ha organizzato una festa appositamente per te?”
Haruhi aprì la bocca per esprimere i suoi forti dubbi sul fatto che la festa fosse stata organizzata in suo onore, ma davanti alla disperazione dello sguardo paterno le mancò il coraggio. Sospirò pesantemente, prendendo quello stupido cartoncino in mano.
“E va bene. Andrò. Contento?” annunciò, sperando vivamente che ciò bastasse.
“Oh, la mia bambina!” Ranka le si avventò al collo, stritolandola in un abbraccio e strapazzandola. “Perdonami se sono stata così dura prima! Sono così fiera di te! Sarai splendida! Ho già tutto in mente: dobbiamo solo aggiungerti qualche centimetro con i tacchi e sarai perfetta!”
“Non mi metterò mai dei tacchi.” Fu tutto quello che riuscì a dire, ben sapendo che suo padre non l’ascoltava più, troppo impegnato a fare programmi su quanto sarebbe stata memorabile la serata speciale della sua bambina.

Ovviamente, alla fine i tacchi non se li era messa, optando per un completo maschile: dopotutto ci sarebbero stati anche altri studenti dell’Ouran e anche suo padre, alla fine, aveva convenuto che rivelare la sua natura di ragazza ad una festa organizzata dalla famiglia Ootori – scatenando anche un discreto caos, probabilmente – sarebbe stato un vero e proprio suicidio.
“Ricordami perché sono qui anche io.” Chiese Mei, atona, fissando una volta di più i due inservienti in divisa che accoglievano gli ospiti all’ingresso.
“Pensavo trovassi eccitanti le feste organizzate dai ricchi.”
“In generale, sì. Ma qui parliamo della famiglia di Kyouya: è come andare ad una serata organizzata da un branco di tigri affamate.”
“Dai, non possono essere così male.”
“Haruhi, hanno prodotto Kyouya.”
“D’accordo, diciamo che mi serviva un accompagnatore, e mio padre non è riuscito a prendersi la serata libera.” Ed era vero: suo padre era tornato a casa la mattina successiva all’arrivo dell’invito in lacrime, annunciandole di non poterla accompagnare: a quanto pareva, al locale era attesa una grossa comitiva per un party privato; non avrebbe potuto sperare di avere un permesso nemmeno pregando cinese.
“Fantastico, ora mi sento anche un ripiego. La prossima volta, Haruhi, ricordami di non chiedere: la tua sincerità patologica non è per nulla confortante.”
“Non mancherò.”
“Oh beh, almeno hanno mandato una limousine a prenderci. Non sta andando così male, almeno per ora.” Rimasero in silenzio qualche altro secondo, quindi Mei la guardò nuovamente. “Che facciamo? Entriamo?”
“Beh, suppongo sia necessario…”
I due inservienti in smoking sorrisero loro in modo lezioso, aumentando considerevolmente i timori delle due ragazze sullo scopo di quella serata: che fosse tutto un losco piano per far loro vendere le proprie anime ai riccastri, in perfetto stile Nostro-Signore-Satana-Kyouya?
Una domestica in grembiule venne ad accoglierle all’ingresso e, dopo essersi presentata e aver rivolto loro un profondo inchino, le accompagnò alla vasta sala in cui avrebbero cenato. Una rapida occhiata bastò ad Haruhi per constatare che erano tra le ultime ad arrivare, e che i posti apparecchiati erano molti meno di quel che si aspettasse: dovevano esserci solo i primi classificati nelle graduatorie di classe – quindi non più di nove studenti, lei compresa – più i rispettivi accompagnatori; aggiungendo i membri della famiglia – sei in tutto, secondo quando le aveva detto Tamaki tempo addietro, volendo contare anche il marito della sorella di Kyouya – e una quindicina di ospiti illustri – tra cui riconobbe alcuni importanti politici, medici di fama internazionale e quelli che, probabilmente, erano industriali di successo.
La cameriera le accompagnò ai loro posti, congedandosi poi ricordando loro di chiamarla in caso di bisogno. Non erano sedute da più di una manciata di secondi che si ritrovò qualcuno che ben conosceva attaccato al collo.
“Haru-chan! Credevo non saresti mai venuta, sai?” esclamò Honey, guardandola raggiante. Quindi si voltò verso di Mei, regalandole un sorriso enorme che avrebbe sciolto il cuore anche ad un demone di ghiaccio. Dietro di lui comparve subito l’onnipresente Mori, che salutò entrambe con un cenno della testa.
“La cena sta per essere servita, Mitsukuni. Dovremmo andare ai nostri posti.”
“Ma io voglio restare con Haru-chan!” protestò, sfoderando un broncio tenerissimo e guardando il cugino con le lacrime agli occhi.
Invece di cedere come Haruhi si sarebbe aspettata, però, Mori rimase impassibile; si limitò ad indicare con una mano l’altra estremità del tavolo rispetto a dove si trovavano, dove stavano già portando vassoi e vassoi pieni di torte, pasticcini e budini al cioccolato sotto lo sguardo stupito dei presenti.
“Hanno già servito il tuo menù personalizzato. Non possiamo chiedere loro di spostare di nuovo tutto, non sarebbe educato.”
Le parole – e, soprattutto, lo spettacolo – sortirono i loro effetti: dopo un paio di secondi di osservazione, Honey aveva già lo sguardo perso nella contemplazione di tanto ben di Dio e la bava alla bocca. Schioccò un bacio sulla guancia ad Haruhi e salutò allegramente entrambe le ragazze, annunciando loro che si sarebbero rivisti dopo cena e avviandosi quindi verso il suo posto, saltellando; Mori augurò loro buon appetito e lo seguì silenziosamente.
Mei, che durante la scena si era limitata a spalancare confusa la bocca, si voltò ora verso l’amica che invece manteneva un controllo invidiabile. Da come salutava pacatamente i suoi senpai con la mano, pareva quasi che trovasse tutto perfettamente nella norma, come se fosse effettivamente l’ordine del giorno per lei. E probabilmente lo era, considerò con un sospiro; ma era possibile che, in una scuola piena di ricchi come l’Ouran, i più assurdi fossero capitati tutti a lei?
“Ignorando il menù personalizzato,” iniziò allora, tentando di avviare una conversazione normale. “Non sapevo che Mori fosse il migliore studente della sua classe.”
“Oh, infatti non lo è,” spiegò la voce di Kyouya, mentre il ragazzo si sedeva all’altro lato di Haruhi. “Honey-senpai ottiene facilmente il primo posto in classifica nella sua classe da quando era alle elementari; Mori-senpai è qui in veste di accompagnatore come te.”
“Honey? Davvero?” fu l’unica cosa che Mei trovò da dire, gettando un’occhiata al ragazzo che, forchetta e coltello in mano, si tratteneva a malapena dall’avventarsi famelico sulla prima delle torte davanti a lui. “Questa non me l’aspettavo.”
“Le apparenze ingannano.”
Conclusione saggia, in bocca ad un altro; detta da Kyouya, però, pareva più che altro un modo per ricordare alle ragazze la sua natura da demone travestito da tranquillo diciassettenne. Nel tentativo di cambiare discorso, ad Haruhi venne in mente un unico, importante argomento.
“Allora, senpai, sai per caso in che consiste il menù normale di stasera?”

La cena trascorse senza particolari intoppi o avvenimenti degni di nota. Haruhi mangiò a volontà, ma né lei né Mei parlarono molto con gli altri ospiti: davanti a loro stavano un neurochirurgo e un membro della Camera dei Consiglieri, la cui concentrazione era stata abilmente monopolizzata da Kyouya che, Haruhi non aveva potuto fare a meno di notare, si stava divertendo un sacco. Non che fosse effettivamente visibile, ovvio, ma lo conosceva abbastanza da poterlo affermare senza problemi.
Il loro ospite stava ad un estremo del lungo tavolo, mentre quella che doveva essere la madre di Kyouya – una bella donna dai lunghi capelli neri e uno sguardo stranamente rassicurante per quella famiglia – stava all’altro; degli altri figli nessuna traccia apparente.
Dopo il pasto si trasferirono tutti in una vasta sala elegantemente decorata, dove un’orchestra iniziò a suonare musica classica mentre gli ospiti si dividevano in piccoli gruppi per continuare le conversazioni interrotte.
Erano ancora sulla porta quando la mano tremante di Mei la trattenne per un braccio, fermandola.
“Haruhi, ho le allucinazioni o quella è Rei Kawakubo?”
Silenzio eloquente; una piccola vena iniziò a pulsare alla tempia di Mei.
“Cielo, la tua ignoranza in materia di moda è quasi indecente.” Haruhi assottigliò gli occhi e l’altra sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Rei Kawakubo, la famosa stilista che ha fondato la ‘Comme des Garçons’!”
Haruhi inclinò la testa di lato, senza rispondere, e Mei prese a massaggiarsi le tempie in una sorta di training autogeno.
“Inutile che te ne parli, ho capito.” Borbottò. “In fondo, è solo una delle due persone al mondo per cui potrei uccidere, se mi offrisse la possibilità di lavorare con lei come ricompensa.”
“Perché non vai a parlarle, allora?” chiese Haruhi, perplessa.
“E tu che faresti, scusa?”
Indicò con la mano un punto ben preciso della sala.
“Buffet.” Disse soltanto. “Sono stata ben attenta a lasciare uno spazio nello stomaco mentre cenavo, in sua previsione.”
“Beh, non posso dire che la cosa mi sorprenda,” ridacchiò, prima di voltarsi. “Grazie, Haruhi! A dopo!” E partì per la sua nuova missione, con gli occhi a stella per l’esaltazione.
Sorridendo davanti all’eccitazione dell’amica, Haruhi si diresse a passo famelico verso il lungo tavolo del buffet e, piattino in mano, si mise alla ricerca di altro cibo.
“Sai, recenti studi hanno confermato che esiste un limite alla quantità di cibo che una persona può ingerire in una sola volta.” Disse Kyouya qualche minuto dopo, comparendo dal nulla accanto a lei e rischiando di farle andare un gamberetto in salsa rosa di traverso.
“Senpai, hai mai provato ad annunciarti in qualche modo, quando arrivi?” riuscì a mugugnare, tra un colpo di tosse e l’altro.
“Ma avrei dovuto saperlo,” continuò lui, ignorandola, per poi chinarsi ad osservare le pietanze davanti a lui. “In fondo, non sei esattamente una persona nella norma.”
“Pensavo l’avessi capito ben prima di conoscermi. Dopotutto, conosci Honey-senpai da anni. Ti facevo più perspicace. Errore mio.” Ribatté con un sorriso volutamente sarcastico, per una volta.
“Touché.” Concesse.
“Dove sono i senpai, a proposito?” chiese, aggiungendo delle strane olive – che, però, le parvero appetitose – al piatto.
“Alcuni soci d’affari delle loro famiglie li hanno requisiti,” spiegò, indicando un più che demoralizzato Honey, costretto a restare in mezzo a gente che palesemente non gli interessava invece di fiondarsi sulle torte. Le fece un po’ pena, a dirla tutta. “Fossi in te non sarei troppo dispiaciuta,” aggiunse, intuendo quello che stava pensando. “Dopotutto, è lo scopo della cena intessere nuove relazioni finanziarie con personaggi illustri, e lui ne era ben consapevole quando ha accettato di venire.”
“E perché io sono stata compresa nella lista? Il mondo dell’economia non mi interessa, lo sai.”
“Mio padre ha pensato che avresti dato un tocco esotico alla serata.”
Un lungo silenzio seguì quest’ultima dichiarazione, quindi Haruhi decise di contrattaccare.
“Tu invece perché non sei a caccia di nuove relazioni finanziarie?”
Kyouya ghignò come un gatto e si chinò verso di lei.
“Oh, ma lo sto facendo.” le disse. Quindi sorrise normalmente, alzò la testa e fece un cenno del capo ad un gruppo di uomini tra cui i due che aveva intrattenuto a cena. “Sai, i miei ospiti vedono molto favorevolmente i ricchi che intrattengono relazioni con i meno fortunati; ci fa sembrare meno arroganti e più umanitari.”
Non poté evitare di alzare un sopracciglio: Kyouya umanitario? Ma per favore…
“Sai, senpai, dovresti stare attento: la luce sinistra che ti brilla negli occhi rovina l’apparenza altruista.”
“Oh, non preoccuparti,” rispose, tornando a rivolgersi direttamente a lei. “So quello che faccio.”
“Non ne dubitavo; tu sai sempre quello che fai.” Fece per infilarsi una delle olive strane in bocca, ma Kyouya le bloccò il polso a metà strada.
“Tu invece, a quanto pare, no.” Sbuffò. “Queste olive sono ripiene di peperoncino; l’ultima volta che hai mangiato qualcosa di piccante al Club sei quasi collassata, e preferirei evitare certe scenate durante una festa a casa mia. Se scorri un altro po’ la tavolata troverai il sushi con tonno pregiato che tanto ami.”
Fu il turno di Haruhi di dare sfogo alla sua parte felina ghignando.
“Detta così sembra quasi che tu l’abbia fatto preparare apposta per me, sai?”
Kyouya sbatté gli occhi un paio di volte prima di lasciarle andare il polso, quindi sorrise enigmatico, si voltò e le fece un cenno di saluto con la mano, incamminandosi verso il suo nuovo fan club di riccastri senza fornirle una risposta degna di questo nome. Non che Haruhi desse importanza alla cosa, comunque: non c’era certo bisogno di parole per sapere che anche Kyouya, ogni tanto, poteva dimostrarsi una brava persona.

Dall’altra parte della casa, Yoshio Ootori stava seduto nel suo studio, fissando in silenzio una parete completamente ricoperta da uno schermo televisivo gigante. Se l’era svignata dalla festa senza che nessuno se ne accorgesse, per poter osservare attentamente le registrazioni in tempo reale di diverse microcamere sparpagliate nella sala in cui si svolgeva il dopo cena. Umi, sua moglie, stava sulla soglia e guardava preoccupata il marito, che continuava a mandare indietro il nastro per vedere e rivedere la stessa parte degli avvenimenti della serata: suo figlio che prendeva il polso di Haruhi tra le mani, il ghigno della ragazza, lei che parlava e, quindi, il saluto finale di suo figlio.
“Caro,” tentò. “Non sarebbe il caso di tornare alla festa? I nostri ospiti inizieranno a chiedersi che fine hai fatto…”
Lui non rispose; un paio di secondi dopo, quando già la donna pensava che non l’avesse sentita, la poltroncina di pelle si girò lentamente, e lei si ritrovò a dover trattenere il fiato: suo marito aveva uno sguardo allucinato, come se fosse diventato improvvisamente un invasato. Gli occhi gli brillavano in maniera allarmante, e il ghigno che gli deformava il viso si trasformò ben presto in una risata inquietante. Tamaki, ragazzo facilmente impressionabile, l’avrebbe probabilmente definita satanica. “L’hai visto? Eh? eh? L’hai visto?” esclamò, voltandosi di nuovo verso gli schermi su cui capeggiava, appositamente messa in pausa e ingrandita automaticamente, la scena del polso bloccato. Umi arretrò automaticamente di un passo.
“Caro, inizi a spaventarmi…”
Ma quello non l’ascoltava più, troppo preso dalla contemplazione dell’immagine. Afferrò saldamente i braccioli della poltroncina, chinandosi in avanti con occhi stralunati.
“Sono un genio! È stata un’idea sublime quella di organizzare questa stupida serata perché i due ragazzi si avvicinassero! Ed è successo! Sono il migliore! Presto mio figlio avrà una sposa degna di questa famiglia, e sarà solo per merito mio! Mio! Mio! Mio!
Bene. Perfetto. Gli era completamente partito il cervello. Evviva.
“Yoshio, tesoro,” riprese Umi, tentando di essere diplomatica. “Non credi che sia un po’… prematuro parlare di matrimonio quando i due ragazzi non hanno nemmeno mostrato alcuna intenzione anche solo teorica di, che so, prendersi un gelato insieme o qualche altra stupidaggine adolescenziale del genere?”
Ovviamente, ogni sua parola fu debitamente ignorata.
“… Ora non devo far altro che organizzare qualche altro evento in cui potranno stare da soli, senza nessuno che li disturbi attorno! Dovranno soprattutto essere lontani dai loro amici del Club, in modo che non possano intromettersi in alcun modo!” continuò infatti l’Ootori. “Basterà una piccola, insignificante spinta, e il mio progetto per continuare la dinastia Ootori con discendenti dotati di QI altissimo si avvererà! Oooh, non vedo l’ora di progettare la prossima mossa! Non un genio del male! Sono-”
Che altro fosse Umi non lo seppe mai: in preda ad un grande sconforto, chiuse la porta dietro di sé e si diresse nuovamente verso la festa. Sul serio, amava suo marito, ma quando il suo complesso del dio ci metteva lo zampino diventava inquietante. Tutta un’altra persona rispetto all’uomo tutto d’un pezzo che era di solito. E, ultimamente, la sua fissa principale era quella di accasare il più giovane dei suoi figli con quella povera ragazza plebea dalla spiccata intelligenza, prima di dichiararlo suo erede nella guida dell’impero finanziario di famiglia. Non che la ragazza non le piacesse, anzi: per quanto aveva potuto apprendere dal dossier che Yoshio aveva fatto preparare su di lei, non avrebbe potuto augurare a suo figlio una compagna migliore. Il punto era che dubitava che Kyouya, una volta capito il gioco del padre, l’avrebbe lasciato fare liberamente, ma tentare di spiegarlo anche al marito si era rivelato utile quanto parlare con un muro di gomma, ergo ci aveva rinunciato. Quella sera era stata il suo ultimo tentativo di farlo tornare in sé, ora era pronta a godersi lo spettacolo. Sorrise: se la portata della contromossa di Kyouya fosse stata anche solo la metà di quel che si aspettava – e, conoscendo suo figlio, non ne dubitava – era certa che sarebbe stata epocale.


Edited by ^Nihal88^ - 18/11/2010, 16:56
 
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