Cattiva si innamora, Mean Girls

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hoshiyo
view post Posted on 24/6/2007, 11:05




“Cattiva” si innamora

Ndhoshiyo: vi avverto, non è niente di speciale!!

Parte uno



Karen Smith era stupida.

Certo che lo era, andava male in tutte le materie e dalla sua bocca uscivano solo stupidaggini.

Però era abbastanza intelligente da sapere di essere stupida.

Quindi forse non era poi così tanto stupida.

Era una stupida intelligente?

Ma se era stupida, non poteva essere anche intelligente, una cosa esclude l’altra.

Allora diciamo che Karen Smith erano una stupida consapevole della sua stupidità.

L’unica cosa che la salvava era il suo bel corpo e il suo bel faccino d’angelo…d’angelo stupido.

E troia.

Andava con tutti.

La stessa Regina George, la sua migliore amica, le dava della troia, e se Regina George diceva una cosa voleva dire che era vera.

Ma da un po’ Regina George non diceva più niente di maligno su nessuno, impegnata com’era nello sport che la aiutava a sfogare la sua rabbia repressa, e poi non era più una sciocca Barbie troia, vipera, stronza, voltafaccia, approfittatrice, bugiarda, perché lei, come tutte le ragazze del quarto anno, era cambiata.

Karen era cambiata un po’ di meno dagli episodi avvenuti il terzo anno, con l’arrivo di quel ciclone di Cady Heron.

Del resto, per lei era quasi impossibile una trasformazione così radicale come era stato per le altre ragazze: lei era stupida.

Negli ultimi mesi aveva avuto saltuarie relazioni con svariati ragazzi, tra i quali suo cugino Seth… suo cugino di primo grado Seth.

«Karen, non si può!» le aveva detto alla festa di Halloween Gretchen, l’anno precedente.

«Ma è mio cugino di primo grado!»

«Appunto!»

«Ma ci sono i cugini, i cugini di primo grado, quelli di secondo…»

«No, Karen» Gretchen aveva scosso la sua folta massa di boccoli, costernata.

«Non si può, vero?» aveva sbuffato Karen.

Cinque minuti più tardi si trovava nel bagno della casa dove si svolgeva la festa, a pomiciare con suo cugino di primo grado Seth.







Poi però era iniziato il quarto anno di liceo e qualcosa era cambiato.

Karen ora aveva molte più amiche di quante ne avesse mai avute in tutta la sua vita, però i ragazzi non se la filavano più.

Lei era sdegnata per questo.

Che diavolo stava succedendo??

Anche quella mattina si svegliò con quel rognoso pensiero in testa.

Si alzò dal letto e andò a posizionarsi davanti allo specchio, grande abbastanza da riflettere tutto il suo corpo: era splendida, come lo era sempre stata.

Al contrario di Regina, non era stata presa di mira dagli scherzi di Cady e Janis, e dato che non si era mai strafogata di barrette energetiche il suo fisico era rimasto perfetto.

Le tette, le sue magiche tette “prevedi pioggia” erano sempre su, al loro posto, il suo viso non aveva difetti, i suoi capelli erano sani e luminosi.

Non c’erano dubbi, tutti i ragazzi della sua scuola erano impazziti, per questo non le andavano più dietro.

Aprì l’armadio e afferrò tutte le magliette e le minigonne rosa che aveva: era martedì, e il martedì ci si vestiva sempre di rosa.

Improvvisamente però si ricordò che quelle stupide regole sull’abbigliamento non valevano più.

Poteva vestirsi come voleva, qualunque giorno fosse.

Sorridendo vittoriosa scelse una minigonna rosa e una canottiera rosa e andò in bagno.







«Ciao Karen!» la salutò Jessica Lopez, una delle ragazze con cui aveva più legato quell’anno.

Rispose al saluto rivolgendole il suo solito sorrisino ebete e muovendo la mano come Miss America, e poi accadde: BUM!

Una marea di fogli si riversarono sul pavimento del corridoio, insieme a qualche libro, un iPod e un cappellino da basket.

Karen fece un saltello indietro, spaventata, e si portò le mani alla bocca quando si accorse di chi la stava fulminando con gli occhi: un gran fico!

“Sarebbe ancora più fico se non fosse vestito così male, se non fosse così basso e se non fosse così… abbronzato” pensò la ragazza.

Aveva di fronte un giovane skater messicano, qualche centimetro più basso di Karen (ma lei portava il tacco 9).

«Non ti preoccupare, sei perdonato» disse Karen sorridendo amorevolmente. «So che non l’hai fatto apposta!»

«Guarda che sei stata TU a venirmi addosso!» ribatté il ragazzo alzando un sopracciglio, sorpreso.

«No, amorino» lo rimbeccò Karen, riacquistando quel pizzico di acidità che l’aveva caratterizzata come Barbie l’anno precedente. «Tutte le lampade che ti fai ti danno alla testa. TU mi sei venuto addosso.»

«Io non mi faccio le lampade! Sono messicano!» esclamò indignato il ragazzo. «Che razza di scema!» aggiunse poi, prendendo le sue cose e andandosene scuotendo la testa, lasciando Karen a bocca aperta.

«Cosa?» mormorò la ragazza, senza fiato. «Adesso me lo dicono anche in faccia!»







A pranzo si ritrovò con Cady, Janis, Damian e altri ragazzi del gruppo degli Artisti Schizzati.

Al contrario delle sue vecchie amiche, non aveva trovato un vero gruppo stabile da frequentare, saltellava di qua e di là.

Un po’ sentiva la mancanza del gruppo delle Barbie, ma ora Regina sedeva al tavolo degli Sportivi, Gretchen a quello delle Asiatiche Fighe, e il loro vecchio tavolo, quello centrale, visibile da ogni angolo della mensa, quell’anno era stato occupato dagli Skaters.

Che cosa ci facessero gli Skaters nel vecchio tavolo delle Barbie, Karen proprio non lo sapeva, ma sapeva che gli Skaters non sapevano che quel tavolo era un po’… traballante.

Cady lo aveva sabotato in modo che il vassoio di Regina le si rovesciasse tutto addosso… e così era successo.

Karen quella volta non aveva proprio potuto evitare di scoppiare a ridere e Regina si era infuriata ancora di più, lanciandole contro un vasetto di yogurt aperto; lei allora si era vendicata usando il cartone del latte, che accidentalmente era finito contro una delle Nere Antipatiche... ed era scoppiata la battaglia di cibo.

La ragazza ridacchiò ricordando quell’episodio.

Poi vide arrivare quello strano tipo messicano con cui si era scontrata quella mattina; lo osservò mentre si sedeva al posto di Regina e appoggiava i gomiti al tavolo… forse era la volta buona per dimostrare di non essere così tanto stupida.

Si alzò e sculettò velocemente verso il ragazzo, e quando fu abbastanza vicina strillò:

«Non ti appoggiare! Può…» inciampò sui suoi stessi tacchi e per non cadere dovette appoggiarsi pesantemente al tavolo, il quale si sollevò da un lato rovesciando il vassoio del messicano… addosso al messicano stesso.

«… rovesciarsi.»

Il ragazzo fissò in silenzio il suo pranzo disteso per terra e sui suoi pantaloni, poi sollevò lo sguardo, inferocito, verso Karen, ed abbaiò:

«Ma che cavolo ti è saltato in mente?! Ce l’hai con me per caso??»

«No... » piagnucolò Karen, sinceramente dispiaciuta. «Volevo solo avvertirti che il tavolo era rotto…»

«Beh, grazie tante!» sbottò il ragazzo alzandosi. «Ascolta, meno mi stai vicino meglio, capito?»







«L’hai fatta grossa, eh Karen?» commentò Damian quando la ragazza tornò al loro tavolo.

«Però non è stato affatto gentile da parte sua dirti quello» disse Cady.

«Già, è stato proprio un pezzo di merda» concordò Janis con disprezzo. «In fondo tu volevi solo essere gentile. Che pezzo di merda.»

«Sono proprio scema» sospirò Karen.

«No, non sei scema» la consolò Cady battendole la mano sulla spalla. «Sei stata un po’ sbadata, capita a tutti, ma lui non doveva essere così maleducato.»

«Ci penso io» disse all’improvviso Janis alzandosi di colpo.

«Dove vai?» le chiese Damian.

«A sistemare quel bulletto» rispose risoluta la ragazza dirigendosi verso l’uscita della mensa.

«Io non credo che sia il caso…» mormorò Karen scandendo lentamente ogni parola come era solita fare quando non era sicura di quello che stava dicendo... dunque questo accadeva sempre.

In ogni modo si alzò per seguire Janis ma a metà strada incontrò Gretchen e, dimenticandosi di quello che doveva fare, si fermò a chiacchierare con lei, lusingandola per come stava bene con i capelli lisci e per la bellezza dei suoi orecchini a cerchio in oro bianco.

Cinque minuti dopo si ricordò perché si era alzata da tavola e corse in direzione dei bagni maschili, dove Janis, purtroppo, aveva già sistemato lo skater.

Il ragazzo era seduto sul pavimento tenendosi il naso sanguinante e gemendo di dolore.

«Ah… e tu che cosa vuoi ancora? L’hai mandata tu quella pazza ad aggredirmi?»

«Nooo… » rispose la ragazza scuotendo energicamente la testa. «E’ venuta da sola! Io volevo fermarla, ma poi… sono stata trattenuta… Ti ha fatto molto male?» chiese inginocchiandosi accanto al messicano.

«Tu che dici?» sbottò sgarbatamente lui. «Mi sta uscendo il cervello dalle narici!»

«Aspetta, ti do un fazzoletto e del ghiaccio in spray» disse Karen aprendo la pochette a iniziando a frugarci dentro.

«Vuoi dirmi che ti porti appresso il ghiaccio spray?!» chiese lui attonito.

«Certo! Me lo metto sui piedi quando diventano gonfi! Sai non è mica comodo portare i tacchi tutto il giorno!»

«Tu sei pazza…»

«Che gentile… almeno non hai detto che sono scema!» cinguettò lei.

«Te l’ho detto stamattina… ma ora devo chiederti scusa.»

«Perché?»

«Come perché? Mi hanno spaccato il naso e tu ti stai occupando di me! E poi sono stato troppo brusco, non ti dovevo rispondere in quel modo. Mi chiamo Antonio, e tu, donna dalle mille risorse?»

La ragazza ridacchiò, arrossendo.

«Karen. Karen Smith.»

«Ah, ho sentito parlare di te: l’anno scorso ne hai combinate di tutte i colori, con le tue amiche!»

«A dire la verità non so bene cosa sia successo l’anno scorso, mi sono persa qualche passaggio… io, Regina, Gretchen e Cady eravamo tanto amiche, poi io e Gretchen siamo state amiche solo di Cady perché Regina era ingrassata e poi solo di Regina perché Cady l’aveva fatta ingrassare… ma non sono sicura che sia andata così la storia…»

«Mm, però, che storia intrigante» commentò Antonio con sarcasmo.

«E così, sei messicano!» esclamò Karen cambiando discorso. «Adoro andare da Taco Bell!»

«Taco Bell è americano*» puntualizzò Antonio.

«Ah. Ma a me piace la cucina finto-messicana, quindi forse mi piacerà anche quella vera! Le mie amiche non ci volevano mai andare da Taco Bell perché dovevano mantenere la linea, ma io ho lo stomaco interno e non mi cresce la pancia!» lo informò la ragazza orgogliosa di quella sua peculiarità.

«Interessante… » mormorò il ragazzo, attirato però non dalla notizia, ma dal viso di Karen e da qualcos’altro, un po’ più in basso. «Beh, dato che hai lo stomaco interno, ti posso portare a mangiare vero messicano, una di queste sere. Ti andrebbe?»

«Io… » rispose Karen, analizzando bene il messicano.

Era carino, ma se fosse uscita con un tipo del genere, che figura avrebbe fatto davanti al resto della scuola?

Lei era raffinata, alla moda (o “sghicia”, come avrebbe detto Gretchen), popolare; lui era trasandato.

Però era così cariiino!

«Ok. Accetto» rispose senza incertezze, forse per la prima volta nella sua vita.







Venerdì sera Karen si guardò allo specchio e si vide brutta.

Non le era mai capitato.

Certo, notava spesso i suoi difetti (i talloni grossi, le unghie rovinate, i pori dilatati, gli occhi troppo rotondeggianti… ogni settimana ce n’era uno diverso), ma non si era mai trovata brutta “nell’insieme”, tutt’altro.

«Oh, cosa potrei indossare? Qualcosa di molto messicano… un poncho! Ma io non ho un poncho!»

Allora Karen decise di cambiare un po’ stile, indossando i jeans!







Sebbene Karen avesse fatto un enorme sforzo di immaginazione per cambiare stile e adeguarlo a quello di Antonio, quest’ultimo non si era sprecato per niente, a parte spruzzarsi un po’ di dopobarba.

Per il resto, rimaneva il solito skater disastrato di sempre.

Però era così sghicio!

Quella sera Karen non si sentì neanche una volta, neanche per un secondo stupida.

Antonio passò a prenderla alle nove ma invece di portarla al ristorante, la portò a casa sua.

«Cucino io stasera» la informò. «Vero messicano.»

A casa Banderas (non era questo il vero cognome del ragazzo ma Karen aveva deciso di chiamarlo così) non c’era nessuno, i genitori di Antonio erano ritornati in patria per una settimana per accudire una zia malata.

La casa era un modesto prefabbricato in una zona tutto sommato abbastanza benestante.

Karen si aspettava una baracca ai confini della città, vicino alla discarica (ma Karen non sapeva che in città non c’era nemmeno, una discarica).

L’abitazione era arredata all’americana, senza tendine fatte di perle, ventilatori ovunque, ponchi, bottiglie di rhom… forse Antonio non era un vero messicano.

«Guacamoles con chiles» le servì il ragazzo. «Attenzione, sono molto piccanti. Il tuo stomaco interno può sopportarlo?»

«Certo!» rispose Karen. «Da Taco Bell solo l’unica che prende tre bustine di ketchup piccante!»

Antonio la guardò preoccupato, ma decise di lasciare stare e attendere i risultati.

La guardò affascinato mentre si portava elegantemente alla bocca un pezzo di avocado, e le porse il bicchiere di acqua quando lei sputò tutto sul piatto tossendo, con la faccia rossa quanto il peperoncino che aveva appena ingoiato.

«Ehm… forse avrei dovuto dirti che non è la stessa cosa del ketchup piccante… » si scusò. «Immaginavo avrebbe avuto questo effetto, perciò per secondo ho preparato qualcosa di assolutamente non piccante.»

«Ah sì??» tossicchiò la ragazza.

«In realtà ho dovuto modificare la ricetta, ma penso che sia buono lo stesso. Sono semplici tortillas con carne di maiale, salsa di avocado e panna acida.»

«Peccato che non riesca a sopportare il peperoncino, il guacamole era così buono!» pigolò lei.

«Davvero ti piaceva?»

«Ah-ha!»

«Allora devi solo fare un po’ di esercizio, e riuscirai a mangiare tutto il peperoncino che vuoi! E’ questione di allenamento!»

«Tu lo mangi tutti i giorni?»

«No, sei pazza?! Avrei un alito da far scappare tutta la scuola!»

Karen ridacchiò, incrociando lo sguardo divertito di lui, e improvvisamente si sentì arrossire.

«Perché sei arrossita?»

«Io? No, guarda che è il peperoncino!»

Karen aveva una voglia matta di essere baciata da Antonio, ma voleva anche essere sicura di piacere a lui, e non solo fisicamente: sentiva una forte attrazione per quel ragazzo, e le si sarebbe spezzato il cuore se lui l’avesse portata a casa solo per la sua fama di troia.

Era la prima volta che teneva veramente all’opinione di un ragazzo.

La curiosità le fece venir su, come diceva Cady, un vomito improvviso di parole:

«Mi hai portata qui perché sai che sono una stupida che va con tutti? Perché, sai, questa sarebbe la prima volta che mi piace veramente un ragazzo ma dato che tutti pensano che sono una scema-»

«No, Karen» la interruppe Antonio. «Voglio solo conoscerti meglio. Anche tu mi piaci, e stasera, te lo prometto, non cercherò di baciarti né di allungare le mani, perché voglio che tu ti fidi di me. Però mi piacerebbe portarti da qualche parte, ti va?»

Karen lo guardò boccheggiante, lo sguardo sognante: nessuno le aveva mai detto una cosa così dolce e sincera!

Non poteva resistere.

Lui aveva promesso di non allungare le mani, ma se l’avesse fatto lei?

«No, restiamo qui» mormorò avvicinandosi al ragazzo.

Quando i loro visi furono abbastanza vicini, non si sfiorarono subito, rimasero a guardarsi, a sentire il fiato caldo dell’altro sul proprio volto, respirando piano, visto che...

«Hai l’alito che sa di panna acida!»

«E il tuo sa di chili!»

I due ragazzi sorrisero, poi Karen gli gettò le braccia al collo e prese d’assalto la sua bocca, con passione, desiderio e un pizzico di lascivia, come aveva sempre fatto.

Lui rispose al bacio dopo un attimo di sorpresa, intrecciò la lingua con quella della ragazza, l’accarezzò delicatamente, l’assaporò (panna acida inclusa) mentre con una mano giocherellava con i suoi capelli biondi e morbidi e con l’altra la teneva stretta al suo corpo.

Si spostarono sul divano senza mai staccarsi, inciampando sul tappeto, andando a sbattere contro il tavolino, ma quando si ritrovarono l’una sopra l’altro Antonio si fermò:

«Hey, ragazza, tu mi togli il fiato!»

«N-non ti piace come bacio?» chiese lei, ansiosa.

«Sì, mi piace, ma preferisco andare un po’ più piano. E poi ti avevo promesso che non ti avrei baciata!»

«Ma sono stata io a prendere l’iniziativa, quindi va bene!» lo rassicurò Karen.

«Ok, ok, ora però lascia che sia io a baciarti.»

Stavolta Karen lo lasciò fare.

Scivolò sotto di lui e attese guardandolo, emozionata, poi lui avvicinò le labbra alla sua guancia e la sfiorò leggermente, vi strofinò il naso annusando la sua pelle morbida, le baciò l’angolo della bocca, il mento, il naso e infine le labbra, con dolcezza, senza fretta, facendole provare brividi lungo tutto il corpo.







«E’ stata una bella serata, Karen» sussurrò Antonio poco tempo dopo. «Però non voglio che pensi che sia un approfittatore. Ti riporto a casa.»

«Non lo penso» disse Karen. «E tu pensi che io sia una troia?»

«No, non lo penso.»

«Allora ci vediamo ancora?»

«Mi piacerebbe. Domani pomeriggio vado ad allenarmi con lo skate, se ti va puoi venire con me.»

«Ehm… in uno skate park?»

«Sì.»

«Ehm… Non ci sono mai stata, ma va bene!»



Parte due.



Il giorno seguente Karen optò per un look molto punk e molto sk8er: minigonna di jeans, t-shirt con paillettes e ballerine con tacco basso.

Era il massimo che una con la sua reputazione poteva permettersi.

Quando lei ed Antonio arrivarono allo skate park, Karen ebbe una ben poco piacevole sorpresa: Milly Gaunt.

Chi era Milly Gaunt?

Milly Gaunt era tutto ed era niente.

Per le Barbie non era niente.

Per gli skater era La star.

Per le Barbie era un maschiaccio privo di stile, che vestiva come una barbona.

Per gli skater era la persona più fica del pianeta: il suo look, una fusione tra street e rebel grrl, era un esempio da imitare e ammirare.

Madre Natura le aveva donato splendidi capelli biondi, ma lei aveva rifiutato l’offerta e se li era tinti di nero, prima, e poi ci aveva buttato sopra qualche pennellata di fucsia e viola, completando l’opera con un taglio che faceva venire i brividi alle Barbie: rasati di qua, tagliuzzati di là, lunghi di qua, corti di là…

Si diceva che portasse altri piercing, oltre a quelli sul labbro e sul sopracciglio, ma in posti ben più nascosti, insieme a qualche tatuaggio.

Le Barbie la odiavano e allo stesso tempo la temevano.

Lei odiava le Barbie e basta.

Et, dulcis in fundo, era l’ex di Antonio.

Come? Cosa? Perché?

Perché Gretchen Wiener non aveva riferito a Karen quel piccolo particolare? Come aveva potuto perderselo?

Ah, già, l’anno scorso erano troppo impegnate con Cady e Regina, era comprensibile che si fossero perse qualche notizia.

Del resto, gli skaters erano meno che zero, nella loro scuola.

Ma quello era l’anno scorso, ora erano (quasi) tutti cambiati e cresciuti (forse).

«Tony, che ci fa questa Cosa qui?» l’apostrofò Milly Gaunt.

«Karen ed io usciamo insieme» spiegò il ragazzo posando a terra la tavola, e sottolineando il nome della sua damigella.

«Stai scherzando? Non ci azzecca niente con noi!»

«Noi chi?» chiese Antonio. «E’ con me che esce. E vedi di non darle fastidio.» Si cambiò le scarpe da ginnastica mentre la ragazza si allontanava, e poi, riprendendo in mano lo skate, disse a Karen:

«Vuoi provare?»

«Non ho le scarpe adatte…»

«Non importa. Per un giorno in cui non hai i tacchi, puoi provare a fare un giro! E’ divertente!»

«Ok.»

Karen posò cautamente un piede sullo skateboard, tenendosi saldamente al braccio di Antonio; portò il peso sul piede e poi poggiò anche l’altro sulla tavolo… il tutto senza cadere!

«Brava, ora datti una spinta col piede» le disse il ragazzo, e lei obbedì.

La tavola iniziò a scivolare sull’asfalto, prima piano, poi più veloce, e Karen pensò che non era così difficile come sembrava, così si spinse ancora più forte.

«Stai attenta!» le gridò Antonio.

Ma Karen non vide Milly che le andava addosso.

Di proposito.

Quello che Karen invece vide fu l’asfalto farsi pericolosamente e velocemente vicino alle sue ginocchia e alle sue mani.

Poi vide il sangue uscire a fiotti ma, cosa più importante, vide il tacco delle ballerine a un metro di distanza dai suoi piedi.

Infine, sentì Milly ed altre ragazze prima ridacchiare, poi scompisciarsi dalle risate, sempre più forte.

Karen non si era mai sentita così umiliata in tutta la sua vita.

Le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi senza che potesse fare nulla per fermarle.

“Una ragazza bella e popolare non piange mai davanti al nemico” ripeteva Regina. “Perché nessuno deve mai vederti col trucco disfatto, soprattutto il ragazzo che ti piace.”

Ma non riusciva a fermarsi, le lacrime scendevano silenziosamente e Milly rideva sempre più forte.

Poi Karen sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla.

Antonio la sollevò da terra come se fosse stata una piuma e la condusse lontano tenendola abbracciata.

«E’ una stronza, Karen, non devi darle retta» le disse dopo un po’ porgendole un fazzoletto.

«Sono una stupida» piagnucolò la ragazza.

«No, non lo sei!»

«Sì invece! Non dovrei farmi vedere piangere da te!»

«Perché? Perché hai paura di far vedere che sei fatta anche tu di carne e che hai un’anima, oltre a un sacco di vestiti griffati?» chiese lui accarezzandole i capelli e scostandoglieli dal viso, in modo da poterla guardare meglio, in tutta la sua semplicità.

Karen sapeva che il mascara le stava colando dagli occhi in un modo mostruoso, ma resistette alla tentazione di nascondere il volto con le mani.

Lui la stava guardando in un modo così dolce… pareva dirle “sei la cosa più bella che abbia mai visto”.

«Non capisco perché insisti nel dire che sei stupida, Karen» proseguì lui. «Forse non sarai una cima a scuola, forse sei un po’ ingenua e distratta, ma io penso che tu sia una ragazza dolcissima, come non ne ho mai conosciute, e ti adoro per questo.»

Karen tirò su con il naso.

«Mi… mi adori?»

«Mi fai impazzire!»

A momenti la ragazza non cadde dalla panchina sulla quale era seduta.

E se fosse stata in piedi, le sue gambe avrebbero ceduto e sarebbe caduta a terra come una bambola di stoffa.

Quella era o non era una dichiarazione d’amore??

Si conoscevano da pochi giorni eppure lui l’adorava!!

Ops, forse era questo il motivo: non la conosceva abbastanza.

«Tu non mi conosci abbastanza» gli disse infatti. «Tutti alla fine iniziano col detestarmi, nessuno riesce sopportarmi, te l’assicuro.»

«Beh, lasciami almeno provare a conoscerti meglio, no?» rispose lui.

Ma Karen non era convinta.

Scosse la testa tristemente.

«No. Credimi, è meglio per te non conoscermi affatto. Grazie per le belle giornate che mi hai fatto passare. Scusa.»

Fece per andarsene, ma Antonio la trattenne per la mano.

«Non puoi fare così, tu mi piaci!»

«Sì, che posso, anzi, devo fare così. Davvero, è meglio per tutti e due.»









Trascorsero alcuni giorni ma Karen faticava a togliersi dalla mente quel dolce e gentile ragazzo messicano.

Se gli avesse permesso di conoscerla a fondo, lui avrebbe fatto come tutti gli altri: dopo un po’ si sarebbe stufato della sua stupidità e frivolezza e l’avrebbe piantata in asso, magari anche con qualche parolaccia e offesa.

Cercava di evitarlo il più possibile, mentre lui faceva il contrario.

Avevano dato il via così a una specie di caccia, in cui lui era il predatore e lei la preda.

E puntualmente, quando Karen lo intravedeva per i corridoi della scuola, correva a nascondersi nel bagno delle ragazze.

«Karen, guarda che quello è cotto di te!» le ripetevano sia Cady, che Janis, che Jessica Lopez.

«Nononono, è quello che crede lui! Non voglio che scopra che razza di tonta sono!»

Karen aveva subito un profondo cambiamento: si preoccupava di quello che pensavano gli altri non riguardo il suo aspetto fisico o la sua popolarità, ma riguardo la testa.

Un giorno Janis si stufò di sentirla piagnucolare ed esplose:

«Karen, ma allora sei proprio stupida!!! Quel ragazzo è stra-innamorato di te e tu lo allontani?? Non capisci che non gliene frega niente di quanto intelligente sei?? Non so cosa sia, ma c’è qualcosa che lo ha colpito di te che non sia né la tua intelligenza né il tuo fisico… o almeno, non soltanto quello. Quindi ora alzi quelle chiappe, vai da lui e te lo fai!!»

«No.»

«Cos’hai detto?!» ringhiò la ragazza.

«No.»

Ma Karen si pentì subito di essersi opposta, perché Janis si alzò di scatto dalla sedia e si avvicinò minacciosamente a lei, l’afferrò per il braccio e la trascinò fuori dalla mensa, tirandola per tutti i corridoi della scuola finché non lo trovarono.

Era fuori, seduto sui gradini dell’entrata con i sui amici che ridevano e scherzavano.

Ma Antonio sembrava lontano con la mente.

Karen lo osservò ammaliata attraverso la porta d’entrata.

«Ohh… guarda com’è bello…» sospirò.

«E allora cosa aspetti? Vai!» esclamò Janis spingendola fuori dall’edificio.

Gli amici di Antonio, che al contrario di lui non davano le spalle alla porta, appena la videro iniziarono a ridacchiare: tutti sapevano chi era.

Era la ragazza oca con cui ci aveva provato Antonio.

Il ragazzo si voltò e appena la vide sorrise.

Si alzò e chiese a Karen se le andava di fare quattro passi.

«Mi hai detto una bugia» le disse quando furono abbastanza lontani.

«No! Che bugia sarebbe?» chiese lei, non riuscendo a capire a cosa si riferiva.

«Mi hai detto che non hai amiche e che tutti si stufano di te dopo un po’, ma io ti vedo sempre con delle ragazze e sembra che loro ti trovino simpatica.»

«Ah, già… forse mi sono sbagliata» sorrise lei.

«E allora perché non voi permettermi di stare con te?» le chiese lui, fissandola quasi implorante con quei suoi occhi stupendi, scuri come la notte e profondi come abissi, ma dolcissimi.

«Io… non lo so. Avevo paura.»

Karen fece un respiro profondo, e cercò di andare avanti.

«Insomma… guardami: siamo così diversi, io e te. Io sono sciocca, immatura, frivola, e tu invece sei serio e intelligente, sai cosa vuoi, sai cosa devi fare, e sei così… così meraviglioso che non penso di meritarti!»

«Lo sai che pensavo la stessa cosa?»

«Ecco, visto??» sbuffò lei.

«No, lasciami parlare. Io sono uno sfigato, un casinista, un perfetto idiota con le ragazze, mentre tu sei dolce, bella, sai come comportarti in ogni situazione, e sei così meravigliosa che non penso di meritarti!»

Sorrisero entrambi.

«E’ vero» proseguì Antonio, «siamo diversi, ma almeno una cosa ce l’abbiamo, in comune! A quanto pare siamo tutti e due meravigliosi, quindi perché non meravigliarci insieme?»

Karen finse di pensarci un po’ su.

«Perché no?»

Lui la prese per mano e si avvicinò di più a lei, tanto da poterla sfiorare e da sentire il suo profumo.

Profumo di Karen.

Profumo meraviglioso.

Avvicinò il viso a quello della ragazza, le sfiorò delicatamente le guance con la punta del naso, facendola sorridere come una bambina, le diede un bacio leggero a fior di labbra, poi un altro, poi un altro, poi un altro ancora…

Poi Karen si stufò della sua leggerezza, gli prese la testa con tutte e due le mani e lo baciò appassionatamente e con foga.

«Sulla questione baci avremo di che discutere, amigo.»

«Ok, magari ne discuteremo da Taco Bell.»

«Taco Bell e baci non vanno d’accordo.»

«Li faremo andare d’accordo noi.»







Fine

 
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