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- Manuela? – Graziosi piedini calzati da scarpe a bambolina rosse e nere. - Mmm… - Le gambe fasciate da jeans stretti e scuri, che mettevano in risalto l’avvenenza e la morbidezza delle curve dei tuoi fianchi e dell’interno cosce. - Oggi sei totalmente tra le nuvole. - Pancia piatta avvolta da una maglia aderente nera, che glorificava il tuo tondo e piccolo seno. Foulard rosso che fasciava il collo candido, che richiamava di essere sfiorato da mani e labbra esperte. Il mio cuore perse un battito e il mio stomaco fece un buffo balzo. Non so se prima d’allora avessi provato qualcosa di simile. No, credo di no. Tu sei unica, e da tale meriti rarità, sensazioni mai verificatesi, nuove e fresche. Il tuo visetto sottile e rotondo si girò nella mia direzione, forse incuriosito dalle mie occhiate eccessivamente prolungate. Le tue labbra, rosse come un bocciolo di rosa in primavera, si schiusero appena appena. Forse ti avevo dato una cattiva impressione, stando all’espressione che ostentavi. - Mi hai sentito, Manuela? - L’insistenza di Alessandro mi costrinse a voltarmi, infastidita, nuovamente verso di lui. - Cosa diavolo vuoi? – sbottai collerica, stringendo la bottiglia di birra più forte. - Non essere così scontrosa. – ribatté lui, guardandomi con severità. – Di grazia, è possibile sapere cos’è che ti sta distraendo in tal modo? – - Chi, vorrai dire. – ghignai. Il suo sguardo da severo divenne interrogativo. - Come? - Non risposi apertamente alla sua domanda: dapprima ampliai il mio sorriso, osservando Alessandro con malizia, poi feci un cenno con il capo in tuo indirizzo. Alessandro, curioso, strinse gli occhi grigi e seguì il mio sguardo scuro, nuovamente puntato su di te, donna meravigliosa. - Ah. – proferì atono, squadrandoti con apprezzamento. Risi della sua aria compiaciuta; ti guardava avido, ma so che stava soltanto scherzando. - Guarda che l’ho vista prima io. – Alessandro mi osservò con giocondità. Sa che mi dilettano non solo gli uomini, ma anche le donne. L’ha capito sin dalla prima volta in cui incrociammo le nostre iridi. Tra me e lui non c’è mai stato bisogno di parole. Un solo sguardo bastava e avanzava, anche più di mille vocaboli. - Oh, non allarmarti. Ho altri interessi, per il momento. - - Ah. – dissi, smorzando una risatina. – Tipo? – - Se fossi in te, eviterei le domande indiscrete su cose che non ti riguardano - ribatté ghignando il mio migliore amico, - e mi fionderei dritto alla cassa. Armando ha tutta l’aria di essere interessato alla tua preda, piccola. – Con uno scatto, mi voltai al banco, sorridendo vagamente: Armando vi stava appoggiato con un gomito e chiacchierava rapito con te e la tua compagna. Mi alzai dal soffice divano e con falcate eleganti mi diressi alla cassa. Mi avvicinai ad Armando, che si era appena accomodato dietro al mobile. Puntò gli occhi su di me e io, di rimando, su di lui. In un lampo, Armando comprese e mi sorrise malizioso. - Sofia e Maria, permettetemi di presentarvi una mia cara amica, Manuela. - Spostai finalmente il mio sguardo dal bastardo barista per rivolgerlo a te e alla tua amica Maria; ma soprattutto su di te, Sofia. Quanto ti rispecchia questo nome, amor mio. Tanto bella quanto acuta. Mi hai subito intesa.
Non ricordo con precisione quanti altri giorni trascorsero da quell’episodio, ma non me ne importa. Lo benedico e lo maledico allo stesso tempo. Mi hai fatto del male, tanto male; mi hai uccisa, mi hai mutilata, mi hai totalmente distrutta. Sono stata umiliata, quando mi sono promessa che mai nessuno avrebbe dovuto farlo. Hai presente un fazzoletto? Lo rinvieni in una delle tasche dei jeans, lo aprì e pulisci gli angoli della bocca, lasciandovi tracce indelebili del tuo sapore. Ecco, io mi sento esattamente così. Usata, amareggiata e gettata via. La mia ingenuità ha voluto prendere il sopravvento, per quanto incredibile possa apparire. La tua perfetta visione mi ha resa innocente, bisognosa d’amore e passione e troppo avventata, incauta. Ricordi quella sera? La nostra sera? Dimmi solo come potrei dimenticarla. È stato uno dei momenti più belli, più magici, più sensuali. Più. Quei momenti che ti rimarranno dentro al cuore per sempre, ricordi indelebili dei quali è difficile fare a meno, perché pezzi importanti del tuo essere. Ti hanno segnata e ti hanno fatta diventare quello che sei, ti hanno forgiata. Era quasi mezzanotte. Non avevo voglio di rincasare e quindi andai al Lust. La vita notturna è un’esistenza tutta da assaporare. Lì, al bar, avrei trovato persone come me, con cui parlare e bere. Ma non mi aspettavo di trovare te. Mi accorsi della tua minuta figura solo dopo aver ordinato e bevuto un Martini con ghiaccio al bancone. Stavi seduta ricurva ad un tavolino in ferro battuto sulla veranda del locale; la frescura notturna ti accarezzava il volto sottile, allontanando le ciocche castane e portandole dietro le bianche spalle. Mi morsi un labbro, mentre rimanevo a contemplarti. Decisi di avvicinarmi; tu finalmente ti voltasti in mia direzione, avendo udito il suono dei miei passi farsi sempre più prossimo. - Ciao. - Mi rivolgesti un sorriso. Ma non era radioso come al suo solito, no. Rimembro la malinconia che aleggiava intorno alla tua presenza, i tuoi occhi verdi illuminati dalla mestizia e le tue labbra piegate così amaramente all’insù. Sorridevi forzatamente. Feci una movenza elegante con una mano per rispondere al tuo saluto, mi sedetti su una delle tre sedie accostate al tavolo e mi voltai a guardarti. Non spiccicai una parola; preferivo ammirarti, come fa un appassionato di arte con le sue opere predilette. Tu ricambiavi le mie occhiate intense con sguardi fugaci, quasi timorosi. Le tue iridi smeraldini si alzavano per incrociare le mie in un istante, così infinitamente lungo, e velocemente si calavano. Stavi celando un dolore straziante dentro. Come adesso faccio io. Avevi bisogno di appoggio, amore, cura. Avevi bisogno di me, lo sentivo. La tua voglia di ripararti era palpabile tanto quanto lo era la mia di stringerti. - Vuoi fare due passi in mia compagnia? – ti domandai improvvisamente. Tu sussultasti all’udire la mia voce bassa; non ti eri aspettata un mio invito. Mi alzai dalla sedia e ti porsi una mano; dopo aver osservato il suo candore senza lasciar trasparire alcunché, l’afferrasti e ti sollevasti dal tuo posto. Passeggiammo tanto, quella notte. Ho ascoltato i tuoi sfoghi come fossero delle soavi melodie; ho raccolto le tue lacrime amare come fossero acqua del cielo. Ho accarezzato il tuo corpo come fosse un delicato fiore proibito, un dono mandato da Dio. Tu sei stata l’omaggio che il Destino mi ha riservato. Sei stata mia per una notte, una stupefacente, magnifica ed indimenticabile notte. È bastata a rovinarmi la vita, però. Anche se ce ne sono state molte altre, la nostra prima volta è stata proprio quella che mi ha legata irrimediabilmente a te. Sei diventata la mia droga, ed io sono diventata opprimente. - Manuela. - Finalmente avevi risposto ad una delle mie ininterrotte chiamate. - Sofia… - sussurrai. - Ti prego, basta. – - Ma Sofia… - - No. – contestasti con forza. – Adesso non posso parlarti. – - Perché? – - C’è Lorenzo qui, a casa. Non chiamarmi; poi ti telefonerò io più tardi, ok? – Lorenzo. Quel figlio di puttana che l’aveva fatta soffrire. Quel bastardo adesso era a casa sua, nel suo letto, in quel letto in cui avevamo suggellato il nostro amore. - Di nuovo lui? – scoppiai come una bomba, tanta era la rabbia che quel nome mi aveva provocato. - Manuela, tu non puoi capire. – Capire. Cosa c’era da capire? L’aveva pugnalata al cuore, l’aveva tradita con un’altra. - Capire… - replicai al telefono. Alzai la testa in direzione del soffitto e risi istericamente. Delle grida gorgogliavano nella mia gola dolorante e chiedevano di essere espulse. - Manuela, devi comprendermi… - dicesti poco dopo. - È finita. Sto con Lorenzo. – - Anche quando scopavi con me stavi con Lorenzo! Anche quando dicevi di amarmi stavi con Lorenzo! Anche quando lo cornificavi con gran piacere stavi con quel lurido idiota! – Terminai la chiamata subito dopo aver detto quelle velenose parole. Avevo cercato di iniettarvi tutta la mia ira, la mia gelosia e la cattiveria di cui ero capace. Volevo lasciarti un segno, un marchio di fuoco nella tua mente, che risaltasse dinanzi ai tuoi occhi verdi, chiusi o aperti che fossero; qualcosa che non avresti scordato. Penso di aver fallito. Credevo che avresti fatto dietrofront, che avresti abbandonato Lorenzo e che mi avresti aperto le braccia come ho fatto io con te. Stupida illusione, ingenua congettura irrealizzabile. Ti ho persa, lo so.
Adesso sto camminando per il lungomare, sola, immersa nelle memorie, nei ricordi belli e brutti. Non li cancellerò, fanno parte di me. Alessandro non è qui al mio fianco, per ora. Sai, mi è stato sempre vicino in quest’ultimo, orrendo periodo. Ha cercato di sorreggermi, di aiutarmi. Mi sono ripresa e il merito va tutto a lui. Non vado con nessuno, né uomo né donna, da tanto. Non riesco, ho un blocco orribile. Temo di soffrire ancora, per questo non voglio innamorarmi di nuovo. Mi chiedo come potrei farlo, comunque. Sei stata l’unica, Sofia. La sola che è riuscita a ridurre il mio cuore a brandelli; ma alla fine ci hai sputato sopra. Continuo a camminare lungo questo sentiero asfaltato, calciando a volte le piccole pietruzze scure con la punta degli stivali. Tengo il capo chino; dopo lo rialzo per poter rimirare il cupo mare. È mosso. I cavalloni si rincorrono gli uni con gli altri, fino ad abbattersi sugli scogli alti e neri del promontorio. Il mio unico desidero è perdermi fra loro. Bramo il dolore fisico, è ben più preferibile a quello etico. Non provo più nulla, se non sofferenza, angoscia, afflizione. Voglio morire. Adesso che sono sola. Adesso che te ne sei andata. Adesso che Alessandro non vede. Adesso che il Destino se ne frega altamente della mia miserevole esistenza. Voglio morire.
- Fine -
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