Una sola lacrima, Harry Potter; Introspettivo, triste; Personaggi: Harry, Petunia Dursley.

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sonsimo
view post Posted on 27/8/2007, 13:55




Titolo: Una sola lacrima
Autrice: sonsimo
Genere: Introspettivo, triste
Rating: Verde
Personaggi: Harry Potter, Petunia Dursley
Avvisi: One-shot
Introduzione: Harry nel suo ultimo giorno a Privet Drive, poche ore prima di compiere diciassette anni e diventare in tal modo maggiorenne per il mondo dei maghi. Il suo addio a quella zia che per sedici anni non è stata capace di un singolo gesto d'affetto nei suoi confronti. E, dall'altra parte, i pensieri della fredda Petunia Dursley, consapevole del fatto che non rivedrà mai più il figlio di quella sorella tanto odiata.
Note e disclaimer: Il mondo di Harry Potter appartiene a J.K. Rowling e questa fic non è stata scritta a scopo di lucro.
La storia è stata scritta prima della pubblicazione di "Harry Potter and the Deathly Hallows", pertanto non tiene conto di ciò che accade in quel libro.





Una sola lacrima



Il sole cocente di quella afosa giornata di fine Luglio colpiva con i suoi raggi intensi il volto del ragazzo moro, intento a ripulire dalle erbacce il giardinetto della casetta al numero 4. La fronte del giovane era impregnata di sudore e le guance arrossate per la fatica e il caldo. Eppure, a Harry Potter non dispiaceva affatto trascorrere in quella maniera l'ultima mattina a casa dei suoi zii. In quel momento di transizione della sua vita, in cui tutto sembrava appeso a un filo, in cui non aveva idea di che cosa lo attendesse di lì a poche ore, dedicarsi a un lavoro manuale come quello lo faceva sentire avvolto da una rassicurante quanto ingannevole parvenza di normalità. Lì, sotto il sole, sporco di fango e d'erba, Harry si sentiva piacevolmente lontano dal destino tracciato per lui. Nessun pensiero riguardante assurde profezie, frammenti d'anima di maghi oscuri disseminati per il mondo e crudeli assassini con tatuaggi di cattivo gusto poteva turbarlo, finché rimaneva perfettamente concentrato sulle aiuole, sul cinguettio dei passerotti e i suoni sommessi provenienti dalla TV di Dudley.

A Harry non era mai piaciuta la vita a Privet Drive. E, del resto, come dargli torto? Non gli era mai stato concesso di vivere una vita normale, nemmeno nella casa dei suoi zii. Ma nonostante ciò Harry si stupiva, quella mattina, di sentire dentro di sé il leggero fremito della tristezza, all'idea di abbandonare per sempre quel luogo, di lì a poche ore. Perché quella era la mattina del 30 Luglio, e allo scoccare della mezzanotte avrebbe ufficialmente fatto il suo ingresso nel mondo degli adulti. O meglio, nel mondo dei maghi adulti. Aveva deciso di fare ciò che gli aveva chiesto Silente, di rimanere con i suoi zii fino al compimento dei suoi diciassette anni per sfruttare fino in fondo la protezione creatasi col sacrificio della madre. Così, qualche minuto prima del fatidico rintocco, una scorta formata da membri dell'Ordine sarebbe venuta a prenderlo per accompagnarlo alla Tana, dove di lì a qualche giorno sarebbe stato celebrato il matrimonio di Bill e Fleur. Ma anche quello sarebbe stato un soggiorno breve, Harry ne era tristemente consapevole. Avrebbe dovuto darsi da fare al più presto, se voleva finalmente risvegliarsi dal terribile incubo chiamato Voldemort. Harry pensò con amarezza ad Hogwarts, la sua unica, vera casa, e a quanto gli dispiaceva non poter tornare laggiù il primo di Settembre, come ogni anno. Il ragazzo sospirò e si raddrizzò, strofinandosi la fronte con un braccio e liberandosi del sudore che colava ormai sugli occhi. Non ebbe il tempo di rimettersi al lavoro, perché dalla cucina arrivò l'aspro richiamo della zia: "A tavola, ragazzo. Continuerai più tardi".

Inzaccherato com'era, Harry fece il suo ingresso in cucina, e venne accolto da un sonoro sbuffo da parte dello zio, come al solito poco soddisfatto della sua presenza, un ghigno per nulla soffocato di Dudley, ancora comodamente in panciolle davanti alla TV, e l'acuto, consueto strilletto di zia Petunia nel vedere la propria adorata e linda casa profanata in quel modo dal suo sudicio nipote. Harry dovette sorbirsi cinque minuti buoni di predica, prima di filare di sopra a cambiarsi per il pranzo. Quando finalmente potè sedersi a tavola, il giovane mago si concesse qualche secondo per studiare il volto di Petunia. Chissà se la zia ricordava che quella notte lui avrebbe compiuto diciassette anni, e quindi finalmente lei avrebbe potuto liberarsi della sua scomoda presenza. Harry aveva quasi progettato di andarsene in silenzio, senza nemmeno salutare, pensando che per gli zii probabilmente non avrebbe fatto alcuna differenza. Ma sapeva che non sarebbe riuscito a farlo. Nonostante il modo in cui loro lo avevano sempre trattato, nonostante non lo avessero mai fatto sentire a casa, Harry non era un ingrato, e ricordava fin troppo bene le parole di Silente riferite alla zia: "Di malavoglia, disprezzando quello che sei, ma ti ha accolto". Quando erano state pronunciate, tali parole gli erano sembrate solo l'ennesimo vaneggiamento di quel mago mezzo pazzo, ma da quando Silente non c'era più, Harry si era sorpreso spesso a ripensare a tutto ciò che il mago gli aveva detto quand'era ancora in vita, e si era aggrappato a quelle parole, con tutte le sue forze. Perché erano l'unica guida rimastagli, l'unica luce ad indicargli la via, il cammino da seguire in quella vita così incerta.

Harry si schiarì la gola e alzò gli occhi dal piatto, ma si accorse che nessuno dei suoi commensali gli stava prestando attenzione, anche se era piuttosto chiara la sua intenzione di dire qualcosa. Fece finta di nulla, respirò profondamente e gettò fuori le parole in un soffio:

"Me ne vado stasera".

Strano come facesse male dirlo. Per tutta la sua infanzia non aveva desiderato altro che fuggire da quella casa, lasciarsi alle spalle quei suoi parenti che non avrebbero potuto essere più estranei di così, e adesso sentiva un groppo alla gola. Non era per gli zii, né per quel luogo, ma per tutto ciò che la vita tra i babbani rappresentava. In quella casa lui non era un eroe. Non era il Prescelto, e non portava sulle spalle il peso di un intero mondo da salvare. Non aveva terribili responsabilità a soffocarlo. Era solo Harry.

Vernon fu il primo a distrarsi dal pranzo che stava letteralmente divorando e a posare uno sguardo malevolo sul ragazzo seduto proprio di fronte a lui. Parlò con la bocca piena, sputacchiando cibo ovunque: "Perché non oggi pomeriggio? Perché non immediatamente?".

Harry strinse il pugno, sotto al tavolo. Non era proprio il caso di perdere il controllo. Riuscì a mantenere neutro il tono della propria voce: "Aspetto che mi vengano a prendere".

"Perché?" fu l'immediata replica del corpulento zio.

- Sai, c'è in giro un mostro che non aspetta altro che uccidermi - pensò Harry con amarezza, ma si rese conto che una risposta del genere sarebbe sembrata troppo melodrammatica. Così si limitò a scrollare le spalle, in silenzio. Vernon non sembrò contento di quella laconica risposta, e aprì la bocca per parlare, probabilmente per ribadire che avrebbe preferito che se andasse subito, ma Petunia lo precedette: "Perché vengono a prenderti proprio stasera?". Harry si voltò di nuovo a guardarla. Il tono della zia era sommesso, calmo, ma l'espressione del suo viso non era la stessa di sempre. C'era qualcosa di strano in lei, di insolito, ma il nipote non riuscì a comprendere di che cosa si trattasse. Prima che Harry potesse rispondere, però, colse l'occhiata eloquente che lo zio lanciò a Petunia. Sul volto dell'uomo era chiaramente stampata la domanda per la moglie: - e chi se ne importa?

Harry scelse di ignorarlo. Abbassò gli occhi sul tavolo e rispose alla zia: "A mezzanotte compio diciassette anni, divento maggiorenne per il mondo dei maghi -quindi puntò gli occhi verdi in quelli scuri della zia- non tornerò mai più".

Non sapeva cosa si aspettasse di vedere in fondo a quegli occhi che gli avevano riservato sempre e solo freddezza. Solo un piccolissimo cenno di comprensione, forse. Uno sguardo solidale, anche solo per un istante, gli avrebbe scaldato il cuore, gli avrebbe persino permesso di ingoiare, cosa che non gli riusciva ormai da diversi minuti. Ma non ci fu niente di tutto ciò. Petunia si alzò da tavola, raccolse i piatti vuoti e si preparò a rigovernare, tutto senza pronunciare una sola parola. Harry si rimproverò mentalmente: -Che cosa ti aspettavi, stupido?! Che ti dicesse di non andare? Che ti dicesse che ha paura per te? Come puoi nutrire ancora un'illusione del genere, dopo tutti questi anni? Non gliene importa niente di te! Conta forse qualcosa il fatto che tu sia tutto ciò che le rimane della sorella morta? Conta forse qualcosa che tu non abbia nessun altro parente al mondo?

Harry si alzò di scatto ed andò di sopra, senza aggiungere altro, deciso a trascorrere il resto della giornata rinchiuso in camera a fare i bagagli, pur sapendo che l'intera operazione non lo avrebbe tenuto impegnato per più di mezz'ora, data l'esigua quantità di roba che possedeva. Fortunatamente nessuno, durante il pomeriggio, venne ad importunarlo dicendogli di andare a terminare il lavoro che aveva iniziato in giardino. Harry non scese nemmeno per cena, rispose semplicemente di non avere fame. E quella, dopotutto, non era una bugia, era troppo teso per mangiare, anche se il vero motivo era il desiderio di rimanere il più possibile lontano dai suoi zii.

Alle 23.30, incapace di rimanere da solo con i suoi pensieri e le sue paure un minuto di più, Harry trascinò il baule giù dalle scale e si diresse in cucina, certo che ormai fossero andati tutti a dormire e sarebbe stato tranquillo. Ma giunto sulla soglia vide al tavolo la zia. La donna sembrò non accorgersi della presenza del nipote. Era seduta, i gomiti appoggiati sul tavolo, intorno a sé ordine e pulizia perfetti, anche più del solito, e aveva il volto adagiato su una mano e gli occhi chiusi. Harry pensò che si fosse addormentata. Il ragazzo si avvicinò cauto, deciso a non svegliarla, e si sedette di fronte a lei, silenzioso, gli occhi puntati sull'orologio appeso alla parete. Intorno a loro, solo il sommesso ticchettio dei secondi che scorrevano.

In realtà, Petunia non stava dormendo. Aveva terminato le consuete pulizie serali già da un bel po', ma non era riuscita a decidersi e ad andarsene a letto. Un vago senso di attesa in fondo allo stomaco l'aveva costretta a concedersi qualche minuto seduta al tavolo della cucina, per riflettere. Su cosa, non lo sapeva bene nemmeno lei. Avrebbe dovuto essere felice, quel giorno... finalmente si sarebbe liberata per sempre di quell'impiastro del figlio di Lily. Non avrebbe più dovuto preoccuparsi delle chiacchiere dei vicini sull'aspetto trasandato del nipote, né dell'arrivo di sporchi gufi e lettere urlanti. Niente più occhi verdi in giro per casa. Petunia pensò che la cena dovesse averle fatto male quella sera, poiché sentiva lo stomaco stretto in una morsa. Lo scricchiolio del gradino difettoso la avvertì che era in arrivo qualcuno dal piano di sopra, e la donna sapeva, dal passo leggero, che non poteva essere altri che Harry. E per un attimo si sentì indecisa su come comportarsi. Ma perché quella sera era tutto così strano? Perché quella paura di guardare in faccia il nipote? Non le era mai successo niente del genere.

Per tale motivo, Petunia chiuse gli occhi, sperando in tal modo che lo sgradito nipote non la importunasse. Magari il ragazzo avrebbe pensato bene di attendere i suoi strambi amici sull'uscio. Sentì invece che Harry era entrato in cucina e si era seduto al tavolo, in silenzio, probabilmente credendola addormentata. Petunia avvertì distintamente un fremito di disagio percorrere tutto il proprio corpo. Perché la presenza di quel moccioso doveva inquietarla a tal punto, quella sera? Perché sentiva che sarebbe stato un errore lasciarlo andare incontro al suo destino in questo modo, senza una sola parola di conforto, di incoraggiamento, pur sapendo, anche se vagamente, quali terribili prove attendevano il ragazzo? Poteva essere rimorso?

I minuti trascorrevano inesorabili, ma troppo lentamente per i due occupanti della silenziosa cucina. Harry osservava la zia, che ancora teneva gli occhi chiusi, in silenzio, chiedendosi con amarezza come fosse possibile che due persone fisicamente così vicine fossero in realtà tanto distanti l'uno dall'altra. Così distanti erano le loro anime, lo erano sempre state. E tutto questo non faceva che accrescere l'angoscia che in quel momento straziava il cuore di Harry, che dalla morte di Silente si sentiva così terribilmente e definitivamente solo...

Era ormai ora di andare. Harry sentì il tipico rumore associato alla materializzazione, e capì che la sua scorta lo attendeva fuori in giardino. Li aveva avvertiti di non bussare, per non disturbare i suoi zii. Nonostante tutto, non voleva che l'ultimo ricordo di Privet Drive fosse la furia ridicola di Vernon. Non che serbasse nel cuore ricordi migliori, ma a questo doveva rassegnarsi. Harry si alzò lentamente e si avviò verso l'ingresso, dove aveva lasciato il baule. Ma prima di uscire dalla cucina, si voltò un'ultima volta verso zia Petunia.

Sta dormendo, non ricorderà mai quello che le dirò

"Addio, zia. E grazie per... avermi tenuto qui... nonostante tutto".

Fu solo un bisbiglio. Un sussurro udibile a malapena. Ma Petunia era ben attenta a qualunque rumore del nipote, in attesa che se ne andasse. E quelle poche, semplici parole fecero tremare il suo cuore, e la costrinsero finalmente ad aprire gli occhi e a fissarli per l'ultima volta in quelli del ragazzo. In quelli di Lily. Harry trasalì nello scoprire che la zia era sveglia, ma soprattutto lo colpì il modo in cui Petunia lo stava guardando. Non c'era la tipica indifferenza Dursley in quello sguardo.

Petunia guardò il volto pallido del ragazzo, i suoi capelli ribelli, il suo fisico sviluppato ma ancora così giovane... dopotutto Harry era poco più di un bambino, ma nonostante questo, la donna lo sapeva, chi era andato a prenderlo lo avrebbe coinvolto in una guerra, schierato in prima linea, per difendere il loro mondo magico... e quel ragazzino sembrava a malapena in grado di difendere se stesso. Petunia sentì un leggero bruciore agli occhi, e si alzò in piedi per tentare di scacciare la spiacevole sensazione. Doveva dirgli qualcosa, non poteva lasciarlo andare così.

"Sei troppo giovane... per combattere contro quel mostro".

Harry fece un sorriso triste, colmo d'amarezza: "Devo farlo. Non posso più nascondermi".

Petunia non trovò niente da aggiungere. Quanta determinazione, quanto coraggio! Era incredibile rendersi conto di come il ragazzo fosse più maturo di lei. Prima che potesse anche solo pensare di replicare, Harry si era già voltato ed era uscito di casa. Ora era in giardino, con i suoi amici strambi, pronto a ritornare di nuovo nel suo altrettanto strambo mondo. Con l'unica differenza che questa volta sarebbe stato per sempre. Petunia osservò distrattamente l'orologio e si accorse che era già mezzanotte. E un improvviso impulso la spinse a correre alla finestra e a spalancarla, incurante dell'ora tarda e di cosa avrebbero detto i vicini vedendola comportarsi così. Doveva fare una cosa che non aveva mai fatto prima. Non poteva tirarsi indietro adesso, non poteva lasciar vincere anche in quel momento il risentimento verso Lily, perché quella era l'ultima volta che aveva davanti quel ragazzo.

Harry strinse la mano di Remus e Moody e si preparò ad afferrare la passaporta con cui avrebbero viaggiato. Stava già per sparire quando sentì la voce della zia, e fece appena in tempo a voltarsi verso di lei, che era alla finestra.

"Harry... buon compleanno".

Ed Harry la vide, la lacrima scintillante alla luce della luna, brillare sulla guancia di zia Petunia, e sentì il proprio cuore un po' più leggero a pensare a ciò che lo attendeva, e si sentì sollevato, perché dopo diciassette anni avrebbe almeno potuto conservare un unico ricordo d'affetto su quel luogo che lo aveva protetto tanto a lungo. E sorrise.

FINE



 
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