Near No Jigoku, 10/09/2007 eLyshina - ikumi

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eLyshina
view post Posted on 14/9/2007, 23:49




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Titolo: Near No Jigoku ( L'inferno di Near)
Rating: Giallo
Personaggi: Near, Jevanni, Hal
Genere: Introspettivo, Drammatico
Tipologia: One-Shot
Avvisi: Shonen-Ai, Spoiler! vari. Non inserisco volutamente l'avviso OOC in quanto non penso che lo sia.
Note: Grazie a Maki-chan per avermi insegnato la parola "inferno" in Giapponese.
Grazie a Zia Esmy e Lady Butterfly per avermi dato un parere.
Riassunto:
Nessuna vita avrebbe potuto ripagare la perdita di una persona cara, come nessuna lacrima avrebbe potuto restituirgliela.
E lui non riusciva nemmeno a crogiolarsi egoisticamente nel suo dolore: era impassibile e freddo, com'era sempre stato.
Dopotutto, aveva delle responsabilità e non aveva tempo di piangere i caduti della follia di un uomo.
Anche se uno di quei caduti rappresentava il legame con la sua vita passata.

Disclaimer:I personaggi della storia non appartengono a me, ma sono di proprietà di Takeshi Ohba e Tsugumi Obata, che ne detengono i diritti. Io non guadagno soldi dalla pubblicazione della storia.
La fan art in incipit del topic non mi appartiene e, in quanto immagine trovata nel web, non so a chi appartenga. Se qualcuno ne potesse rivendicare la paternità sarò onorata di inserire i dovuti credits.
La citazione finale appartiene alla canzone "Dead" dei Korn, per tanto non è mia ma di chi ha scritto il testo.

*

Near No Jigoku

Quello era un Inverno freddo.
Anche in Giappone aveva nevicato, imbiancando i tetti delle case e le cime di ogni piccola montagna; tutto appariva così bianco e puro che anche i ruderi di un edificio bruciato sembravano aver indossato il regale mantello della Signora delle Nevi, rendendo loro stessi più eleganti e belli di quanto non fossero davvero.
Ed era freddo: il vento era così gelido che ad ogni raffica Jevanni sentiva aprirsi sulle sue mani una spaccatura in più, che bruciava come il fuoco che aveva spazzato via la bellezza di quell'edificio davanti al quale si erano fermati.
Era solo un sottoposto, non si aspettava certo che gli venisse spiegato tutto; eppure sembrava che quel macabro panorama rattristasse Hal che, in piedi al suo fianco, stringeva forte la sua mano.
Continuava a non capire come mai la sua fidanzata fosse tanto legata a quel luogo da aver acconsentito a portarci il Capo, però stringeva la sua mano di rimando, sperando di poterle dare conforto.
Sembrava quasi che quell'edificio nascondesse qualche ricordo straziante, qualcosa di volutamente omesso dalle proprie vite e vergognosamente dimenticato.
Non da Near però.
Jevanni riusciva a percepire anche dalla sua posizione di semplice guardia del corpo che il Capo amava quel rudere.
Non sapeva il perché, né gli interessava saperlo: gli bastava osservare quel ragazzino di appena vent'anni che guardava immobile l'edificio carbonizzato, quasi interamente coperto dalla neve, coi suoi occhi spenti; ne percepiva il dolore, lancinante come stilettate.
Hal si mosse appena, spostando con i piedi un mucchietto di neve: quando si accorse che aveva voltato la testa verso di lei, lo guardò e gli fece cenno di dirigersi verso la limousine nera - in perfetto contrasto con l'ambiente che li circondava - che li aspettava sulla strada.
Lui annuì, poi lasciò che lei andasse da sola verso l'auto e tornò ad osservare Near.
Era ancora immobile, lo sguardo apatico fisso sui ruderi di quella vecchia Chiesa sconsacrata.
"Stiamo per andarcene Near..." Lo chiamò a mezza voce. "Non abbiamo più niente da fare qui in Giappone."
Near voltò di tre quarti la testa per guardarlo con la coda dell'occhio.
"Va' Jevanni." Gli rispose. "Precedimi."
Il suo tono non ammetteva repliche e lui, facendo spallucce, si voltò per raggiungere Hal sulla macchina lussuosa affittata per il trasporto del Capo in quel luogo.
Quando arrivò, entrò dentro l'abitacolo della macchina e si sedette vicino alla propria fidanzata.
Hal si strinse contro la sua spalla prendendo la sua mano tra le sue.
"E' passato un anno esatto." Disse. "Dobbiamo lasciare che gli dica addio."
Finalmente comprese come mai il Capo aveva voluto fare una sosta in quel luogo: come aveva pensato poco prima, anche lui aveva vergognosamente dimenticato.
Annuì, intrecciando le sue dita e quelle della ragazza, poi voltò di nuovo la testa verso la Chiesa in rovina dove, candido come la neve, Near era immobile; si sorprese a pensare che anche il Capo era un essere umano capace di provare dei sentimenti come la gioia o il dolore.
Perché la tristezza di Near, mentre osservava la Chiesa carbonizzata, riusciva a percepirla: era un qualcosa di travolgente e talmente forte da fargli venire le lacrime agli occhi.

* * *

Un anno esatto.
Ricordava quel giorno in maniera fin troppo vivida, mentre davanti agli occhi riviveva l'immagine della Chiesa in fiamme stagliata contro il cielo decorato con i colori del tramonto: il ricordo si rifletteva nei suoi occhi come l'angoscia che faticava a nascondere.
Era solo tristezza, alla fine: amara tristezza che attanagliava l'anima e distruggeva il cuore, picchiando forte sul vetro che lo riparava dai colpi con un pesante martello di ferro.
Tristezza che derivava anche dalla consapevolezza di non aver fatto niente, quando avrebbe potuto, e aver voluto far troppo quando ormai era troppo tardi.
La distruzione di Kira non poteva essere considerata vendetta.
Nessuna vita avrebbe potuto ripagare la perdita di una persona cara, come nessuna lacrima avrebbe potuto restituirgliela.
E lui non riusciva nemmeno a crogiolarsi egoisticamente nel suo dolore: era impassibile e freddo, com'era sempre stato.
Dopotutto, aveva delle responsabilità e non aveva tempo di piangere i caduti della follia di un uomo.
Anche se uno di quei caduti rappresentava il legame con la sua vita passata.
Ed intanto che lui evitava di fare i conti con il proprio passato - erano solo sei anni, eppure sembrava che fosse stato almeno un millennio - era trascorso un anno esatto.
Un.
Anno.
Esatto.
Un anno da quando aveva seguito, attraverso i monitor della sede dell'ormai sciolta SPK, la fuga di Matt a bordo di un'auto rossa.
Un anno da quando aveva visto, sui notiziari in tempo reale, uno dei suoi presunti rivali morire.
Un anno da quando era morta anche Takada Kyomi, uccisa da colui che rivendicava indegnamente il nome di L.
Un anno da quando quella Chiesa sconsacrata che aveva davanti era stata carbonizzata da fiamme impietose, appiccate dalla donna manovrata dal Death Note.
Un anno da quando Mello era bruciato insieme a quella Chiesa.
Era trascorso un anno dalla morte di Mello.
E lui non aveva ancora avuto il tempo per portare un fiore sulla sua tomba, situata nel cimitero della Wammy's House.
E lui non aveva ancora voluto scendere a patti con la consapevolezza che, se era morto, in parte era colpa sua.
E lui non aveva ancora avuto il coraggio di dirgli addio.
Perché faceva male, dannazione!
Quando era morto non aveva potuto permettersi la distrazione di cedere al dolore: c'erano troppe cose da far combaciare, mancavano ancora tanti pezzi al puzzle che aveva costruito intorno a Raito Yagami e Mikami Teru; lui si era impegnato davvero molto per far quadrare ogni cosa in modo che ogni singola vita rubata da quell'assassino e dai suoi complici non fosse andata sprecata.
Aveva pensato che, dopo la cattura di Kira, le anime di L, di Watari, di Matt e di Mello avrebbero finalmente trovato vendetta: sbagliava, maledizione!
Non c'è vendetta per chi ha preferito morire per la giustizia: c'è solo la pace.
Il sacrificio di Mello, però, gli pesava sul cuore come un macigno.
Kira gli aveva portato via la persona a lui più cara.
Si era chiesto tante - troppe - volte come sarebbe andata se loro fossero stati diversi.
Se non fossero stati messi in competizione per un nome che nessuno dei due voleva davvero.
Se Mello non fosse stato tanto impulsivo e propenso ad odiarlo fino alla fine.
Se lui non fosse stato tanto superiore a tutti gli altri.
La risposta era sì.
Sarebbe stato decisamente diverso se lui, fin da bambino, non avesse fatto di tutto per farsi odiare.
E sarebbero stati tanti i casi per cui tutta la storia avrebbe potuto svolgersi diversamente, eppure uno soltanto si era avverato.
Quello peggiore.
Da un anno a quella parte, però, nella storia della sua vita mancava il coprotagonista.
Ne sentiva la mancanza come il personaggio principale della storia sente la mancanza del suo antagonista, dopo averlo sconfitto.
Era come la farfalla senza il fiore, come l'orso senza il miele, come il cielo notturno senza stelle.
Incompleto.
Ma la vita andava inesorabilmente avanti e lui non poteva concedersi nemmeno un istante per abbandonarsi al dolore; l'aver ereditato il nome di L aveva avuto un prezzo da pagare e quel prezzo era la sua umanità.
La totale e indiscussa dedizione all'opera iniziata da quel ragazzo strambo quasi quanto lui.
L'assorbimento di ogni pensiero e di ogni minuto da parte del lavoro.
Eppure quella parte sopita di lui, quella che portava ancora il nome di Nate River, continuava a rimpiangere la morte di Mihael Keehl.
Quel giorno era stato come risvegliarsi.
Era stato un caso che proprio per quel macabro anniversario lui e la sua squadra avessero dovuto recarsi in Giappone; come al solito la polizia giapponese non era stata in grado di risolvere un caso di omicidio e aveva chiesto il suo aiuto.
Ci aveva impiegato poche ore per arrivare alla risoluzione della faccenda, dopodiché una fotografia su una scrivania poco lontana l'aveva indotto a ricordare.
Non che avesse mai dimenticato, solo che, con tutto il lavoro che gravava sulle sue spalle, non poteva concedersene il lusso.
La vecchia foto di Mello situata sulla scrivania di Matsuda era stata come un pugno all'altezza dello stomaco.
Allora aveva ricordato.
Aveva ricordato il calore della mano di Mello bambino stretta nella sua.
Aveva ricordato il sapore di cioccolato della sua bocca, mentre lo baciava prima che lui se ne andasse dalla Wammy's House per incamminarsi sulla sua strada.
Aveva ricordato l'odore del suo corpo sudato sdraiato accanto al suo, poco dopo aver fatto l'amore per la prima volta.
Aveva ricordato la Chiesa bruciare contro il cielo, portandosi via il suo cadavere.
E tutta la tristezza derivata dal non essersi concesso nemmeno un istante per soffrire era scaturita fuori dal suo petto come una ventata gelida, fredda come la neve caduta sul Giappone quell'Inverno.
Notò solo in quel momento che aveva ricominciato a nevicare; piccoli fiocchi bianchi cadevano dal cielo danzando, coprendo le orme lasciate da Hal e Jevanni sulla strada e depositandosi sui suoi capelli, candidi come quei fiocchi.
Era ora di andare: non aveva il diritto di condizionare la vita e gli impegni natalizi della sua squadra e c'era ancora tanto lavoro da sbrigare sulla sua scrivania - per lo più scartoffie inutili.
Il tempo che si era concesso per abbandonarsi alla debolezza di un dolore che non doveva essere rivelato era stato più che sufficiente; adesso doveva solo aspettare di dimenticare di nuovo, una volta tornato a Londra, e lasciarsi assorbire dalle responsabilità che L gli aveva lasciato in eredità assieme al nome.
Con lentezza trasse dalla tasca la foto che ritraeva Mello adolescente: l'aveva presa dalla scrivania di Matsuda dove, assieme a quella, c'erano le foto degli eroi del caso Kira; non aveva idea di come avesse fatto a procurarsi una foto di L, ma sapeva esattamente dove aveva trovato quella di Mello.
Dopo la chiusura del caso, l'ex squadra di L aveva fatto visita al garage dove Mello aveva vissuto assieme a Matt e lì avevano trovato quell'unica foto che lo ritraeva.
Matsuda era un sentimentale: aveva deciso di tenerla e di appenderla sulla sua nuova scrivania per ricordarsi sempre di coloro che erano morti per distruggere Yagami Raito.
Ma quella foto gli apparteneva di diritto, quindi se l'era ripresa.
Sul retro c'era ancora la sua dedica, scritta un po' per prendere in giro Mello e un po' perché lo sentiva davvero caro - il più caro.
Dear Mello...
Il ragazzino della foto gli sorrideva spensierato, come un tredicenne che non conosceva ancora la sofferenza e il bruciore del fuoco.
Il Mello che ricordava, invece, non sorrideva e, se lo avesse fatto, ci sarebbe stato quello sfregio impietoso a deturpargli il viso.
Si chinò lentamente e scavò una piccola buca a mani nude, lasciando che i suoi sensi si concentrassero sul dolore alle dita causato dal bruciore dalla neve gelida, poi vi depositò la foto e coprì tutto con altra neve.
Nella tomba di Mello - di Mihael - non c'era un cadavere e quella Chiesa in rovina non racchiudeva più nessuna traccia del suo corpo carbonizzato.
L'unico frammento rimanente della sua esistenza era quella foto che doveva essere seppellita lì, nel luogo dove aveva perso la vita.
Alzandosi in piedi sentì il nodo allo stomaco sciogliersi lentamente, donandogli la sensazione dell'acqua che defluisce via dalle dita.
"Addio Mello..."
Si voltò per raggiungere l'auto parcheggiata sul ciglio della strada, camminando con passo calcolato e lento.
Poteva andare avanti adesso.
Poteva tornare al suo lavoro, poteva liberarsi dalla straziante angoscia di aver lasciato qualcosa di incompiuto e, finalmente, poteva pensare all'anima di Mello riposare in pace.
Eppure non poteva smettere di sentirsi in colpa per quella morte che era risultata necessaria.
Mello era morto, ma Near continuava a vivere.
Poteva solo andare avanti strisciando sui gomiti, anche se, ogni giorno che passava, si sentiva sempre più morto e vicino alla persona a lui più cara che aveva lasciato morire senza combattere.


Everytime I get ahead.
I feel more dead.

 
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