Poisonous Life, [26/11/07] eLyshina vs. MorganAyres

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eLyshina
view post Posted on 1/12/2007, 10:37




Fandom Death Note
Personaggi Matt/Mello
Rating Arancione
Genere Malinconico, Introspettivo
Avvertimenti Spoiler!, Shonen-ai
Disclaimer La trama e i personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata che ne detengono tutti i diritti; questa Storia è stata quindi scritta senza alcuno scopo di lucro.
Tipologia OneShot (parole: 3513/3510 con OpenOffice/Abiword)
Note dell'Autrice Purtroppo non mi ricordo a che puntata specifica dell'Anime si riferisce lo spoiler, però riguarda le puntate dalla 27 in poi. Se qualcuno di voi ricordasse il numero e volesse aggiungerlo alla storia faccia pure.
Io, intanto scrivo sotto tag a cosa si riferisce.
SPOILER (click to view)
La storia si riferisce all'evento in cui Mello fa esplodere il covo della mafia e successivamente si trasferisce nel bagno di Hal Ridner.

Bon, detto ciò diciamo che questa one-shot può essere considerata un seguito di Scars, storia scritta a tema "cicatrice" per la community di Mezzadozzina di fic, ma è leggibile anche separatamente.
Per il resto... no, nient'altro da dire. ^__^
Introduzione
"Tanto vale raccontarti ogni cosa..." sussurrò, voltando la testa per incrociare il suo sguardo.
"Prima o poi avresti dovuto farlo comunque..." disse Matt, accavallando le gambe "... altrimenti non vedo come avresti potuto pretendere di vivere con me mantenendo i tuoi scheletri sottochiave nell'armadio."
Mello sorrise - un sorriso amaro, privo di qualsiasi tipo di gioia.
"Stavo solo tentando di rimandare il gioco della verità il più a lungo possibile. So bene che non avrei potuto mantenere il segreto per sempre." Disse.

*

Poisonous Life


Quando l'aveva ripreso dalla casa di Hal Ridner, aveva pensato che Mello assomigliasse ad un gattino bagnato.
L'indifferenza e la sicurezza che aveva mostrato nel bagno della collaboratrice di Near erano sparite non appena avevano varcato insieme la porta della sua casa, stringendosi per mano così forte da far male.
C'era sofferenza, nel suo sguardo: poteva percepire il peso gravoso che gli attanagliava il petto e riusciva ad immaginare il dolore lancinante sul lato ustionato e putrescente del viso.
Ma erano usciti insieme, portando con loro le poche cose di Mello e il piccolo bagaglio che Matt si era portato dalla Scozia, e con quel gesto avevano segnato un nuovo futuro.
Una nuova vita li attendeva fuori da quel condominio; non restava che trovare un riparo dove dormire fino a che Mello non fosse guarito.
Matt sospirò, varcando la porta a vetri dell'ospedale.
Il riparo l'avevano trovato, anche se non era esattamente quello che lui aveva in mente quando aveva assicurato a Mello che avrebbe trovato una casa per loro.
Si erano diretti al Pronto Soccorso, appena usciti da casa di Ridner, e il dottore che Mello aveva chiamato a visitarlo l'aveva ricoverato d'urgenza, sottoponendolo ad analisi e ad accertamenti a causa di una presunta infezione dovuta al non aver curato le brutte ustioni.
Quel dottore - Matt non ricordava come si chiamasse - aveva detto loro che forse sarebbe stato possibile salvare l'occhio.
«Almeno quello.» Pensò, mentre si dirigeva verso l'ascensore.
L'ospedale di Los Angeles aveva qualcosa d'inquietante di sera; Matt aveva quasi l'impressione che fungesse più come riparo per i senza tetto che come convoglio di malati e parenti in attesa.
Nella hall, molti erano sdraiati sulle poltroncine e dormivano, esattamente come aveva fatto lui nelle ultime due notti; mentre Mello si godeva il suo ricovero, lui dormiva male su quelle scomode poltrone dell'accettazione.
Ma andava bene così, in fondo; Mello aveva bisogno di essere curato da bravi dottori e lui avrebbe addirittura imparato a fare i salti mortali pur di farlo curare: avrebbe cercato un lavoro per poter pagare medicine e medici, qualsiasi cosa per farlo guarire, se ce ne fosse stato bisogno.
Ma Mello aveva molti soldi da parte e aveva già l'assicurazione sanitaria.
Sospirò nuovamente, mentre l'ascensore saliva fino al quinto piano.
Quando gliel'aveva racconto, inizialmente non ci aveva creduto.
Cinque anni prima, se gli avessero chiesto che tipo di lavoro avrebbe potuto fare Mello per sopravvivere, sicuramente avrebbe risposto il leader; effettivamente, alla Wammy's House, riusciva ad organizzare e a sistemare tutto alla perfezione, dirigendo con maestria anche i bambini più grandi.
Matt aveva sempre pensato che Mello fosse fatto per comandare, lasciando che la sua impulsività prendesse il sopravvento per aiutarlo ad ottenere il rispetto dei suoi sottoposti.
Eppure, quando gli aveva raccontato quello...
Be', aveva riso.
C'era da aspettarselo, in fondo: non riusciva ad immaginarsi Mello immobile ad un lampione, assieme alle Squillo dei bassifondi, che esibiva il suo corpo come merce in una vetrina, aspettando soltanto che qualcuno decidesse di comprarlo per un paio d'ore.
Eppure era la verità.
Gli aveva mostrato le cicatrici che l'ultimo cliente gli aveva lasciato, picchiandolo con una frusta.
Ci credeva, adesso, ma gli restava ancora molto difficile prendere atto che Mello fosse sopravvissuto a Los Angeles facendo il gigolò.
C'era dell'altro dietro, qualcosa che lui non gli aveva detto e che, forse, non avrebbe dovuto sapere; eppure la curiosità era così grande che di sicuro gliel'avrebbe chiesto.
Forse non quella sera, forse nemmeno quella successiva.
Ma l'avrebbe fatto.
Perché lui amava Mello e il pensiero che qualche bastardo violento avesse abusato di quel corpo che tanto venerava lo mandava letteralmente in bestia.
Un odio bruciante, rosso come il sangue, gli pulsava nel petto chiedendo a gran voce vendetta.
Il bambino con la faccia angelica dei suoi ricordi era morto, sepolto sotto macerie taglienti e cicatrici indelebili; eppure, il Mello che era rinato dalle ceneri del suo passato gli piaceva quanto il bambino che era stato il suo unico amico.
Matt si rendeva perfettamente conto che il cambiamento dei suoi sentimenti e del modo di percepire gli atteggiamenti di Mello era dovuto, in parte, anche a se stesso.
Aveva lasciato la Scozia covando rancore: Mello l'aveva abbandonato, l'aveva lasciato solo in un posto che, senza di lui, gli era sembrato un inferno. Se n'era andato lasciandolo alla Wammy's House senza congedarsi neanche con un misero biglietto, e, durante i cinque anni di lontananza, non l'aveva mai chiamato.
Aveva creduto che, incontrandolo di nuovo dopo tutto quel tempo, quell'antico - ma sempre vivo - rancore avrebbe preso il sopravvento sui sentimenti congelati del quindicenne che era stato, ma non era andata così.
Qualcosa nello sguardo dell'altro l'aveva disarmato, uccidendo ogni singola, minuscola idea di conflitto che gli era passata in mente mentre viaggiava da Glasgow a Los Angeles.
E adesso si ritrovava a pensare che, forse, quello che aveva provato prima per il Mello bambino era diverso da ciò che provava per il Mello uomo; anche se, spesso in quei due giorni, si era ritrovato a pensare di avere di fronte uno sconosciuto, era sicuro di amare quegli occhi tristi e induriti da una vita senza scelte.
Perché era sempre Mello, in fondo, esattamente come lui era sempre Matt.
Erano maturati, ma quello che li aveva profondamente legati nel passato era ancora presente, lì dov'era sempre stato: aveva solo bisogno di essere rattoppato e ricucito.
Le porte dell'ascensore si aprirono, mostrandogli il corridoio bianco ed asettico del quinto piano; la stanza di Mello era la 207, l'ultima porta a destra dietro l'angolo del reparto.
Sospirò, uscendo dall'ascensore e camminando lungo il pavimento plastificato del corridoio silenzioso, dove poteva sentire soltanto il ticchettio del propri passi.
Non aveva assistito al ricovero di Mello: lui non aveva voluto.
All'accettazione del Pronto Soccorso aveva chiesto di poter parlare con quel dottore e il loro incontro era stato segreto.
L'aveva rivisto dopo, quando l'avevano portato all'interno dell'ospedale su una barella e lui gli aveva fatto cenno di seguirlo con una mano.
Non gli aveva raccontato niente di quel dottore, ora che ci pensava.
Gli aveva detto soltanto che era un vecchio amico e che avrebbe potuto fargli evitare l'arresto; Matt aveva pensato che si trattasse di uno dei suoi clienti abituali, ma aveva scacciato l'ipotesi notando la fede al dito di quell'uomo.
Anche il suo aspetto - austero, di una bellezza sfacciata - lo aveva fatto desistere da quell'idea: più che una certezza era una sensazione, ma si era sempre fidato del suo istinto, per cui era quasi certo quel dottore non era stato un cliente di Mello.
Si passò una mano tra i capelli rossi, scuotendo la testa.
Troppi punti interrogativi aleggiavano intorno a Mello, ma anche lui ci metteva tanti pessimi pensieri a farcire di incertezze la situazione: perché non poteva semplicemente fidarsi di Mello come avrebbe fatto cinque anni prima? Perché era così difficile, adesso, prendere come oro colato ogni parola che usciva dalla sua bocca?
Raggiunse a passo svelto la stanza 207 - una camera piccola, singola, priva di qualsiasi decoro - e fece per bussare ma, prima che riuscisse a farlo, una voce profonda e baritonale gli raggiunse le orecchie.
Si trovò immobile, appoggiato allo stipite della porta, ad origliare una conversazione che, quasi sicuramente, sarebbe dovuta rimanere privata.
Il dottore parlava.
"... e così sono tutti morti e tu ti sei cacciato in un guaio più grosso di quanto riesca a gestire." Stava dicendo.
"Non tutti, Jack, non essere catastrofista come al tuo solito." Disse Mello.
La sua voce arrivava all'orecchio di Matt ovattata e poco chiara, ma riusciva a capire ugualmente ciò che diceva.
"Sei fortunato che non ho interesse nel consegnarti alla Polizia, altrimenti..."
"Altrimenti cosa? Non pensare che sia lo sprovveduto che credi..." rispose Mello "... i documenti dei tuoi piccoli reati sono stati salvati dall'esplosione."
Il dottore rise.
"Mello, Mello..." disse, mentre la sua profonda risata si spegneva lentamente "... cosa si deve fare con te?"
"Curami, Jack, e poi dimentica di avermi incontrato." Rispose Mello, freddo, tagliente.
Il dottore disse qualcosa che Matt non riuscì a capire; quale che fosse l'argomento, la risposta di Mello non lasciò molto spazio all'immaginazione.
"C'è in ballo molto più di quanto credi, Dottore." disse "Non si tratta di uccidere qualcuno su commissione o di trafficare dei farmaci illegali, si tratta di persone che giocano con le vite di altre persone. E' un gioco macabro dove la posta in palio è la tua stessa vita: o sopravvivi o muori, non ci sono mezze misure."
"E tu giocherai, Mello?" Chiese il dottore con voce grave.
"Io ho iniziato a giocare a quindici anni, quando me ne sono andato da casa mia abbandonando tutto per vendicare un amico." Rispose.
Sentì il dottore camminare per la stanza diretto verso la porta: avevano sentito abbastanza entrambi.
Si spostò dallo stipite della porta, nascondendosi dietro l'angolo, e aspettò che l'uomo - Jack - uscisse dalla stanza per avviarsi verso l'ascensore in fondo al corridoio.
Quando se ne fu andato, Matt tornò vicino alla porta della stanza 207 e bussò.
"Avanti." Disse Mello dall'interno.
Matt entrò nella stanza, illuminata artificialmente con un neon che accecava gli occhi, e si tolse il giubbotto attaccandolo all'appendiabiti.
Mello era sdraiato nel suo letto d'ospedale, le coperte bianche e inamidate che gli coprivano metà del corpo, la schiena appoggiata sui cuscini rialzati; sul lato del viso ustionato, una benda bianca intrisa di disinfettante e antibiotico.
Esattamente come l'aveva lasciato quel pomeriggio, con l'unica differenza che, in quel momento, la fiducia che nutriva nei suoi confronti vacillava più del necessario.
"Com'è andata la ricerca?" Gli chiese.
Matt scosse la testa.
"Nessuna casa che corrisponda a ciò che cerchiamo."
Si sedette al suo fianco sul bordo del letto - esattamente dove voleva stare - e prese dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di gomme da masticare; ne estrasse una dal pacchetto e se la mise in bocca, iniziando a masticarla con una smorfia di disgusto.
"Questa roba fa schifo." Disse poi.
Mello sorrise - uno dei suoi più rari sorrisi divertiti, pervasi dalla malinconia nata in quei cinque anni di lontananza.
"Non puoi fumare qui." Disse semplicemente.
"Dici?" Disse Matt con fare ironico "Non me n'ero accorto."
Mello sorrise di nuovo, poi s'incupì e spostò lo sguardo dai suoi occhi al paesaggio fuori dalla finestra.
"Da quanto tempo eri lì fuori?" Gli chiese.
Quella domanda lo colse di sorpresa, giungendo inaspettata come un temporale estivo.
Forse mentirgli non sarebbe stata una cattiva idea: dopotutto il primo che aveva iniziato a coltivare menzogne era stato lui.
Ma una parte di sé - quella che amava Mello incondizionatamente, totalmente, senza riserve -, gli impediva di farlo.
La sua coscienza non aveva ancora riacquistato la forza per mentire a se stessa, come aveva fatto nei cinque anni in cui aveva provato a convincersi che di Mello non le importava più niente.
Si passò una mano tra i capelli e sorrise.
"Da un po'..." Rispose, lasciando volutamente la frase in sospeso.
"Hai sentito tutto?" Gli chiese, la voce improvvisamente atona.
"No." Rispose di nuovo, troppo in fretta per essere credibile.
"Non mentire!" esclamò Mello "Non sei mai stato capace di farlo."
Matt sorrise tra sé, facendo spallucce.
"E' vero, sono un pessimo bugiardo." Disse, poi sospirò passandosi una mano tra i capelli. "Ho sentito il necessario."
Mello sospirò a sua volta, accarezzandosi distrattamente la benda sul lato del volto.
"Tanto vale raccontarti ogni cosa..." sussurrò, voltando la testa per incrociare il suo sguardo.
"Prima o poi avresti dovuto farlo comunque..." disse Matt, accavallando le gambe "... altrimenti non vedo come avresti potuto pretendere di vivere con me mantenendo i tuoi scheletri sottochiave nell'armadio."
Mello sorrise - un sorriso amaro, privo di qualsiasi tipo di gioia.
"Stavo solo tentando di rimandare il gioco della verità il più a lungo possibile. So bene che non avrei potuto mantenere il segreto per sempre." Disse.
La sua voce aveva un tono così triste, così privo di speranze, che, per un istante, Matt si sentì in colpa per aver invaso quel lato della sua vita.
Che diritto aveva lui, in fondo, di pretendere una spiegazione?
Non erano mai stati una coppia; Mello non doveva rendere conto a nessuno delle proprie azioni, tanto meno a lui.
"Se non te la senti..." iniziò, ma l'altro lo fermò con un cenno della mano - anch'essa fasciata.
"A questo punto non ha più molto senso mentire." Disse.
Sospirò, voltando nuovamente il capo verso la finestra, e iniziò a raccontare.

* * *

Sai bene quanto me quanto possa essere difficile per un ragazzino di quindici anni andarsene da un posto che l'ha sempre accolto con benevolenza e immergersi in un mondo ostile.
Quando me ne sono andato dalla Wammy's House, non sapevo davvero dove sarei finito o cosa avrei fatto; il mio unico pensiero era odiare Near, odiarlo al punto farlo divenire un'ossessione, vincere quella sorta di gioco infantile iniziato tra i banchi dell'orfanotrofio e che volevo far proseguire anche fuori di lì, anche mentre il mondo risentiva gli effetti del delirio di un assassino.
Non mi interessava più che L fosse morto: ero solo furioso che l'avesse fatto prima di scegliere chi, tra me e Near, gli avrebbe succeduto.
Capisci?
Avevo dedicato la mia infanzia, anni della mia vita, ad imparare come sfruttare al meglio la mia intelligenza per ottenere quel posto, e vedere come tutto sfuggiva via dalle mie mani - sogni che si infrangevano come vetro caduto - mi rendeva pazzo, pazzo di rabbia e di disperazione.
Sono sempre stato molto impulsivo nei miei atteggiamenti e, quando Mr. Roger ha comunicato la morte di L chiedendo a Near e a me di collaborare, andarmene il più lontano possibile da quelle persone, che non capivano niente e che si muovevano cospirando contro di me, mi è sembrata la scelta più logica e quella più giusta.
Non avevo pensato a nient'altro che ad allontanarmi da ciò che mi causava dolore e sofferenza, anche se voleva dire tagliare i ponti con un passato felice e con persone a cui tenevo; in balia delle mie emozioni e del mio pessimo carattere, pensavo soltanto ad andarmene e a fare a modo mio, con i miei mezzi.
I soldi che avevo non erano sufficienti per spostarmi da un luogo all'altro per raccogliere informazioni su Kira, per cui ho scelto un posto qualsiasi sulla cartina e sono andato lì.
Los Angeles.
Città tentatrice ed illusoria, ti dà tutto e te lo toglie un attimo dopo, ti fa grandi promesse e non ne mantiene nessuna.
Dovevo avere una casa, un lavoro che mi permettesse di guadagnare dei soldi e mantenere del tempo libero per le mie indagini, ma non ho ottenuto niente di tutto questo.
O almeno non nella misura in cui speravo.
Mi sono ritrovato solo, affamato, in mezzo ad una città che di notte appariva completamente trasformata, senza un posto dove dormire e senza denaro per affittare anche solo una camera d'albergo.
Matt, sono stato costretto ad indirizzarmi su una strada che prima non avrei mai scelto.
L'incontro con il Boss e con la sua compagnia di delinquenti è stata la mia fortuna e la mia rovina.
Ero solo in mezzo ad una strada, così affamato che il mio stomaco si ripiegava su se stesso tanto era in preda agli spasmi, infreddolito e sporco; il Boss mi si avvicinò e mi chiese se volessi andare con lui: io accettai.
Ero alle strette, non avevo scelta - non ho mai avuto scelta.
Mi dette un letto, del cibo e dei vestiti e, da prima, sembrò che in cambio non mi chiedesse nient'altro che sbrigare qualche lavoretto per lui; ero felice: per una volta sembrava che le cose procedessero nel modo giusto.
Cominciai a lavorare e, nel tempo libero che il lavoro per il Boss mi lasciava - si trattava per lo più di portare casse imballate da un posto all'altro -, proseguivo la raccolta di materiale sul caso Kira.
Tutto era perfetto finché una sera, il Boss mi svelò i suoi piani per me.
«Sei carino.» Mi disse. «Fino ad ora ti ho semplicemente usato per farti conoscere a tutta la banda. Adesso è il momento che tu faccia ciò per cui ti ho raccolto dalla strada.»
Il prezzo da pagare per vivere in una città che non ti regala mai niente: avevo un debito verso il Boss, dovevo ripagarlo con soldi e avrei dovuto guadagnarmeli da solo, da libero professionista.
E' stata dura i primi tempi: tu non immagini quanto mi sentissi male ogni volta che qualcuno mi possedeva, ogni volta che ricordavo cos'era stato per me il sesso fino a quel momento.
Ogni volta che avevo un cliente, davanti ai miei occhi vedevo Near - il piccolo Near che ricordavo - con la faccia contratta dall'orgasmo e, ogni maledetta volta, era una nuova ferita che si aggiungeva alle cicatrici della mia anima.
Poi ho imparato a non lasciarmi coinvolgere da quello che dovevo fare: era un lavoro come un altro, poco importava se dovevo lasciare che persone di ogni tipo - uomini e donne - si approfittassero del mio corpo; ho dimenticato il volto di Near durante quell'unica volta che abbiamo fatto l'amore, chiudendo i ricordi scomodi in un cassetto, ho enfatizzato l'odio e la cattiveria che mi sono stati insegnati sin da bambino e, come vedi, sono sopravvissuto.
Venivo pagato bene, molto bene, e in poco tempo sono riuscito a farmi una fama nella Los Angeles dei bassifondi.
Uno dei gigolò più ambiti, il pupillo del Boss, il più intelligente della banda e quello che guadagnava di più.
Mi occupavo, oltre che del mio impietoso mestiere, anche di qualche traffico di droga e di medicine illegali, occultamento di prove... Tutte cose che il Boss decise di affidarmi, fidandosi di me come se fossi un parente - o addirittura un figlio.
Avevo fatto carriera e la mia vita si svolgeva in una routine fatta di incontri con malviventi e con prostitute, assassini e persone rispettabili corrotte.
E' stato allora che ho iniziato a raccogliere le vere informazioni su Kira: tutto ciò che ho dedotto, tutto ciò che so adesso, è grazie al mio ingresso nella malavita di Los Angeles e grazie al mio lavoro pagato con soldi sporchi.
Dovevi vederli i criminali coi quali mi capitava di contrattare: spaventati come bambini di fronte al buio notturno, o dall'uomo nero delle favole.
Tutti che, come noi, avevano adottato un nome falso per salvarsi da Kira e dalla sua zoppicante giustizia e, nonostante le misure di sicurezza, finivano per morire a causa sua.
Solo quando anche uno dei nostri è finito per essere una vittima di quell'assassino, ho deciso di rivelare al Boss e alla banda chi fossi e cosa volessi.
Ho raccontato della Wammy's House, dei dati raccolti da L e da me, di Near, di te... di tutto.
Da prima il Boss non voleva credermi, nessuno lo voleva; sono stato costretto a mostrare i file che avevo archiviato nel mio computer per ottenere ancora una volta la fiducia del gruppo, e l'ho avuta, dannazione!
Ci siamo organizzati così bene che credevo di farcela, questa volta.
Kira, però, non è uno stupido sprovveduto e nemmeno il falso L della squadra investigativa giapponese lo è: abbiamo tentato di tutto, arrivando a rapire civili estranei a questa guerra fredda, eppure ci hanno sottratto sia l'ostaggio che il Death Note - quale oscura invenzione divina - che gli avevamo estorto.
Infine, ci hanno trovato all'interno della nostra base e...
No, quello non l'hanno fatto loro.
Sono stato io a far esplodere tutto quanto, me stesso compreso, e l'ho fatto per salvarmi dalla condanna a morte e dalla prigione.
L'ho fatto per continuare a giocare con Near fino alla fine.
L'ho fatto per vendicare L.
E per me stesso, perché anche se tutto sembrava perduto io potevo ancora sopravvivere e continuare a dare la caccia a quell'assassino con un quaderno paranormale.
Ma mai... mai avrei voluto che tu fossi coinvolto in questa gara perversa a chi muore prima.
Mai, Matt.

* * *

Quando Mello finì il suo racconto, Matt pensò che somigliasse nuovamente al gattino bagnato che gli era apparso davanti agli occhi nel bagno di Hal Ridner.
La sicurezza riacquistata in quei pochi giorni di ricovero sembrava svanita: l'occhio sano era spento e fissava il vuoto, il viso tirato in un'espressione seria e pensosa, triste anche.
Lui non sapeva cosa dire.
Il racconto di Mello era così... così... Nemmeno lui avrebbe potuto definirlo in quel momento, solo sentiva un nodo all'altezza dello stomaco nel vedere la persone che amava con un'espressione ferita.
Sui quei ricordi non poteva influire: Mello li avrebbe tenuti con sé per sempre, lottando per dimenticarli ogni singolo giorno.
Però poteva aiutarlo a guarire le sue ferite, quelle del corpo almeno; di quelle dell'anima si sarebbe occupato fuori da quel maledetto e asettico ospedale.
Prese con la sua la mano sinistra di Mello, quella libera dalle bende, e la strinse forte.
"Sono contento che tu mi abbia raccontato tutto." Disse, sorridendo.
Mello ricambiò il sorriso con un ghigno storto carico di angoscia.
"Sì... anch'io." Rispose.
Poi si voltò di nuovo e tornò a fissare il vuoto fuori dalla finestra, mentre davanti agli occhi di Matt si riflettevano i ricordi dei bambini spensierati che erano stati e che non sarebbero tornati mai più ad essere.
 
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ikumi
view post Posted on 17/2/2008, 19:57




Punteggio: 8.50
Recensione:
hai elaborato il racconto di Mello in modo molto realistico; sia per quanto riguarda il personaggio originale sia per il tema che riguarda la malavita e la prostituzione. Non è forzato o "meccanico": è del tutto naturale, raccontato con il giusto temperamento; inoltre lo stacco tra narrazione e introspezione è evidente e ciò rende ancor più reale l'espressività del racconto. La scelta stilistica è del tutto appropriata, insomma.
Visto che la storia è fuori concorso mi permetto di dire (avendo letto la tua One-Shot Scars) che è una spin-off molto gradita in quanto, a mio parere personale, completa la visione di quel frammento di storia lasciato con un finale cupo ma speranzoso.
Inutile dire che il legame fra i personaggi è trattato in modo profondo (te lo dico troppe volte, eh! XD). Un ottimo lavoro.


 
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eLyshina
view post Posted on 18/2/2008, 13:04




Grazie mille Sonia, sono davvero felice che ti sia piaciuta *___*
Grazie davvero ed infinitamente :wub:
 
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2 replies since 1/12/2007, 10:37   59 views
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