Nelle tue mani, [30/10/07] Prova Fandom Libero

« Older   Newer »
  Share  
taisa*
view post Posted on 8/12/2007, 11:19




Fandom: Dragon Ball
Personaggi: Bulma Vegeta
Rating: Arancione
Genere: Romantico, Dark, Introspettivo.
Avvertimenti: Non per stomaci delicati.
Disclaimer: La trama e i personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà di Akira Toriyama che ne detiene tutti i diritti; questa storia è stata quindi scritta senza alcuno scopo di lucro.
Tipologia: One-Shot.
Introduzione: Le tue mani sporche di sangue, e le mani di chi ti tocca senza sporcarsi.


NELLE TUE MANI



Buio.
Tenebra, nient’altro che oscurità.
Solo il colore della notte a perdita d’occhio.
Dovunque posasse lo sguardo vi era solo nero.
In quel luogo non era visibile nulla di tangibile, nulla che il tatto potesse definire reale.
Non gli era chiaro se fossero solo i suoi occhi a renderlo cieco, o davvero in quel posto non vi era nulla di tattile.
Le sue pupille si scostarono da ciò che si estendeva davanti a sé, e lentamente cominciò a ruotarle in un’altra direzione.
Il panorama non sembrò mutare, esso rimase immobile, fisso, assolutamente fittizio.
Nulla sembrò variare in quel luogo immutabile della quale, egli stesso, non ne conosceva l’ubicazione.
Dove fosse quello strano ed incorporeo luogo non gli era chiaro.
Non sapeva nulla a riguardo, non sapeva nemmeno per quale motivo i suoi piedi stessero calpestando tale terreno.
Lui si trovava lì e basta, senza nessuna spiegazione, senza nessuna giustificazione.
Le risposte non erano il suo forte, lui si limitava ad ottenerle, senza mai bisogno di darle.
E se l’unica cosa certe era l’immancabile appezzamento sotto le sue scarpe, allora lo avrebbe sfruttato per ottenere le sue risposte.
Un leggero passo in avanti con costante circospezione.
Non sia mai che il terreno sotto ai suoi piedi, l’unica certezza, lo abbandonasse proprio nel momento in cui gli poneva la totale fiducia.
Un altro leggero passo, che come il precedente, si spostò producendo un suono sordo ed irreale.
Fu dopo alcuni passi che si accorse dell’esistenza di qualcos’altro in quel mondo immerso nel nulla.
Il suo piede sembrò schiacciare qualcosa, ed istintivamente abbassò il capo con l’intento di conoscerne l’origine.
Rosso.
Il liquido denso e scarlatto macchiò i suoi stivaletti bianchi.
Sul suo viso nessuna smorfia di disgusto, quel fluido non lo aveva mai impressionato.
Nessun mutamento sui suoi lineamenti, si limitò ad osservare quella macchia contrastante con assoluta freddezza.
Fu altro ad attrarre la sua attenzione.
Osservò una mano, assestante dal resto del corpo, stesa al suolo.
Nemmeno questo ennesimo, raccapricciante, dettaglio sembrò turbare il suo volto deciso ed, apparentemente, inespressivo.
L’altro piede si spostò leggermente, ed ancora una volta qualcosa lo sfiorò.
La scena sembrò ripetersi tale e quale.
Prima il sangue, poi la mano.
Quasi in un gesto istintivo si osservò i palmi delle mani, per essere, inconsciamente, certo che esse fossero al loro posto.
Esso era lì.
Carminio, quasi abbagliante.
Gocciolava lentamente dalle sue dita nascoste dai guanti, sporche anch’esse di qualcosa, qualcosa che andava ben oltre l’accecante colore che illuminava le tenebre.
Una colpa.
Strattonato, accerchiato, afferrato.
Mani, tante mani lo circondarono senza permettergli una via di fuga.
Mani recise, prive arti o di corpo.
Mani che lui stesso aveva ucciso.


Vegeta si svegliò in un bagno di sudore.
Gli occhi spalancati dal terrore, e il respiro affannato.
Lo sguardo vacuo, fisso davanti a sé nel tentativo di dimenticare, o ricordare, ciò che la sua mente aveva appena elucubrato.
Un tenue tremolio lo percosse da capo a piedi, e la sua respirazione era ancora ritmata da grosse boccate.
Solo quando deglutì sonoramente l’allargarsi ossessivo del suo diaframma diminuì gradualmente.
Il movimento del suo torace sembrò calmarsi, ma il suo sguardo non si era ancora scostato dal vuoto, che immaginariamente, lo circondava.
Il tremore della sua mano non gli impedì di adagiarla sugli occhi ancora sbarrati, persi in uno sguardo vano.
I suoi occhi, solo allora, misero a fuoco la sagoma di dita che si era frapposta tra loro e la distesa di coperte.
Con lentezza scostò la mano dal volto, mentre le sue pupille, ancora perse nel torpore, continuavano a fissarla.
Il suo sguardo tornò ad essere improvvisamente vivo, e la sua espressione si contrasse in una smorfia carica di rabbia.
Il pugno ben stretto sancì la fine del suo apparente coma, ma non dei suoi incubi.
Con un gesto rapido della mano scostò le lenzuola che lo stavano ricoprendo.
Poggiò i piedi su gelido pavimento solo dopo un fugace momento di smarrimento.
Un brivido di freddo, causato dalle mattonelle gelide, gli ricordò di essere sveglio.
Non c’era sangue sul pavimento della sua stanza.
Non più.
Non c’erano mani a sfiorargli le piante dei piedi.
Con la mente cercò di tornare alla realtà, nel mondo in qui si trovava, adesso.
Non ebbe più alcuna esitazione, con decisione si issò dal letto, dirigendosi verso il bagno adiacente alla stanza.
Due squarci di cielo lo fissarono sparire nelle tenebre.

Lo sguardo era tornato quello duro ed imperscrutabile di sempre.
Nei suoi occhi un velo di rabbia che, secondo dopo secondo, diventava sempre più evidente
Come se il flusso dei suoi stessi pensieri lo rendesse nervoso.
Fissava l’immagine riflessa nello specchio in una strana contemplazione di sé stesso e di ciò che vedeva del suo ritratto.
Una mano tornò a stringersi nervosamente a pugno, scossa da un vistoso tremolio.
“Maledizione!” imprecò al mondo scagliando la sua ira contro l’innocente specchio.
Il rumore di vetri infranti non lo distolse dalla sua rabbia.
Le sopracciglia crucciate, e lo sguardo disperso sul pavimento in cerca di una qualsiasi risposta.
“Vegeta” sussurrò una voce sulla soglia del bagno, “Stai bene?” gli chiese in un bisbiglio la donna che apparve ai suoi occhi, appena egli alzò lo sguardo.
Vegeta restò a fissarla per qualche istante, indeciso sulla sua risposta.
Optò per la più logica “Certo” replicò scostando lo sguardo da quello di lei.
Bulma capì che stava mentendo.
Gli occhi di lei si spostarono sullo specchio, ormai in frantumi, e sull’arto dell’uomo.
Non impiegò molto a riscontrare le gocce cremisi che, con lentezza, sgorgavano tra le dita di lui, fino a macchiare il lavabo bianco.
In contrasto.
“Stai sanguinando!” esclamò agitata, e senza indugi si precipitò verso la mano del compagno stringendola tra le sue dita affusolate.
Vegeta la lasciò fare in silenzio, si limitò ad osservare le mani della donna.
Bianche, candide.
Pure.
“Vieni, te la medico subito” suggerì in un velato ordine, in una calma che non le apparteneva, almeno normalmente.
L’uomo ritirò la mano con un gesto brusco “Ti ho detto che sto bene” ribadì accompagnato da un ringhio.
Bulma osservò le sue mani, alzò il capo incrociando le tenebre “E secondo te questo vuol dire stare bene?” gli disse sarcastica mostrandogli i palmi.
Intaccate, sporche.
Rosse.
Un’altra colpa.
Vegeta digrignò i denti, l’altro pugno si strinse ancora una volta.
“Andiamo, non fare il testone come al solito. Ci vorrà un attimo” ordinò irremovibile, ed evidentemente intenzionata a fare quanto detto.
Seppur con una certa delicatezza.
L’uomo restò a contemplare il suo volto per alcuni secondi.
Bulma lo interpretò come un assenso.

L’unica luce accesa era quella tenue dell’abat-jour sul comodino.
Piccola e bianca illuminava, con la sua ammirevole forza, l’intera stanza sconfiggendo, almeno in parte, l’oscurità.
Lo sguardo si Vegeta era fisso sulla sua mano, fasciata, con cura ed esperienza, dalle dita sottili della donna.
Bulma strinse la garza allacciandola affinché non si svolgesse dalla mano del compagno, “Fatto” annunciò senza però liberare la presa, immergendosi nei suoi pensieri.
Solo quando sentì le dita dell’uomo divincolarsi tornò con i piedi per terra.
In un istintivo gesto strinse maggiormente la presa per non permettergli di sfuggire.
Vegeta guardò il suo volto senza comprendere la motivazione del suo gesto.
“A me puoi dirlo, Vegeta. Cosa ti preoccupa?” domandò infine lei, incrociando gli occhi dell’uomo.
Silenzio.
“Non so di cosa parli” si affrettò a rispondere falsamente l’uomo discostando lo sguardo, affinché lei non potesse leggervi dentro.
E lei sapeva farlo.
Silenzio.
Le era bastato quel gesto per capirlo, non le sfuggivano i suoi turbamenti, le sue preoccupazioni, e sue paure.
L’uomo si sentì penetrare all’interno del suo animo, “Dovevo andare in bagno” cercò di mitigare l’indagine che era in atto sulla sua persona.
Bulma strinse la sua mano bendata “Ah, e lo specchio cosa ti aveva fatto? Insisteva a voler riflettere la tua immagine?” mormorò sarcastica per nascondere quel groppo in gola che la stava attanagliando.
“Non dire idiozie” fu la risposta scontata del principe senza popolo che ritirò la mano in un gesto di stizza.
La donna lo fissò con un’espressione severa, ma nel contempo preoccupata, “Va bene, signor NonHoBisognoDelTuoAiuto, non pretendo che tu mi dica cos’è successo” riprese lei appoggiandosi le mani ai fianchi “Anche perché credo risulterebbe impossibile” aggiunse sbuffando.
“Però” continuò facendo assumere al suo viso dei lineamenti addolorati, “Promettimi almeno una cosa” disse afferrandogli, nuovamente, la mano bendata “Promettimi che non ti farai più del male. Non sopporto vederti ridotto in questo modo” concluse malinconica.
Vegeta sgranò gli occhi, senza però rivolgerli alla compagna.
Bulma gli accarezzò le dita “Non sopporto vedere le tue mani fasciate” proseguì appoggiandogli la mano sul proprio zigomo “Sai mi piacciono tanto le tue mani” concluse chiudendo gli occhi.
Vegeta girò improvvisamente lo sguardo su di lei.
Le sue mani, sporche di vermiglio, le sue mani, sterminatrici di tante altre, le piacevano?
Sul viso della donna si disegnò un sorriso dai tratti malinconici “Sono forti, ma delicate” spiegò lasciandosi trasportare dalla fantasia, in un luogo utopistico.
Constatò di non aver bisogno di viaggiare tanto con l’immaginazione.
Le dita fasciate di lui scivolarono dietro la nuca della donna.
Bulma aprì le palpebre riscoprendosi ad un palmo dal naso da lui.
Le loro labbra s’intrecciarono.

Bianco.
Luce, null’altro sfiorò i suoi occhi.
Grande, immenso, abbagliante.
L’unico colore che lo circondava, l’unica tonalità che si estende a perdita d’occhio.
Seduto al centro di esso, sempre che un centro esista, a gambe incrociate.
L’ubicazione di quel luogo non gli interessava.
Non c’era bisogno di camminare per sapere che non vi è altro che desolazione.
Solo bianco.
Nessun altro colore lo circonda.
Anche la materialità sembra inconsistente.
Seduto sì, ma con ogni probabilità il suolo era solo un’illusione.
In una strana contraddizione, tutto ciò che esisteva sembra inafferrabile.
Non tutto.
Un oggetto bianco danzò nell’aria costringendolo ad alzare lo sguardo.
Lieve, leggiadra si posò sul palmo della sua mano.
Lui la osservò in silenzio, mentre la piuma gli sfiorò delicatamente la pelle.
Una mano si concretizzò davanti ai suoi occhi.
Piccola, leggera e dal candore degna del bianco circostante.
Una figura, altrettanto minuta, si materializzò lentamente.
La sagoma si disegnò nel vuoto, alle sue spalle una casa dalle mura rotonde.
Alzò lo sguardo osservando una punta di azzurro, intravista nella nebbia.
“Vuoi darmi la tua mano?” domandò la famigliare silhouette, dai lineamenti perfettamente riconoscibili.
Restò a fisse le piccole dita per svariati istanti, infine decise.
Vegeta afferrò quella mano.


FINE



 
Top
0 replies since 8/12/2007, 11:19   56 views
  Share