Jane Doe, [16/10/07] Prova sulle Creature Notturne

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Fantafree
view post Posted on 17/12/2007, 23:50




Titolo: Jane Doe
Raiting: Rosso
Genere: Dark, Horror
Avvertimenti: Non per stomaci delicati, Slash (solo poche allusioni saffiche)
Tipologia: One-shot, Song-fic.
Immagine scelta: n. 9
Note dell'autrice: La canzone che ha ispirato la fanfiction è "Jane Doe" dei Within Temptation.




Jane Doe



L’acqua nera del porto risciacquava ininterrottamente rifiuti e sudiciume, mentre la luce pallida della luna illuminava il corpo freddo steso sull’asfalto.
La morte non ne aveva consumato la bellezza, la pelle era bianca, bagnata, le palpebre chiuse e violacee, le labbra del medesimo colore. I seni candidi rivolti al cielo color pece, i capelli sciolti e fluenti sul terreno.
Un taglio verticale le sfigurava il ventre piatto, come se fosse stato aperto per infilarci qualcosa dentro e poi richiuso. Dei fiori, magari, come usava fare in alcune vecchie tradizioni per le vittime dei vampiri sessuali.
O magari delle pietre, perché il corpo non riemergesse dall’acqua.
Un sacco nero, freddo come lei, ad avvolgerne il corpo sorprendentemente privo della parvenza di fragilità che aveva avuto in vita.
L’uomo si asciugò il viso con la manica della camicia, sudato nonostante i due miseri gradi che separavano la lineetta del mercurio dallo zero.
Adesso veniva la parte più difficile. Aveva quasi rigettato mentre le apriva lo stomaco, ma era in qualche modo riuscito a impedirsi di farlo. Le pietre l’avrebbero tenuta sul fondo.
Se solo fosse riuscito a buttarcela.
“Ascolta cara, questa storia deve finire qui, io amo la mia donna”
La sua risata, divertita da quelle parole, crudele.
Sollevò il corpo dentro il sacco. Era pesantissimo.
Non gli era sembrata così pesante mentre facevano l’amore a Kitter’s Inn, quello squallido motel di periferia.
Le piaceva stare sopra.
Un tonfo più silenzioso di quanto aveva osato sperare accompagnò la caduta del sacco, che sprofondò nell’acqua sudicia, giù verso il fondo, dove guardando in alto si poteva ancora vedere il riflesso della Luna, bianca e lattiginosa come l’occhio di un morto.

***


Lucy si svegliò di soprassalto; aveva avuto un incubo, ma non lo ricordava già più. Tastò istintivamente l’altra metà del letto, ma la trovò vuota. Dov’era lui?
Tese l’orecchio nel buio e sentì il familiare scroscio della doccia provenire dal bagno.
Che stava succedendo? Si alzò silenziosamente, aiutata dalla moquette, percorrendo il corridoio senza accenderete la luce e fermandosi davanti alla porta del bagno.
Rimase ferma alcuni istanti, poi girò la manopola.
-Lucy- La chiamò l’uomo in accappatoio che uscì dalla doccia. La donna fece un salto indietro, portandosi un mano ai capelli neri.
-Cosa...cosa stai...- Deglutì, mentre lui la guardava perplesso, come se fosse perfettamente normale farsi una doccia alle quattro del mattino.
-...che stai facendo?- Lui si asciugò i capelli, senza guardarla negli occhi.
-Sono tornato adesso- Anche Lucy abbassò gli occhi.
-Oh- Nonostante la doccia, l’odore salmastro del mare e dell’alcol le invadeva sgradevolmente le narici.
-Sei rimasto al pub tutta la notte?...- Gli disse, voltandosi verso lo specchio, perché lui non vedesse l’espressione contrita che le sfigurava i dolci lineamenti un po’ incisi dal tempo.
Ma l’uomo la vide lo stesso e sentì il vuoto che s’era formato fra di loro. Ne ebbe paura.
Non poteva precipitare tutto adesso, non ora che era finita. Perderla adesso sarebbe stato ridicolo.
-Lucy...scusa. Non farò più così tardi- La donna si morse il labbro, e quando parlò la voce non era del tutto ferma. Non si capiva se tratteneva urla o lacrime.
-Sai...non hai idea di quanto sia difficile...aspettare...che tu torni dal pub, tutte le sere- Lui strabuzzò gli occhi ma non la fermò, non ci sarebbe riuscito.
-...io...la mia pazienza sta arrivando al limite...- Si voltò finalmente a guardarlo e lui, mentre le gocce d’acqua calda si asciugavano spiacevolmente sulla sua pelle, capì che erano alla resa dei conti.
-...ora devi scegliere. Fra la vita che avevamo prima e quella che potresti avere...se io me ne andassi. Questa non può continuare- Lui fece un passo avanti, improvvisamente a disagio per via dell’accappatoio.
-Scelgo te! Scelgo noi Lucy, davvero. E’ l’ultima volta...che torno a casa a quest’ora- La donna annuì. Non sembrava che avesse veramente afferrato la decisione del marito. Fece per voltarsi, ma l’uomo la raggiunse sulla porta, abbracciandola.
-Ti amo- Le disse, mentre Lucy cedeva, arrendevole, umiliata ma consapevole di amarlo troppo per lasciarlo. Gli avrebbe dato un’ultima possibilità, si diceva.
Solo un’ultima possibilità, continuava a ripetersi inconsciamente, mentre facevano l’amore.
Mentre sangue scuro veniva risucchiato lungo lo scarico della doccia.

***


Non c’è funerale per lei. Né le parole di conforto di un prete, né storie di angeli e paradiso.
Un solo fiore rancido, condotto lì dalla marea, da chissà dove, galleggia sopra la sua tomba d’acqua.

***


Tess uscì da “La Luna Blu” dondolando la borsetta piena di strass.
Era felice. Ed era anche sbronza.
Un mix esplosivo, pensò ridendo.
Sapeva cosa vedevano gli altri guardandola. Una lesbica altolocata appena uscita da uno dei locali gay più “in” della città, con i tacchi degli stivali lucidi che ticchettavano allegramente sul marciapiede e un sorriso affascinante e appiccicoso di rossetto.
Ehi tesoro, poteva quasi sentire i fischi degli ubriaconi della mezza seduti fuori dai bar a parlare di porcate e corse di cavalli. Vieni qui, che ti facciamo cambiare gusti.
Gettò la sigaretta fumata solo per metà nel primo cestino che incontrò.
Ma chi se ne frega, pensò ridendo, anche se solo dentro di sé.
I lampioni diminuivano lungo la via, e nel buio la borsetta scintillava anche più degli anelli che portava alle dita.
Quella era stata l’ultima notte in quel fottutissimo bar da ricchioni, garantito.
Sarebbe andata a fare la segretaria da qualche parte, avrebbe smesso di pendere dalla labbra di suo padre e di andare a fare baldoria con gli amici d’alta società ogni volta che lui chiudeva i rubinetti.
Magari avrebbe pure smesso di fumare. Perché no, in fondo? Quelle schifezze facevano venire il cancro.
I soldi per partire li aveva, ora come ora. Avrebbe comprato un appartamento un po’ più grande e venduto il proprio. In periferia questa volta, non nel centro. Troppo traffico, troppo schifo.
La sua compagna sarebbe venuta a vivere con lei. Avrebbero abitato nella stessa casa.
Per un attimo, gli occhi chiari s’illuminarono più di quanto gli strass di plastica lucida della borsetta avrebbero mai potuto fare. Un sorriso le incurvò di nuovo le labbra, quasi tenero nella sua spontaneità.
L’espressione di una ragazza innamorata.
Se lo vorrai, amore. Tutto questo, se lo vorrai. Se mi vorrai.
Il grido sguaiato di un motociclista, non lontano dalla via lungo la quale camminava, la riportò bruscamente alla realtà.
Si guardò intorno, chiedendosi se non avesse sbagliato strada. C’era così tanto buio…
Tanto che quasi inciampò nei sacchetti dei rifiuti lasciati in mezzo alla strada.
-Porco cane!- Imprecò, sfilando il tacco appuntito dall’immondizia. Qualche randagio doveva essersi divertito a sbranarne uno, di quei sacchetti. C’erano pezzi di plastica nera tutto lì intorno.
Tutto ad un tratto Tess desiderò più che mai essere altrove. Aveva paura dei cani e aveva un brutto presentimento. Si guardò intorno e prese a camminare più velocemente.
Perché proprio quella sera era dovuta tornare in quel locale? Quanto avrebbe desiderato starsene già a casuccia sua insieme a Anne, a bere vino accomodate sul divano (a meno che a Anne non saltasse in mente di bere ancora tè col latte).
Uno leggero scalpiccio da dietro di sé. Qualcuno la seguiva.
Aumentò ancora il passo, le lacrime agli occhi, la paura nel petto, insieme a un senso d’oppressione elevato all’ennesima potenza.
Chi c’era lì con lei? Chi l’avrebbe aiutata se l’avessero aggredita?
Oh, Anne, invocò mentalmente, mettendosi a correre. I piedi le dolevano per via dei tacchi, l’aria della notte si faceva più fredda.
E c’era puzzo. Puzzo di pesce morto. Pensò che potesse provenisse dai rifiuti, ma sembrava piuttosto impregnare l’aria. Eppure il porto era lontano da lì, e dalle fognature non passava certo l’odore di mare inquinato.
Inciampò, sentendo il tacco dello stivale da duecentoquarantanove dollari e settanta spezzarsi sotto il suo dolce peso. Si rialzò a fatica sui ginocchi, tentando di sfilarseli.
Anne, singhiozzava, senza alzare gli occhi davanti a sé, sentendo passi avvicinarlesi barcollanti ma tutt’altro che indecisi, i passi di qualcuno che cammina di sghimbescio. C’era qualcosa di orribile, di animale, nel suono di quella camminata. Ma non poteva essere un cane.
-Anne!- Ansimò, riuscendo a sfilarsi gli stivali e a rimettersi a correre.
Fa che non mi accada niente, pregava, mentre sassolini le si conficcavano nelle piante dei piedi, protette solo dalle calze nere.
Non può stare senza qualcuno che badi a lei, finirebbe come me!
Ma forse era lei in fondo ad aver bisogno di protezione.
Si infilò in un vicolo, di quelli che gli ubriachi amano tanto e che a differenza di quello che pensano molti scrittori di paura, non sono quasi mai ciechi. Non lo era nemmeno il suo.
Il suono del traffico, là in fondo, le sciolse il nodo che aveva nel petto. Non conosceva quella parte di città, ma macchine equivaleva a persone. Persone equivaleva a salvezza.
Corse più che poteva, ignorando il dolore ai piedi. Tentò di farsi venire alla mente il viso di Anne, ma la paura della morte era più forte ancora del desiderio di rivederla, che il cielo la perdonasse.
Riusciva a vedere le luci, anche se le sembravano tanto piccole.
Uscì dal vicolo e si fermò, le labbra dischiuse, immobile, osservando i fari delle macchine in coda sopra il cavalcavia. La ghiaia della riva di un fiume verdastro le scricchiolava sotto i piedi nudi.
Fissò le luci rosse e gialle, in alto. Irraggiungibili.
Anne, la chiamò dolcemente col pensiero, ancora una volta, e finalmente le apparve il viso tondo della ragazza, con i corti capelli color carota e i ricordi dell’acne giovanile intorno al nasino.
Il cd che le aveva portato, di quel gruppo di barboni con l’anello al labbro e una botta incredibile che pareva vomitassero addosso agli ascoltatori, quello che Anne aveva definito “hard rock", facendoglielo partire a tutto volume nel salotto.
E’ un regalo, aveva detto con quel sorriso da peste.
L’essere che camminava come uno che si muove sulle grucce, probabilmente privo di calzature, uscì dal vicolo, rallentando mentre le si avvicinava.
NO.
Tess chiuse gli occhi, tenendo bel saldo il volto sorridente della fidanzata, nonostante questo cominciasse già a sfumare.
Fece quello che tanti suoi compagni di serate non avrebbero saputo fare, alla faccia degli scrittori di paura.
Non gridò. Nessun grido agghiacciante per lei. Si voltò, tenendo gli occhi chiusi, preferendo il buio che pian sommergeva anche quel bel ricordo, all’orrore che altrimenti avrebbe visto.
E le fattezze oscurate di Anne furono l’ultima cosa che vide, di qua.

***


“Potevi forse chiamarli, potevi indurli a lavorare per te, potevi perfino sbarazzartene.
Ma, a volte, essi ritornano”
S.King, A volte ritornano


I signori Cressner vivevano ormai da sette anni in una graziosa ma un po’ umida villetta di periferia.
Lucy Cressner gestiva un negozio di fiori, all’angolo di Jillian’s street, ma non amava essere definita una fioraia. Lucy sapeva che il marito la tradiva.
Mark Cressner era stato un pescatore di aragoste, adesso collaborava con la guardia costiera.
Mark aveva trovato un modo molto efficace di liberarsi di un’amante insistente.
E ora Mark aveva paura.
Le pietre che le aveva messo in pancia non bastavano a tenerla sul fondo della mente. Continuava a galleggiare incessantemente, nei suoi pensieri.
I lineamenti crudelmente belli continuavano a riapparirgli nel buio, gli occhi famelici di quando veniva, mentre lui le riversava nel corpo il suo seme.
La vedeva ancora, e ancora.
Per questo aveva deciso di tornare lì. Una sera in cui Lucy era andata all’ospedale, a trovare la madre malata. Per la prima volta sua suocera era servita a qualcosa.
Perché un fantasma smettesse di tormentarlo.
La leggera brezza di quella sera attenuava il puzzo delle acque contaminate.
Era quasi sicuro che non avesse parenti. Forse nessuno l’avrebbe cercata.
E di certo nessuno l’avrebbe trovata.
-E’ finita- Ripeté a voce alta quel che aveva detto a lei.
Una luce, alle sue spalle. I fari di una macchina. Si parò gli occhi con una mano, per vedere chi c’era alla guida. Non vide nessuno.
Si voltò di nuovo, e fece ciò che Tess si era astenuta dal fare.
Gridò con quanto fiato aveva in corpo.

***


Lei era lì, mostro sensuale, cadavere ringhiante. Aveva uno scopo, oh sì.
La cataratta bianca calata sugli occhi un tempo bellissimi, i seni grandi, sodi e i capezzoli induriti rivolti verso il basso, il sesso bagnato, le ginocchia flesse, a causa del peso che aveva nello stomaco, dietro il taglio cicatrizzato. Le pietre le impedivano la posizione eretta.
Lei, un demone che la morte non aveva fermato ma solo liberato.
Era stata quella l’unica scelta?
Non c’era più niente di umano nell’essere che gli si avvicinava.

***


Due morti in due giorni, in una città così piccola, fanno scalpore.
Tessha Brandon è stata trovata morta sotto il cavalcavia al limitare dei quartieri alti, che usava frequentare. Viste le condizioni del corpo non è stato possibile riconoscere immediatamente il cadavere, anche perché il portafoglio era andato perso nel fiume.
E’ stata infine riconosciuta da Annette McCann, un’amica della vittima.
La seconda vittima è invece Mark Cressern, che lascia la moglie Lucy Cressern senza biglietti d’addio. Pare infatti si tratti di un suicidio: egli si è buttato in mare, atterrando, per un tragico errore o in preda ad un ultimo ed estremo senso di colpa, sugli scogli ai piedi del molo.
Il vero scandalo è che le due morti sono collegate: dalla ricostruzione della polizia, e dalla testimonianza della Clessern stessa, pare che Mark Cressern avesse un’amante. Gli agenti hanno trovato il sangue della Brandon sui suoi vestiti. Si ipotizza quindi un delitto passionale...

***


Lucy si tirò su la spallina del vestito, entrando nel cimitero. Era dimagrita molto e gli stava largo.
I fiori che aveva in mano facevano un brutto contrasto con il volto sciupato.
La foto del marito gli sorrideva da una lapide grigia come la sua pelle.
Fece per mettere i fiori nel vaso, trattenendo lacrime e rimorsi, ma un attimo dopo li lasciò cadere con un strillo rauco.
-Tutto bene, signora?- Gli chiese un uomo, probabilmente il custode del cimitero o come cavolo si chiamava. Non era importante.
I fiori.
Qualcuno aveva messo dei fiori nel vaso, prima che arrivasse lei.
Erano rose. Rose rosse.
Ed erano marce.
Voltò le spalle al viso perplesso dell’uomo, correndo verso casa con un’energia che aveva temuto di non possedere più.
Si stava facendo sera e aveva un brutto presentimento.

***


Jane Doe:

Why, you just won't leave my mind?
Was this the only way?
I couldn't let you stay?

Run away, hide away
the secrets in your mind.
Sacrificed just her life,
for a higher love

No matter how many stones you put inside.
She'll always keeps on floating in your mind.
With every turn of your head you see her face again,
until the end, over and over again.

Why, you just won't leave my mind?
Was this the only way?
I couldn't let you stay?

Told the truth she laughed at you.
Something snapped inside.
She had to go or they would know,
all you tried to hide

The sins of your life are now catching up with you.
You can't stay ahead. There's nothing you can do.
With every turn of your head you see her face again,
until the end, over and over again.

Why, you just won't leave my mind?
Was this the only way?
I couldn't let you stay?


Fine.



Edited by Fantafree - 17/2/2008, 15:02
 
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