Il rumore del passato, [07/01/08] Naruto

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silgree
view post Posted on 28/2/2008, 21:21




Fandom: Naruto
Rating: Giallo
Personaggi/Pairing: Sakura Haruno, Sakura/Sasuke, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Itachi Uchiha
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 2895 parole
Avvertimenti: Original Character
Spoiler! Dopo il tradimento di Sasuke
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Masashi Kishimoto che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Naruto, appartengono solo a me.
Credits: no
Note dell'Autore: Alla fine, sennò spoilero
Introduzione alla Fan's Fiction: Sakura e Naruto attendono invano il ritorno di Sasuke, ma improvvisamente arriva un’inaspettata speranza di rintracciarlo. Sasuke, ossessionato dal suo passato, sembra poter finalmente realizzare la sua vendetta.




Il rumore del passato




Densa.
Densa e silenziosa la nebbia quel giorno avvolgeva tutta Konoha.
Sfiorava i tetti delle case, accarezzava le cime del monte, dove erano scolpiti i volti dei quattro Hokage, sfumava il paesaggio, fino a divenire un tutt’uno con il cielo spento.
Attraverso il vetro della finestra, appannato dall’umidità, lei osservava quella massa umida e aleggiante estendersi fino ai confini del bosco, fino a posti lontani e imperscrutabili, esplorati solo con la mente.
Forse, da qualche parte, c’era anche lui.
Lui che non voleva più legami con loro, lui che era lontano, lui che si stava facendo trascinare dalla più profonda oscurità, lui che si stava spengendo, proprio come il cielo grigio di quella monotona giornata della sua insignificante vita.
Inutile sperare che fosse solo la nebbia a dividerli.
Ma, in quel momento, Sakura Haruno pensò che avrebbe voluto essere come la nebbia: leggera, avvolgente, onnisciente.
La nebbia è ciò che più si avvicina al cielo.
Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse nemmeno dell’arrivo rumoroso di Naruto.

“Buon giorno, Sakura-chan!”. Il sorriso regnava sul suo viso, come da copione.
Lei ruotò appena il capo per rivolgergli un cenno con lo sguardo, stanco.
Perché continua a sorridermi, perché fa finta che non sia successo niente, perché mi costringe a vivere?
“Sakura-chan, Tsunade-hime vuole vederci. Ha detto che ha un compito da affidarci”.

“L’ennesima missione...” pensò lei.
Sospirò. Erano mesi che al suo team venivano affidate lunghe missioni, che la costringevano a restare fuori da Konoha per diversi giorni.
Aiutavano qualche bracciante, svolgevano commissioni ai villaggi vicini, salvavano qualche vita.
Niente di più.
Che senso ha, se è la mia vita ad andare a pezzi?
Ma, in qualsiasi villaggio andassero, non c’era momento in cui non aveva il terrore di incontrare lui.
Vedeva i suoi occhi neri nell’ombra del bosco, sentiva la sua voce nel fruscio del vento, nel rosso del sangue ne percepiva la sete di vendetta.
Ma d’altronde, lui ha sempre voluto questo.
Con la coda dell’occhio vide che Naruto la fissava impaziente.
Non voleva spengere il suo entusiasmo. Era l’unica fonte di vita a cui attingere, l’unico scoglio a cui aggrapparsi, l’unico mezzo che la trascinasse avanti.
Si allontanò dalla finestra. Il riflesso velato del paesaggio rimase nei suoi occhi, rendendoli ancora più inespressivi, vuoti, come avvolti da una nebbia che aveva nascosto il verde smeraldino.
La nebbia nasconde sempre qualcosa.

“Ho saputo che hanno aperto un nuovo chiostro di Ramen! Che ne dici se pranziamo insieme?”
Disse raggiante Naruto.

Lei abbozzò un sorriso. “Vedremo.”

Percorse il corridoio in silenzio, scandendo i secondi, senza altro rumore se non i loro passi.
Ultimamente aveva imparato ad ascoltare il rumore dei passi di chi le stava vicino, a riconoscerli.
In quel momento, non poté fare a meno di cogliere la differenza fra i suoi e quelli di Naruto.
Quelli di lui erano vivi, sicuri, stabili. I suoi, invece, deboli, fragili, instabili.
Era come se le loro orme che calpestavano il terreno producessero una sorta di armonia: lui era l’assolo trainante della melodia, lei assolveva al ruolo di sottofondo, necessario certo, ma non indispensabile.
Improvvisamente si accorse che i loro passi non erano più i soli rumori echeggianti nel corridoio.
Un brusio di voci maschili, che proveniva da dietro l’angolo, si faceva sempre più vicino, così vicino da poter cogliere perfettamente le parole che le due voci si stavano scambiando.

“…non pensi che dovremmo preoccuparci?”

“L’Hokage ha detto che non dobbiamo allarmarci.”

“Sì, ma si tratta pur sempre di due ninja traditori di livello S.”
Lei si fermò di scatto. Pochi centimetri la separavano dal freddo muro.
Naruto rimase immobile.

“Se non sbaglio sono stati visti in uno dei villaggi vicini.”

“Sì, pare proprio che siano stati avvistati poco fa vicino al Paese della Pioggia.”

“Non capisco proprio perché l’Hokage non voglia prendere provvedimenti.”

“Avrà le sue buone ragioni e, di certo, non ci deve spiegazioni. Resta il fatto che vorrei proprio sapere cosa ci facciano Itachi e Sasuke Uchiha nel medesimo luogo.”

Il suo cuore mancò un battito, al suono di quel nome che tutti evitavano di pronunciare in sua presenza.

“Forse è meglio se torniamo alla nostra postazione di guardia, altrimenti l’Hokage prenderà provvedimenti contro di noi.” Concluse il jonin più anziano, buttando a terra la cicca della sigaretta, ormai consumata.
I due si allontanarono dal corridoio con passo deciso.

Sakura Haruno si appoggiò al muro, imponendosi di rimanere calma, cercando invano di frenare i battiti del suo cuore che, indomabili e febbrili, erano sfuggiti al suo controllo. Non osava guardare Naruto, non voleva preoccuparsi della sua reazione.
Desiderava fuggire il bianco del muro, il bianco del corridoio, il bianco del vuoto.
Con uno scatto improvviso si mise a correre, dirigendosi fuori da quell’ambiente che le toglieva il respiro, come afferrata da un’ansia claustrofoba.
Rapidamente fu fuori dall’edificio.
Il vento freddo sfiorò la sua pelle, facendole venire un brivido.
Ansimava.
Alzò gli occhi al cielo, esausta. Nemmeno il fatto che anche l’oggetto del suo sguardo si stava facendo sempre più grigio, servì a rincuorarla.
Dei passi interruppero quel silenzio. Ormai aveva imparato a riconoscerli. I passi di Naruto.

“Sakura-chan…” esitò lui, una volta raggiuntala.
Lei chiuse gli occhi e, sospirando, offrì lo sguardo cieco al cielo.
Il suo viso fu colpito da gocce d’acqua gelida.
“Sakura-chan… sta iniziando a piovere.”
La pioggia iniziò a scendere leggera e silenziosa.
Rinfrescava la pelle scoperta, scivolava lungo il suo viso e, sulle sue labbra, si mischiò con un sapore che conosceva fin troppo bene.
E fu in quel momento che si rese conto che le stille perlacee che percorrevano il suo volto, non erano solo gocce di pioggia.
“Sakura-chan, vedrai che Sasuke ritornerà. Siamo pur sempre amici, no?”
Lei non rispose. Sarebbe stato troppo chiedere al suo cuore anche solo un grammo di speranza.
Ne aveva consumata troppa in quegli anni, era diventata come una droga.
Ormai non ne aveva più.
Ma, mentre mirava il cielo piangere tacito (per che cosa, poi? Per chi?) su tutta Konoha, promise a se stessa che quella sarebbe stata l’ultima, l’ultima preghiera che avrebbe rivolto per lui.

“Sasuke, dove sei?”


***


Sottile.
Sottile e silenziosa la pioggia quel giorno inumidiva il terreno col suo tocco leggero.
Malinconica, quieta, rinnovatrice.
La pioggia non fa rumore.
Solo i suoi passi rapidi e frenetici, che colpivano il terreno, avevano un rumore.
Imprimevano sul suolo fangoso orme dettate dal rancore, dall’odio, dalla vendetta.
La nebbia ricopriva tutto con il suo manto impalpabile e spegneva il paesaggio con le sue fredde sfumature.
Sottile. Silenziosa.
La nebbia non ha rumore.
Il suo respiro, invece, -disperato, affannato, bramoso- quello sì che faceva rumore e premeva contro il suo petto. E i suoi polmoni facevano male, maledettamente male.
E tutte queste emozioni, questi rumori, queste sensazioni, si accozzavano, si mischiavano, si confondevano, mentre cercava con tutte le sue forze di raggiungere una macchia nera, unica fra le tante, che davanti a lui si dissolveva nella nebbia.

Fermati.” Urlò con tutto il fiato che gli era rimasto.

Né la pioggia si fermò al suo ordine e continuò a scendere, né la nebbia gli concesse un po’ di tregua.
Ma il lungo mantello nero come la notte, dove risaltavano macchie rosse a forma di nuvole, si arrestò ad un tratto, immobile.

“Che vuoi? Vedi di non farmi perdere tempo.”
Le parole uscirono dalla sua bocca pungenti e pesanti, come quella stessa aria gelida che s’insinuava nei suoi polmoni.
Itachi Uchiha era davanti a lui.
Gli occhi rossi, testimoni di innumerevoli vite falciate, lo guardavano sprezzante.
La bocca era coperta dal lungo mantello dell’Akatsuki, ma poté ugualmente percepire una smorfia fastidiosa stendersi sul suo viso.

“Tu mi stai chiedendo cosa voglio?” chiese sarcastico.
“Tu mi stai davvero chiedendo cosa voglio?” urlò Sasuke.

Il fiato uscì dai suoi polmoni tutto insieme e, per un attimo, gli sembrò che gli mancasse il respiro.
Spiacevole seccatura.
Lui doveva respirare per vivere.
Doveva vivere per ucciderlo.


“ Voglio la mia vendetta. ”



Gli occhi neri rifulsero come fari rossi nella nebbia.

“Sbaglio o ti avevo detto di tornare davanti a me con i miei stessi occhi? Adesso non vale la pena ucciderti.”

“Io non diverrò mai come te… Itachi.”

L’impugnatura del kunai era fredda, ma il sangue che pulsava nelle sue vene bollente.
Si scrutarono, freddi, immobili, calcolatori.
E fu lui stesso ad interrompere quel meccanismo, quel silenzio, quel gioco di sguardi ‘fraterno’.
“Muori, bastardo.”

Occhi contro occhi.
Kunai contro kunai.
Uchiha contro Uchiha.
Potere contro vendetta.

Rapidi colpi fendettero l’aria, senza centrare il loro bersaglio.
Gocce rosse precipitarono sul terreno, andarono a far compagnia alle stille di pioggia, le contaminarono.

“E’ tutto qui il tuo odio, fratellino?”

[Sei debole…
…perché dentro di te non provi abbastanza odio.]



“Stai zitto!”
Strinse con più forza l’impugnatura del kunai e si scagliò contro la sua ombra.
Perché, in fin dei conti, era di questo che si trattava?
Lui era solo un’ombra oscura.
L’ombra del suo passato.

[Odiami…]



Gocce di pioggia gelida scivolavano sul suo volto, scendevano dai suoi capelli grondanti.
La nebbia si stava pian piano dissipando.
Ma erano l’odio e la vendetta che annebbiavano il suo animo.
La pioggia stava cessando.
La pioggia non faceva rumore.
L’odio e la vendetta che rumore avevano?

[Disprezzami con tutte le tue forze…]




Sferrò invano altrettanti colpi.
Uno di questi rasentò il viso del fratello.
Nei suoi occhi si accese un barlume di esultanza. Poi fu solo dolore.
Senza sapere come, si ritrovò bloccato con un dolore lancinante al polso.
Itachi lo fissava con un ghigno derisorio.
Il suo cuore iniziò ad accelerare il battito.
Sapeva cosa lui avrebbe fatto. Lo conosceva fin troppo bene.

“Dovresti esserne onorato, fratellino, sei il primo che vede questi occhi per la terza volta…”

Impulsivamente nascose le iridi scure, come trasportato da un improvviso istinto di sopravvivenza.
Troppo tardi.
Tutto intorno a lui cambiò. Sentì squarciarsi una ferita mai rimarginata, un dolore lacerante.
Si ritrovò in una stanza, davanti a lui rivide Itachi. I suoi genitori.
Il sangue che schizzava sulle pareti della stanza.
Stemmi del suo clan lacerati. E poi...
Un rumore.
Quel rumore
Due corpi ammucchiati sul pavimento.

“NO!” Urlò.
Scacciò con tutte le forze quella visione, finché attorno a lui non sentì di nuovo il sordo silenzio.
Cercò a tentoni un’arma, qualsiasi cosa che potesse fargli più male possibile.
Ma una nuova fitta lacerante lo costrinse ad alzarsi con fatica.

“Li hai uccisi, li hai uccisi tutti solo per soddisfare la tua sete di potere. Ho cercato in tutti i modi di cancellare l’immagine di quel giorno dalla mia mente, di convincermi che era stato tutto un incubo. Ho passato tutta la mia vita rincorrendo i miei incubi.
Non c’è stato momento in cui non ci abbia pensato.
Mi hanno perseguitato ossessivamente tutti i particolari di quella sera. Ricordo perfino quel rumore, il rumore dei corpi dei nostri genitori che cadevano a terra. E’ stato il rumore che ha accompagnato la mia infanzia.
Il rumore del mio passato. E adesso…”


Raccolse tutte le sue energie, fino a formare una lama di chakra.
“Voglio la mia v-e-n-d-e-t-t-a.”

Il silenzio del luogo venne di nuovo coperto, disturbato da un nuovo rumore.
Era come se un branco di uccelli rimbombasse su di loro.
Era il rumore di mille falchi.

Velocemente prese la rincorsa, fissando intensamente il suo obbiettivo.

“Non ce la farai mai a colpirmi.” Di nuovo quel ghigno.

La distanza diminuiva, il rumore aumentava col suo assordante sibilo.
Con la rapidità di un falco sferrò il suo colpo.
Un boato lacerò l’aria.

“Te l’avevo detto che non…”
Itachi Uchiha, illeso, stringeva il suo braccio. Si interruppe all’improvviso, trattenendo il fiato.
Poteva percepire la punta fredda del kunai conficcata nella sua pelle e una scia calda scorrergli lungo la schiena.
Il braccio di Sasuke, che aveva afferrato per deviare il corpo, si dissolse insieme al suo corpo.

“La tecnica… della… moltiplicazione…” ansimò.

“Proprio così –percepì il respiro di Sasuke sfiorargli il collo- sai, l’ho imparata dal mio migliore amico.”
C’è stato un tempo in cui avevo degli amici.
C’è stato un tempo in cui non era tutto vendetta.
C’è stato un tempo in cui ero solamente Sasuke-kun.

Adesso sono il traditore.

Il suo corpo cadde con un tonfo, -quel rumore- tingendo il terreno sottostante con quel colore che aveva imparato a odiare da piccolo. Disprezzo, era questo che provò guardandolo in quel momento.
Solo disprezzo [e pena?] .
Guardò gli occhi neri, inespressivi, vuoti, attoniti.

“Dopotutto abbiamo gli stessi occhi. Ma solo su una cosa ti sei sbagliato: io non diverrò mai come te.”
La pioggia era cessata, l’oscurità si stava appropinquando.
Il terreno aveva assorbito, in parte, le gocce di sangue versate.
A contrasto col suolo, il corpo di Itachi sembrava poco più di una macchia scura e distinta.

Gli stanchi raggi di un sole malato proiettavano la sua debole sagoma sul terreno, vicino al corpo del fratello. Si avvicinò di qualche passo e la sua ombra sfiorò il corpo di Itachi.
Si sovrapposero: la debole ombra incontrò la macchia scura e distinta.
Quest’ultima risaltava per grandezza e oscurità.
Un’ombra, per quanto si sforzi, non potrà mai divenire pura oscurità.

“Infondo, non eri solo un’ombra.
Eri il mio passato.”
Senza un passato non esiste nemmeno un presente, un futuro.

“E, dopotutto, l’ombra ero io.
Ero solo quello.
Un’ombra che cercava disperatamente di imitarti.
Un’ombra che ti seguiva per morire insieme alla tua immagine.

Per tutti ero il traditore.
Mi definivo il vendicatore.
Ma chi sono io in realtà?”

“Chi è Sasuke Uchiha?”



“Io non diverrò mai come te... lo sono già.”

Sentì una strana sensazione, che non aveva mai provato, corrodergli l’anima.
Non era né rancore, né odio, né vendetta.
Era qualcosa, all’altezza del cuore, che l’avrebbe consumato pian piano.
Dentro di lui vi era il vuoto. Un vuoto che il rancore, l’odio e la vendetta aveva scavato.
Un vuoto talmente grande che niente o nessuno avrebbe mai potuto colmare.

[Finirai col soffrire di più…
Anche se riuscirai nel tuo scopo,
tutto quello che ti resterà sarà il vuoto]



Ma Kakashi-sensei aveva commesso un errore.
Dentro di lui non sarebbe rimasto il vuoto.
Non ancora per molto.

“E’ giunto il momento che anche l’ultimo degli Uchiha scompaia.”
Dopo di che, il kunai ancora caldo, stretto nella mano tremante, colpì il suo ennesimo obbiettivo.

Il suo corpo cadde a terra.
Di nuovo quel rumore.
Ma, questa volta, invece del silenzio, intorno a lui riecheggiarono altri rumori.
Urla, grida, voci invocavano il suo nome.
Chiamano Sasuke-kun, non il traditore.
Chiamavano quello che era, non quello che era diventato.

Sentì i loro passi calpestare il suolo, frenetici.
Ormai aveva imparato a riconoscerli.
Aveva imparato a sentirne la mancanza.

Le lamentele di Naruto, le continue attenzioni di Sakura, i rimproveri di Kakashi…
Erano questi i rumori che più gli erano mancati.
Erano questi i rumori del suo passato.

[…E ora il settimo gruppo.
Sakura Haruno… Uzumaki Naruto…]
[O no!…]
[Evviva!]
[…e Sasuke Uchiha]
[E vai!]
[Perché proprio con lui?…]



Sul suo volto si disegnò un debole sorriso.
Le sue labbra si mossero appena.
Le parole uscirono da sole, meccanicamente, come se quelle verità impensabili fossero sempre state scontate, parte di lui.
Sentì solo il brusio impercettibile della sua voce pronunciare quelle tre parole.
Forse era meglio così.
La verità fa sempre male.
Specie quando ormai è troppo tardi.


Le urla, le grida stavano sfumando pian piano. Tutto, intorno a lui, era un fruscio di rumori indistinguibili.
Una goccia calda cadde sul suo viso.
Poi fu tutto silenzio. Solo silenzio.

[Il rumore del passato era divenuto presente.]



***

La pioggia era cessata.
Il cielo aveva messo di piangere.
Forse perché non ce ne era più bisogno. O forse perché era troppo tardi anche per piangere.

“Per di qua!”

Si stavano avvicinando al luogo dell’incontro. I rami delle piante spezzati, l’odore di polvere battuta e i tagli sui tronchi degli alberi, facevano supporre che in quel luogo si fosse appena consumato uno scontro.
Ad ogni passo il suo cuore si stringeva sempre più in se stesso, si contorceva, come serrato da una mano ferrea e invisibile. Quel triste presentimento era già nell’aria.
Avrei dovuto capirlo.

Un rumore sordo.
Le sue gambe si mossero da sole, mentre Naruto dovette impegnarsi per starle dietro.
“Sakura-chan, aspettami!”
La ragazza si fermò di colpo.
“Ma cosa…?” blaterò Naruto.
Le iridi azzurre indugiarono sul rosa, scorsero il nero e si soffermarono sul rosso.
Il verde smeraldino dei suoi occhi, invece, incontrò subito il rosso sangue.

“Sa-su-ke…”
Solo un sussurro.
E, senza rendersene conto, si sorprese a urlare quel nome, a implorarlo.

“Sasuke-kun…”
Le sue ginocchia cedettero, mentre osservava i tratti del suo bel viso, rigato da una scia rossa.
E, senza sapere come, si ritrovò con il volto bagnato e il corpo scosso dai singhiozzi.
E, per quanto urlasse, per quanto si disperasse, per quanto lo implorasse, sapeva che lui non sarebbe mai più tornato indietro per lei.
In questo non è cambiato.

Ma, mentre il suo mondo le crollava davanti, udì un sussurro.
Nonostante i suoi singhiozzi e le imprecazioni di Naruto, l’aveva udito.
Era stato impercettibile, ma l’aveva comunque sentito.

“Sakura… Naruto… perdonatemi!”

E fu in quel momento che si rese conto che le stille perlacee che percorrevano il suo volto non erano gocce di pioggia.


[Il rumore del passato era divenuto presente, ma non avrebbe mai avuto un futuro…]





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Note dell'Autore: One-shot nata inizialmente come no sense, ma penso ke adesso un senso ce l’abbia . Quello che volevo trasmettere è ke, secondo me, una volta che Sasuke avrà completato la sua vendetta (perché prima o poi accadrà!) sentirà solo un senso di vuoto. Ovviamente, spero ke non vada veramente così (dato ke Saske è il mio personaggio preferito) ma questa potrebbe comunque essere una delle tante opzioni. Da qui la consapevolezza che il suo passato non era contraddistinto dallo scopo di vendetta, ma dall’amicizia per Sakura e Naruto. Quindi il ‘rumore del passato’ non era la vendetta (il rumore dei corpi dei genitori ke cadono) ma bensì l’amicizia (le lamentele di Naruto, le attenzioni di Sakura). Ho pensato di ricorrere al grassetto per i dialoghi di Sasuke per distinguerli senza problemi da quelli del fratello e perché mi sembrava che in questo modo il layout risaltasse di più.
 
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