Realtà, [14/01/08] Only Lemon

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Shari Aruna
view post Posted on 5/3/2008, 23:29





Fandom: Originale
Rating: Rosso
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 2176 parole, 3 pagine e un pezzettino XD
Avvertimenti: Angst, Lemon
Genere:, Drammatico, Introspettivo, Erotico,
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Note dell'Autore: L’ambientazione è lo scantinato, i personaggi sono miei OC che mi porto dietro da molto tempo e a cui sono molto affezionata, a Juny in particolar modo XD
Introduzione alla Storia: “Mi dispiace di non aver guardato al presente invece che al futuro, di non averti trascinato nel mio baratro o di non essermi fatta trascinare nel tuo, lasciando che tu affogassi da solo e lontano da me.
Mi dispiace.”




Realtà




Gli occhi di Juny vagavano pensierosi sulle crepe del soffitto, senza però vederle davvero. La sua mente, persa in ricordi non troppo nostalgici, registrò automaticamente il suono lontano delle campane che battevano la mezzanotte; distrattamente si chiese quanto avrebbe dovuto aspettare ancora, ma non se ne crucciò più del necessario, dal momento che non sarebbe cambiato un granché se lui non fosse venuto. In realtà non sarebbe cambiato nulla in ogni caso, ma perlomeno avrebbe potuto fuggire per un po’ da quella vita piatta e monotona che si era ritrovata a vivere.
Si sistemò meglio sul divano e si accese una sigaretta. Le labbra rosse e ricoperte di un rossetto troppo pesante, lasciarono la loro impronta truccata sul filtro della sigaretta mentre lei con l’altra mano, pallida e dalle unghie curate, scendeva ad accarezzare la vestaglia di seta, lisciandola bene sui fianchi e facendola aderire perfettamente al corpo prosperoso.
“Un corpo da modella” pensò amaramente, chiedendosi perché alcune donne lo affermassero con tanta alterigia nella voce. A lei del suo corpo non era mai importato molto: bastava che eseguisse le funzioni vitali che le permettevano di vivere.
Sospirò e il fumo fuggì dalla sua bocca per salire in alto, svanendo nella luce della lampadina che, solitaria, penzolava dal soffitto scrostato di uno scantinato adibito a camera ad ore; un vecchio divano di velluto rosso, un tavolino sbeccato di cristallo e un letto abbastanza grande da poter ospitare ben più di due persone, costituivano l’arredamento povero e ridotto all’essenziale.
I fari di un’auto si riflessero sulla finestrella in cima alla parete, creando un gioco di luci che attirò il suo sguardo indifferente. Che fosse arrivato?
Bè lo avrebbe scoperto tra poco in ogni caso. Tendendo l’orecchio sentì un lieve bussare alla porta di sopra e, subito dopo, la voce sgraziata del proprietario di quella specie di bar di fortuna.
Poi passi lenti che scendevano le scale, infine la maniglia dello scantinato che ruotava.
- Ciao. – la salutò Ivan non appena i loro occhi si incontrarono.
- Buonasera – replicò lei, fissando fin da subito le regole di quel particolare contratto di lavoro. O almeno per lei era lavoro. Un lavoro piacevole a dirla tutta.
Lui richiuse la porta piano e si avvicinò al divano dove lei era sdraiata. S’inginocchiò per portarsi alla sua altezza e le accarezzò il viso, con un tocco così sicuro e familiare che a Juny, per un momento, tornò in mente il passato e la sua nostalgica dolcezza.
- Sei sempre molto bella – mormorò lui sovrappensiero, giocando con una lunga ciocca dei suoi capelli biondi – ma questo trucco pesante lo nasconde. Non dovresti usarlo sai? Non ne hai bisogno.
A quelle parole lei si tirò a sedere, sfuggendo a quelle carezze non desiderate.
- La prego di limitarsi a giudicare solo quello che può capire – sibilò, lanciandogli un’occhiataccia.
- Mi dai del lei? – chiese lui, sgranando appena gli occhi dietro le lenti da vista.
- Do sempre del lei ai miei clienti – fu la seccata risposta. Nel parlare però aveva distolto lo sguardo. C’era qualcosa di tragicamente doloroso negli occhi celesti di Ivan, e Juny voleva incrociarli il meno possibile. Non aveva più voglia di innamorarsi.
- Oh già… sono un cliente è vero. – acconsentì il ragazzo, chinando il capo. – sai non devi prendertela, questa è la prima volta che acquisto una donna, non so come comportarmi.
- Non stai acquistando una donna – soffiò lei, irritata da quella frase così assurdamente maschilista e nel contempo così degna di lui – stai acquistando una scopata, nient’altro.
- Hai ripreso a darmi del tu – constatò l’altro sorridendo mentre lei spegneva la sigaretta, ormai ridotta al filtro.
- Mi perdoni. Non accadrà più.
Il silenzio scese pesantemente fra loro, fuori da quel minuscolo rettangolo di cemento in cui si trovavano il miagolio dei gatti e le risate lontane di ubriachi davano voce alla notte, tiepidamente illuminata da una luna troppo grande.
- Vogliamo cominciare?- chiese lei, riportando lo sguardo sul ragazzo che, nel frattempo si era messo a fissare il letto sgangherato con un’espressione mista di disprezzo e indifferenza.
- A fare sesso dici? – chiese alzandosi senza nemmeno guardarla e dirigendosi verso il letto.
- Non è per questo che è venuto? – fece lei, alzandosi a sua volta, decisa a dare inizio a quell’ora di piacere obbligato. Prima che lui avesse il tempo di rispondere Juny aveva già sbottonato la vestaglia e con passi lenti e seducenti era arrivata a lui. La mano esperta di lei era già passata a liberarlo della camicia, mentre la sua bocca troppo rossa gli baciava smaniosa il collo, accompagnando a quei piccoli baci dei morsi leggeri. Senza fare alcuna resistenza né alcun gesto per aiutarla, Ivan lasciò che lei gli togliesse la camicia, sospirando appena quando quelle mani avide si impossessarono anche dei jeans. Con occhi indifferenti la guardò scendere lentamente, tracciando con la lingua una specie di sentiero erotico, che arrivava lentamente al suo inguine, già libero dei pantaloni e dei boxer; il respiro del ragazzo diveniva via via più veloce e affaticato mentre Juny, esperta di quell’arte, stuzzicava il suo membro con la punta della lingua, lasciando che Ivan soffrisse un po’ prima di accostare la bocca e cominciare lentamente a succhiare, riempiendosi le orecchie dei mugolii che lui non riusciva a trattenere.
Continuò per qualche minuto, sfidandolo in silenzio, godendo nel sentirlo gemere sempre più forte mentre abbandonava la sua maschera di indifferenza e disinteresse, esultando nel sentire il suo sapore invaderle la bocca, segno che alla fine anche lui, succube del suo essere uomo, doveva arrendersi a quei piaceri primordiali.
La vittoria era sua una volta tanto.
Ingoiò leccandosi le labbra, poi lo spinse malamente sul copriletto, affondando con lui in un turbinio di polvere. Si liberò in fretta dei suoi vestiti, ancora aggrappati alle gambe e si portò a cavalcioni sopra di lui.
- Dovrebbe togliersi gli occhiali – gli sospirò accostandosi al suo orecchio – l’assicurazione non prevede alcun risarcimento.
- Voglio vederti – fu la semplice spiegazione di lui, mentre ribaltava le loro posizioni. Questa volta fu il suo turno di eccitarla, cosa in cui riusciva ancora benissimo, mostrando di ricordare perfettamente a memoria quel corpo che già in passato gli era appartenuto.
Le morse con dolcezza il capezzolo indurito, stimolandolo ancora con la lingua, mentre le dita forti penetravano dentro di lei, bagnandola.
Si prese ancora qualche minuto prima di affondare in lei con violenza, Juny urlò graffiandogli la schiena con le unghie laccate ma lui cominciò a muoversi con estrema lentezza, addolcendo un po’ i movimenti e mantenendo il ritmo costante. Quando parve essere di nuovo vicino all’orgasmo aumentò la velocità, consapevole di farle male ma anche che solo in questo modo lei sarebbe venuta insieme a lui.
Juny intanto singhiozzava, il viso coperto dai capelli biondi di lui e le narici avvolte nel suo profumo. Piangeva per il dolore, per qual caro e dolce dolore che un tempo aveva custodito gelosamente nel letto della minuscola camera di lui, piangeva per la gratitudine di quell’oblio offertole, quella via di fuga che la liberava dai suoi pensieri e da se stessa, piangeva perché le lacrime in quel momento sembravano la giusta espiazione.
Piangeva e basta.
Quando l’orgasmo infine li travolse urlarono entrambi. Il roco ansimare si fermò per qualche attimo mentre i loro occhi si incontravano, offuscati dal piacere e dalle lacrime.
Ivan si spinse ancora una volta dentro di lei prima di uscire definitivamente e accasciarsi al suo fianco su quel letto polveroso.
I singhiozzi di lei si ridussero pian piano, fino a sparire completamente. Un turbine di sentimenti le girava dentro. Se da una parte voleva che lui se ne andasse in modo da poter riporre quella notte nel suo personale forziere di bei ricordi, dall’altra voleva che rimanesse esattamente dov’era, testimonianza vivente di ciò che aveva perduto e poi ritrovato.
Avrebbe voluto non ci fosse un domani, mai più. Solo adesso, solo loro.
- Sai non avrei mai pensato di poterti comprare un giorno. Riconquistare magari. O strapparti dal letto dello stronzo che ti sei sposata. Ma non avrei mai immaginato di trovarti in vendita.
La sua voce era flebile ma molto chiara nel silenzio della notte, Juny, abbandonata fra le lenzuola e con la schiena voltata verso di lui si irrigidì.
- Parli di me come se fossi un oggetto. – mormorò senza dare alcuna intonazione alle parole. Trovarla in vendita… parevano le parole di un antico romanzo.
- Tu hai sempre considerato il tuo corpo un oggetto. Anche prima… di questo. – sospirò Ivan dopo qualche secondo. Di nuovo entrambi restarono in silenzio, sforzandosi di non mettere a fuoco quei ricordi sfocati che la frase di lui aveva evocato.
- Ed è sbagliato? – chiese infine Juny, decidendosi a girarsi e a guardarlo negli occhi. Non che la cosa potesse influire sul suo modo di comportarsi certo. Solo per curiosità. Solo per sentire ancora la sua voce che le spiegava, come era un tempo quando il compito di chimica pareva l’ostacolo più grande del mondo.
- Chi può dirlo?- iniziò lui sospirando - Il corpo di una donna è talmente bello che sarebbe assurdo non sfruttarlo, lasciarlo sfiorire senza accarezzarlo, senza amarlo. No, il corpo è un oggetto di piacere e come tale va usato. Solo che un oggetto troppo usato alla fine si getta via, mentre uno nuovo si tiene per più tempo.
Juny decise di non interpretare quelle parole come riferimento alla sua persona ma come pura illazione scientifica. Poi sorrise, di un sorriso così disperato che ad Ivan parve più che il viso di lei si incrinasse come un vaso rotto.
- Chris non divorzierà mai da me. Nemmeno quando sarò vecchia.
Avrebbe dovuto sentirsi in colpa per quello stupido marito che la adorava come una dea, ma proprio non ci riusciva. Nemmeno quegli anni di matrimonio erano riusciti a farglielo apprezzare.
- Nemmeno se sapesse di questo tuo…hobby di portarti a letto chiunque abbia i soldi necessari per pagarti? Dimmi… che te ne fai di questi soldi? Chris ne ha così tanti da poterti ricoprirne.
Lei non rispose subito. Prima accarezzò con un dito il suo profilo, notando con mezzo dispiacere le rughe sul volto di lui. Era invecchiato, così come lei.
- Ci pago i miei vizi. Nient’altro. – disse infine - Certo che sei loquace stasera. Ricordo che un tempo per farti parlare così tanto bisognava fare una fatica immane. È l’effetto del sesso forse?
Lui le prese la mano nella sua e le rivolse un sorriso sbilenco.
- No, sono solo stanco.- disse scostandosi da lei ed alzandosi - Sei migliorata, sai, da quando eravamo al liceo, ora sei capace di far perdere completamente la testa ad un uomo… non che sia difficile comunque. Soprattutto per voi donne. – lentamente si era rivestito e ora, mentre allacciava l’ultimo bottone della camicia, la fissava dritto negli occhi. Juny si tirò a sedere, recuperò il pacchetto di sigarette e se ne accese una. Lo osservò raccogliere la giacca e infilarsi le scarpe.
- Te ne vai? – chiese quando fu impossibile evitare ancora una cosa così palese.
- Non ho più soldi, non posso permettermi di stare ancora con te. – spiegò lui brevemente, guardando l’orologio. – l’accordo era di un’ora no?
- Già. Addio allora. Torni a trovarmi quando avrà accumulato ancora un po’ di denaro. Io sono sempre disponibile. – Juny esibì un sorriso ed un tono così collaudati in passato da farle quasi schifo mentre li usava. Come se Ivan fosse stato davvero un cliente.
- Non lo metto in dubbio. Addio Juny. Buona fortuna. – concluse lui, avviandosi verso la porta.
Non si girò. Nemmeno per lanciarle un altro sguardo.
Così lei rimase sola, ancora una volta sola. Juny… perché se detto da lui il suo nome aveva il potere di farla piangere? Perché non riusciva a chiamarlo? A dirgli “mi dispiace”?
E no. Non mi dispiace di averti tradito, né di averti fatto litigare con tuo fratello, né di aver incrinato ancora di più il rapporto con i tuoi genitori. Di quello non me ne frega niente.
Mi dispiace non averti detto quella sera che anche io preferisco le margherite, che le rose sono belle ma solo da guardare, che non so parlare per metafore e che avrei tanto voluto essere in grado di fare una di quelle cose pazze che fanno le ragazze innamorate, invece di limitarmi ad offrirti un ghiacciolo alla menta e chiudermi nella mia freddezza calcolatrice.
Mi dispiace di non aver guardato al presente invece che al futuro, di non averti trascinato nel mio baratro o di non essermi fatta trascinare nel tuo, lasciando che tu affogassi da solo e lontano da me.
Mi dispiace.
Ma la realtà è una porta chiusa e il rumore di un motore che si scalda, uno stridio di freni, il grattare di una marcia inserita male e poi una sgommata lontana.
La realtà è uno scantinato, un lenzuolo sporco di sesso e di rossetto rosso, una vita dalla bella facciata da cui dovrà tornare all’alba e un marito ricco da far schifo.
L’ha scelta lei quella realtà dopotutto. Tanti, tanti anni fa.

 
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