Time, [14/04/08] DefenderX vs. Fantafree

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Fantafree
view post Posted on 15/5/2008, 22:58




Fandom: Originale
Rating: Rosso
Tipologia: One-Shot
Avvertimenti: Slash
Genere: Romantico, Fantascienza, Malinconico
Disclaimer: Tutti glie elementi di questa storia appartegono a me, quindi giù le mani.
Note dell'Autore: La storia si svolge su due piani temporali, i flashback sono le parti in corsivo.
Introduzione alla Storia: La città. Il posto dove il tempo si morde la coda e le guerre ci sono solo alla tv.
Perché la città, in fondo, è come un'amica di vecchia data...o una madre troppo premurosa.

(modificata dopo la fine del contest)

Time
-Caught in a web-

<< La luna è appesa a testa in giù
Non so perché sto ancora qui
E' una città vorace
E tuttora ti rifiuti di farti trovare
Mi sembra un tale spreco >>
On Every Road, Dire Straits


La città. Fumo, luci, traffico e grigiume, o così amano dire i vecchi e i forestieri. E i salutisti.
Ma non è niente di tutto questo, in verità. E’ una sacca d’ossigeno che protegge da un soffocante mondo esterno, un recinto su misura e accogliente come l’utero materno.
E per chi ci vive, per chi ci è nato o l’ha eletta a propria casa, questo rimane. Casa.
Senz’altro in molti se ne andranno, respireranno l’aria di fuori e la troveranno più pulita, la gente più vera, la vita più pericolosa che, si sa, a molti non dispiace, specie a chi la sogna da dietro un finestrino scorrevole.
Ma non per questo smetteranno d’esser cittadini di una città dai palazzi in cemento e dall’odore dello scarico delle automobili che impregna le strade, dalle gelaterie lungo i marciapiedi e locali aperti fino a notte fonda.
Perché la città, in fondo, è come un'amica di vecchia data...o una madre troppo premurosa. Non te ne accorgi sempre, ma a volte la sua presenza è un qualcosa di malato, di esasperante, a cui non hai diritto di fuggire. Non sopporterà altri amori all’infuori di lei e ciò che lei decide.
Così è la vita in città, queste le problematiche lì a South City, e ci si chiede che soluzioni mai troveranno i suoi figlioli.


Finito il mozzicone nel posacenere che teneva in mano, Jake fece per prendere un’altra sigaretta, seguendo il movimento della mano con sguardo assorto. Un brontolio al suo fianco lo interruppe.
-Fumi troppo per la tua età- Osservò Ed, guardandolo con sincero rimprovero. Lui sorrise, sarcastico.
-Scusa tanto, papà- Disse, prendendo comunque il cicchino.
-Piantala. Mi fa effetto che tu mi chiami così dopo averlo fatto-
Jake gli poggiò la mano sulla coscia, facendogliela scorrere fino al cavallo dei jeans.
-Posso farlo durante se preferisci- Ma Ed glie la spostò, irritato.
-E lasciami dormire-
Jake lo lasciò in pace.
Era un tipo paziente, e poi aveva voglia di un bicchiere d’acqua.
Dalla finestra a lato della cucina filtrava la luce di un lampione, bianca e sterile come quella di una sala d’ospedale.
Ma a Jake, che ancora non si era mai svegliato con una flebo nel braccio, non dispiaceva. Faceva risparmiare sulla bolletta, la sera.
Prese un bicchiere dalla credenza, registrando in parte che non era passato tanto tempo da quando la sua visuale era una ventina centimetri più bassa e doveva sporgersi per farlo.
Era cresciuto molto negli ultimi due anni.
Bevve e abbandonò il bicchiere nell’acquaio senza sciacquarlo, ripensandoci subito dopo.
Rosalie era una donna posata, credeva nel il quieto vivere, purché nessuno le delegasse i propri piatti sporchi.
Si appoggiò allo stipite, il silenzio statico del penultimo piano di un palazzo urbano interrotto solo da qualche sirena in lontananza e il fastidioso fischio che sostituiva il russare di un raffreddato.
Da un punto di vista femminile Ed sarebbe anche stato un uomo affascinante, a modo suo, se si ha il gusto per il maschio medio trentenne e scapolo, fortunatamente non musicista, con l’acqua al posto dei muscoli, un malsano feticismo per gli occhiali e le maglie inamidate e l’alito cattivo al mattino.
Tutto ciò da un punto di vista femminile, e Jake non era una femmina. Non si struggeva di commozione all’idea di un maschio adulto con l’identità sessuale ancora da definire che si imbuca in un consultorio per quindicenni con scompensi mestruali e la ferrea (e ingenua) volontà di lasciare i patemi sulla sedia dello strizzacervelli. Non si scioglieva come un cono gelato davanti agli impacciati tentativi di galanteria (fortunatamente cessati, ormai), né permetteva altre assonanze da principe azzurro e gentil fanciulla fra loro due.
Gli era parso opportuno fin da subito ricordagli spesso e volentieri che era ben lungi da essere una donna, non c’era bisogno che si tirasse giù le mutande per dimostrarglielo. Che non aveva ovaie impiantate nel didietro. Che senza lubrificante fa effettivamente male. Che star sempre sopra e giurare sulla propria madre che mai in vita sua avrebbe fatto sesso orale con un uomo (fortuna che la madre era già morta, ora lo poteva ben dire) non faceva della loro una relazione etero.
Alle volte gli veniva da ridere, un po’ per il ridicolo, un po’ per la rabbia. Era quanto mai avvilente trovarsi a stendere il manuale per il piccolo finocchio a un uomo con dieci anni, sette chili e tre banconote da cinque ripiegate nel portafoglio in più di lui.
Ma era rumore di fondo alla fine. Le cose non andavano male.
Gli era tutto familiare e quando sei in sintonia con quello che vedi tutti giorni puoi dire di aver trovato un raro tipo di felicità, pensava lui.
Però…però in città il tempo scorre in circolo. Non ti accorgi che passa, non ti accorgi se le cose cambiano. Capitava che ci riflettesse, a volte.
Adesso era un anno o poco più che scopavano.
Non aveva tenuto il conto dei giorni, ma il tempo era passato, sì.

Quando Jake vede Edgar Turner per la prima volta, questi ha un panino alla marmellata ficcato in bocca per metà e una maglia messa per traverso.
-Beh, buon giorno- Gli dice lui, già vestito, alzando gli occhi dall’orologio sul comò.
Fanny è ritardo.
-Buongiorno- Risponde l’altro di riflesso, guardandolo dubbioso.
-Sei Jake, giusto?- Jake gli sorride, sedendosi davanti a lui e poggiando i gomiti sul tavolo.
-Già- Turner gli tende la mano, pulendosela prima sul davanti della maglia.
-Ed Turner, tanto piacere- Jake glie la stringe divertito, guardando l’uomo tornare subito alla sua tazza di caffè e versarci l’equivalente in zucchero di un dosaggio di detersivo in polvere.
Gli lancia giusto un altro paio d’occhiate oblique, ora al collare che gli pende dal collo, ora alla riga nera sotto l’occhio, quasi fosse raro vedere pagliacci così conciati in giro per la città. O viene da fuori o è un gran semplicione, pensa Jake mettendosi ad imburrare un panino per dopo.
-Qualcosa non va?- Gli chiede Turner dopo un po’, notando che il ragazzo continua a fissarlo senza tregua.
-Che begli occhi che hai- Commenta con una vena di sadismo, mentre il cucchiaino ricolmo di zucchero si ferma a mezz’aria. E mentre Fanny spalanca la porta in un turbinio della gonna variopinta e gli urla di muoversi, prima che facciano tardi, Jake si fa la sua prima risata ai danni del coinquilino.


-Rose, cos’è che non va con Gary?- Aveva chiesto Ed una volta, mentre erano da soli.
Era passato qualche mese dal suo arrivo, e si sentiva ancora in parte estraneo, sebbene sapesse qualcosa in più su di loro, tipo che Jake non era figlio né di Gary né di Rose. Hogarth l’aveva solo preso con sé dopo la morte dei suoi genitori, più o meno all’età di dieci anni, quando una rivolta civile aveva causato vittime e disordini in mezza città.
Sapeva che era gay e che la sera lavorava in un locale, insieme con la sua amica coi capelli corti alla maschietto e l’ossessione per le stampe a fiori, Fanny.
Sapeva che Gary era nato in quel paese, ma era per metà nordico a causa del padre, da cui aveva ereditato gran parte dei tratti salienti della gente del Van a quanto pareva.
Sapeva che lui e Rose erano amici d’infanzia e che si erano trasferiti a South dopo il crollo dell’altra grande città del paese, North City, esattamente come lui.
Aveva il sospetto che Rose gli facesse da scendiletto quando capitava, ma perché una donna come lei potesse desiderare quel surrogato di famiglia al posto di una sua, quello non lo capiva.
-Gary è fatto così, non è misantropo e non è freddo di proposito. Ormai credo che ce l’abbia nel DNA, ma non gli fa piacere sentirselo dire- Lo disse sfogliando pigramente le pagine di una rivista.
-Non era quello che intendevo. Parlavo...fra voi due. Cosa c’è che non va?-
-Niente, che io sappia- Rispose, senza un attimo di stupore. Ed ebbe l’impressione che avesse frainteso volutamente la domanda, prima.
-Ma cosa siete voi due? Fidanzati, amici, parenti, chiavamici...?- Per un attimo Rose rimase in silenzio, tanto che Ed si chiese se non si fosse spinto un po’ troppo oltre. In fondo erano fatti suoi, lui era solo un ficcanaso.
-Non saprei dirti, sai. Credevo che Gary non fosse capace di far altro che crogiolarsi nei ricordi, ma se sono ancora qui vuol dire che non sono da meno...- Sorrise, ed era tanto carina quando sorrideva pensando ad altro, sembrava più giovane.
-...e comunque Gary vuole molto bene a Jake e glie ne voglio anch’io, a tutti e due. Non è poi male vivere con chi ami- Ed fischiò.
-Famiglia in sordina, insomma- Rose gli rivolse un occhiata severa.
-Mi ricordi Jake, per certi versi-
-Quali versi?- Non sembrava arrabbiata, ma la voce gli uscì fuori un po’ aspra.
-Sempre un buon metro di lingua per giudicare gli altri guardando da fuori. Non si tratta di accontentarsi, sai? Non si può sempre cambiare le cose come più ci fa comodo. A volte si dovrà pur accettare quello che si ha per come è. Ti auguro di impararlo, prima o poi-

-Scusa se te lo domando, ma sei tranquillo a lasciare andare in giro il ragazzo conciato a quel modo?- Chiede Ed Turner, senza troppa discrezione ma con una discreta voglia di familiarizzare con i nuovi coinquilini.
Hogarth, un uomo distinto sui quarant’anni, forse qualcosa in più, alza le spalle con noncuranza, lanciandogli un occhiata involontariamente fredda.
Non è di qui, pensa Ed fra sé, sollevato dal fatto che l’inospitale gelo negli occhi dell’uomo sia endemico e non deliberatamente diretto a lui.
Anche il ragazzino col collare ha gli occhi chiari, ma quelli dell’uomo hanno il taglio tipico del settentrionale. E’ un nordico, pensa, accorgendosi di esser stato tratto in inganno dai capelli color paglia. Con un dito di ricrescita nera come il carbone, ora che ci fa caso.
-Jake è un ragazzo in gamba, può vestirsi come vuole. E non è mio figlio, non ho il diritto di dirgli cosa fare- E ci crede veramente, pare a Ed.
-Come credi, amico...- Conviene, affondando nel divano coperto da un lenzuolo a strisce blu. Imparerà presto che Gary Hogarth non ha predisposizione naturale per mettere a proprio agio le persone.
-Finirai con l’adorare Jake a passare le ore col conte Dracula...- Interviene la donna, urtando lievemente il capo di Hogarth col sacchetto della spesa che tiene in mano.
E’ piuttosto bella ma ha un’aria austera, alta, con i capelli rossicci lasciati sciolti e il golf marrone a collo alto. Ha un sorriso un po’ stentato.
-...per quel che mi riguarda, non lasciare dentifricio nel lavandino, tira giù la tavola del water e non lasciare capelli nella doccia- Ed butta lo stuzzicadenti che si è rigirato in bocca fino a quel momento, sorridendo.
-Sissignora. C’è altro?-
-Direi di no. Qui si usa vivere alla giornata, ti ci abituerai- Lui la guarda andar via, chiedendosi quando mai lui non ci abbia vissuto, alla giornata. Tanto tempo fa, forse nemmeno allora.


***



-Ho ricevuto la lettera- Dice Jake, il foglio in mano, seguendo con lo sguardo le righe delle piegature.
Per qualche secondo un silenzio stagnante, che si allunga come il caffè con l’acqua, non c’è nulla da rimproverare. Comunque sia, non può scegliere un bel niente.
Quando Gary parla non crede alle sue orecchie.
-L’ho ricevuta anch’io- Il ragazzo lo guarda dritto negli occhi, tenta di indovinare cos’ha in mente.
-Tu non sei un cittadino di South ancora. Non devi andare- Alza le spalle come nulla fosse. Jake vede gli occhi di Rosalie ridursi rapidamente a fessure.
-Ho messo in regola i documenti. Parto anch’io- Il tonfo sordo della ciotola che Rose poggia sul tavolo lo fa sussultare ed è strano, perché se lo aspettava.
-Lasciaci soli un attimo, Jake- Dice, senza smettere di fissare Gary negli occhi.
-Rose...-
-Ti prego, esci-


Jake si passò una mano fra i capelli neri, lunghi fin quasi alle spalle. Se li sarebbe dovuti tagliare, e presto o tardi sarebbero tornati del loro colore naturale. Se li era sempre tinti, il nero attecchiva bene su di lui.
Allungò il passo, togliendosi di tanto in tanto la sabbia che gli si accumulava sulle spalle. Sembrava calce, tanto era priva di colore.
-Sei pentito d’essere venuto?- Gary lo guardava senza sorridere, avvolto nel pastrano nero, che invece che proteggerlo dalla sabbia pareva che le offrisse tutte le pieghe di cui aveva bisogno per appicicarglisi addosso.
-No- Rispose Jake con sincerità. Alzò gli occhi al panorama intorno a lui.
Il deserto sembrava fatto di pietra bianca, tanto la terra era indurita dal sole. Solo pochi arbusti interrompevano la monotonia, le rimanenze essiccate della tundra ormai superata, e qualche scheletro di cavallo. Tutto sotto un cielo di un azzurro pastello tanto intenso da far male ogni occhi.
-Però vorrei aver salutato meglio gli altri- Una mano gli appesantì la spalla per qualche momento, prima di passare avanti.
-Finita la guerra torneremo in città- Forse aveva frainteso, non era alla morte che Jake pensava.
-Sì, ma...-
-Io vorrei che Rose non mi avesse tirato il sacchetto in faccia- Taglia corto l’uomo, e Jake sorride appena, rassegnandosi.

-Non puoi andare là, non dureresti un giorno- Ed è in difficoltà. Sta combattendo una battaglia giù persa in partenza e non è mai riuscito a sopportarlo.
-Grazie tante, vecchio- Se usasse tutto quell’ardore per far sesso invece che per rompere i coglioni sarei multiorgasmico, pensa Jake irritato.
-Jake, sono serio!- E’ questo che mi preoccupa.
-Non si tratta di uscire da South, si tratta di andare a morire!- E continua, dice che non sarebbe capace di far fuori un occidentale nemmeno se questi fosse cieco, sordo e paralitico, tanto sono feroci quegli uomini.
Dice che una tempesta di sabbia può uccidere anche più velocemente di un colpo di mortaio. Che il caldo sfiata più del peperoncino negli spaghetti in scatola.
-Parli come se avessi scelta. Non l’ho chiesto io di essere arruolato e ad ogni modo sì, voglio uscire da South- Lo ha detto. Adesso sono in piedi tutti e due. Non può permettergli di trattarlo come una ragazzina proprio adesso che non potrebbe rimediare.
-Fa come vuoi, sai...- Jake lo guarda, perplesso. E’ una sensazione strana, solo in parte dolorosa, deludere qualcuno in maniera tanto palese. Si sente quasi in imbarazzo (e non gli va giù in verità).
-...non sono tuo padre, non devi darmi ascolto, ma ti facevo meno incosciente- L’altro fischia, guardandolo con un sogghigno pieno di rabbia malcelata. Ha il vago sentore che quella discussione non finirà bene.
Perché lui non prenderà la porta come una ragazzina infuriata. Può scordarselo.
Lo prenderà a pugni se è necessario.


***



<< He’s gone so far to find no hope, he’s never coming back>>
Soldier Side, System Of A Down

Chissà che si era aspettato di trovare laggiù. Non c’era davvero nulla che valesse la pena d’esser guardato per più di qualche ora, neanche il cielo color pastello. Dopo pochi mesi non era altro che un lastra di vetro colorato che sembrava quasi negargli l’ossigeno.
Ma non gli interessava poi molto.
Per un po’ si era sentito diverso. Più libero, in effetti, lontano dal circolo vizioso della vita in città, dal tempo che annaspa, preso in una rete di quotidianità.
La gente dice che la guerra non ha senso. Perché? Loro erano lì, i soldati di città, i nemici dall’altra parte, e loro dovevano ucciderli prima che raggiungessero il suo territorio. Nulla di più sensato, anche gli animali lo fanno.
Ma non sapeva di non essere ancora in guerra, oh no.
Non si rese conto che era cominciata fino a quando una sentinella non diede l’allarme, e un uomo con l’elmo tirato quasi sugli occhi gli mise in mano un fucile.
-Sai usarlo, ragazzo?- Glie lo avevano insegnato, sì, ma non aveva mai sparato a un bersaglio in movimento. A un uomo.

L’insegna al neon del locale è di un azzurrino fluorescente che gli dà la nausea solo a guardarla, Dio sa perché.
Sente il capo di Fanny premergli contro la spalla, seduta di fianco a lui.
E’ più fatta di un cavallo.
-Quando torni mi porti un fiore di cactus?- Gli chiede dondolando un po’ le gambe. Ha lo sguardo offuscato e a Jake provoca un moto di rabbia.
Perché ha dovuto ridursi così proprio l’ultima sera in cui l’avrebbe vista?
-Mhm. Di che colore lo vuoi?- Uno zoccoletto lucido gli allunga un calcio appena sopra lo stivale.
-Stupido! Tutti i fiori di cactus sono fucsia- Ciarla, sbadigliando subito dopo.
-Se lo dici tu- L’asseconda, vedendo un loro compagno avvicinarsi.
-C’è uno che chiede di te- Lo immagina. Lo è venuto a riprendere in un bar gay a notte fonda, commuovente davvero. Si accorge di non aver più voglia di discutere. Poca anche di parlare, se non si tratta del colore dei fiori di un cactus.
Ed abbassa il capo per non urtare una trave e si avvicina ai due.
-Hey, è il signor Turner che si avvicina?- Lo prende in giro Fanny, indicandolo col dito.
Ed la saluta con un gesto galante facendola ridere. Almeno a lei lo può fare.
-Se hai voglia di discutere torna a casa, perfavore- Gli dice Jake, sorridendo un po’, senza più cattiveria.
-Non ci penso nemmeno. Ho appena tolto il ghiaccio- Gli si siede accanto, guardandosi i piedi. Ha un livido sullo zigomo destro e un aria triste che non gli ha mai visto prima.
Seduto lì, fra lui e Fanny, si sente finalmente sul punto di piangere, e usa quel briciolo di combattività che gli resta per non farlo. Così è costretto a rimanere in silenzio un bel po’. Fanny comincia a canticchiare qualcosa, ma proprio non riconosce il motivetto.
-Ed...- Lui si volta. Per la prima volta li vede davvero quei dieci anni che li separano. Non tanto nella zampa di gallina di cui si lamenta da quando lo conosce, ma l’aria così fuori posto, in compagnia di due diciottenni, un finocchio coi pantaloni di pelle e la matita agli occhi e una ragazzina fatta fino alle palle degli occhi.
Quell’uomo era fatto per far figli, non per fare da cuscino a lui.
-...Potresti badare a lei, mentre io sono via?- L’amica gli punta un gomito sul fianco.
-Ti sento sai? Fai forse finta che non ci sia?!- Le poggia il mento sul capo, ma continua a fissare il compagno.
-Perfavore- Ed annuisce, stringendogli il braccio appena sopra il gomito.
-Prometto-


***



<< C'è una luna nera stanotte
Non splende sulle luci al neon dell’ovest
Dicono che questa è la città
La città degli Angeli
Ma tutto ciò che vedo è niente >>
City Of Angels, The Distillers

E la città fa male, è una droga. E’ la malattia che ti tiene a casa, e non stai bene, stai da cani, ma di tornare a scuola non hai comunque proprio voglia.
E ora sentiva la mancanza di ogni cosa, di ogni volto, di ogni suono e odore.
Il fruscio della coperta che gli calava addosso, nel dormiveglia, sentendo di tanto in tanto il passo pesante di Gary che si allontanava, più spesso quello misurato e silenzioso di Rosalie.
Rivoleva le bottiglie di vetro variopinto dietro i banconi, le profumate diciannovenni che si scambiavano baci sotto i lampioni, le occhiate divertite, quelle disgustate, le luci invadenti dei locali, le strade piene di auto ferme, i clacson, i lavori in corso, la musica ovattata negli ascensori, le repliche del lunedì...
Voglio tornare a casa, pensò mentre premeva il grilletto e mancava il bersaglio. La detonazione non lo scaraventò indietro come la prima volta, ma ci stava mettendo troppo a imbracciare il fucile come si deve.
-Muoviti, ragazzo!- Fagli mordere la polvere, pensò Jake, sentendo improvvisamente una bolla d’aria fredda scoppiare silenziosamente dentro di sé, come se tutto quello che fino a poco fa gli era sfavillato nella mente come un sogno fosse già diventato aria fritta.
Prese la mira con attenzione e fece fuoco.
Non badò più di tanto alla detonazione, l’occhio catturato dallo spruzzo di sangue che per un attimo tinse di rosso la sabbia che soffiava loro contro.

-Domani sarà dura, vero?- Lo sguardo di Gary è rivolto altrove, lui stesso è poco presente.
-Così dicono- Il freddo del deserto di notte penetra le ossa come una febbre.
Jake sorride nel buio. Non si mai voluto far chiamare papà da lui, né si è mai comportato davvero come un padre, ma a lui non dispiace. Prima o poi lo farà. E anche se non lo facesse, è tutta la sua famiglia laggiù. Al fronte.
-Ce la caveremo-


***



<< Non lasciarci andare avanti stanotte
L'amore non è sempre bianco e nero
Non ti ho forse sempre amato? >>
Almost Here, Brian Mcfadden & Delta Goodrem

La stazione è piena. Ed si sente un idiota a leggere il giornale a quel modo, come se non gli importasse, in mezzo a tutte quelle persone con i fazzoletti agli occhi. La sua ex moglie una volta ha detto che era un pezzo di carne messo lì a rosolare, quando si trattava di saluti.
Ma non è così. Ha un peso sul petto non indifferente.
Ha chiesto di Jake Chambers alla reception e il suo nome non c’è. Ha pensato di sprofondare, ma la donna dietro il bancone ha avuto pietà di lui, facendo un altro controllo.
“Non c’è nessuno con questo nome, sul treno” ha detto con rammarico “però c’è un Jake Hogarth”.
Si è preso coperto gli occhi con una mano quando glie l’ha detto.
Gary è morto a tre mesi dalla fine della guerra, dopo due anni di armi.
Da Jake non ha saputo più nulla.
Butta via il giornale, vedendo arrivare il treno.
Che gli dirà? Sarà cambiato?
La gente scende, ma lui non lo vede. Aspetta.
Non crede che la donna si sia sbagliata.
Sta per rinunciare e tornare a chiedere informazioni, quando vicino a lui, alla sua destra, dalla parte dell’occhio dal quale non vede quasi più nulla e che gli ha impedito di arruolarsi a sua volta, qualcuno lo chiama.
-Non mi riconosci nemmeno, vecchio?- No, non l’avrebbe riconosciuto, se non per la voce. L’unica cosa che gli balena nella mente è che Jake non era biondo, quando lo aveva visto l’ultima volta.
Lo è il ragazzo (ragazzo ancora per poco) che gli rivolge un sorriso incerto, in piedi lì in mezzo, senza bagagli, una riga rossa forse di stanchezza sotto gli occhi, dove prima c’era quella scura della matita.
-Sei cresciuto- Riesci giusto a dire e poi, è così stupido, non riesci a rompere il silenzio.
Una bambina canta un canzone lì vicino, è la riconoscono tutti e due, anche se non sanno quale sia.
La cantava Fanny la sera prima della partenza, quasi tre anni prima.
Sono a casa, pensa Jake, senza capire perché questo non lo faccia sentire meglio. Aspetta che Ed decida se abbracciarlo o meno.
E’ di nuovo in città, dove alla fine si torna sempre, il posto dove il tempo si morde la coda e le guerre ci sono solo alla tv.
Casa, e forse piangerà, non ha davvero nulla da dire.



-Fine-

Edited by Fantafree - 25/5/2008, 02:30
 
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