Ninnananna per Septima Vectors, [29/05/08] HP - 15 minutes of fame

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Eylis
view post Posted on 13/7/2008, 01:16




Fandom: Harry Potter
Rating: Per tutti
Personaggi/Pairing: Septima Vectors, nuovo personaggio secondario
Tipologia: one-shot
Lunghezza: 1069 parole, 2 pagine (word)
Avvertimenti: OC
Genere: Drammatico, triste, introspettivo
Disclaimer: personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di J. K. Rowling che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Harry Potter, appartengono solo a me.
Credits: -
Note dell'Autore: questa storia doveva essere una song-fiction con una canzone inventata da me (da qui anche il titolo della ff). Ma arrivata oltre la metà mi sono accorta che non riuscivo a farne qualcosa di buono come avrei voluto, ed ho rifatto tutto tenendo unicamente la prima strofa della canzone... Il personaggio di Septima Vectors non è praticamente caratterizzato nel libro, quindi per descriverla mi sono ispirata soprattutto alla sua materia sulla quale ho cercato qualche informazione in internet. Per quel che riguarda il lieve accenno alla trama di HP (battaglia citata alla fine)... onestamente non ricordo davvero in che periodo si svolgeva... diciamo che mi sono presa una licenza poetica perché era importante per me che si svolgesse nel momento citato qui.
Introduzione alla Fan's Fiction: Septima Vectors, insegnante di Aritmanzia ad Hogwarts, conosce grazie alle predizioni della madre un avvenimento del proprio futuro molto importante, e vive la propria vita accettando quel momento che arriverà. Ciò che non conosce sono i dettagli di quel momento...




Ninnananna per Septima Vectors

L’alba si affacciò attraverso le colline che circondavano lo splendido castello e penetrò dalle finestre raggiungendo gli ospiti che dormivano nei loro comodi letti a baldacchino. Quei raggi irrispettosi corsero a bagnare anche il viso di una giovane donna per svegliarla ad un nuovo, pieno giorno. Ma questa sembrava avere un’idea contraria, dato che si rifugiò sotto le coperte con una smorfia e mugugnò un indecifrabile insulto verso quella fonte di luce e soprattutto verso il giorno appena giunto. Era il primo di settembre, il primo giorno di un nuovo anno scolastico ad Hogwarts. E lei aveva sempre odiato i primi giorni, di qualsiasi cosa. Questione di numeri. In fondo però mancavano unicamente sei giorni al settimo giorno di scuola, e lei aveva sempre amato i settimi giorni, di qualsiasi cosa. Questione di numeri, anche qui. E di nomi. Il suo nome era Septima Vectors. Ma quasi tutti in quel luogo la chiamavano Professoressa Vectors, poiché il suo ruolo nella grande scuola di Hogwarts era l’insegnamento dell’affascinante arte dell’Aritmanzia.

Così iniziò quello che sarebbe stato il suo ultimo anno ad Hogwarts. Percorse i corridoi con un ombra di rimpianto nel cuore, ma sorrise gentilmente ad ogni studente che incrociava il suo cammino, che la conoscesse o meno. Non erano in molti ad essere attirati da quella materia tanto intrigante quanto complessa e vasta. Così pericolosamente vicina alla Divinazione, eppure millimetrica quanto la Trasfigurazione. Sua madre le aveva trasmesso quella passione, sua madre aveva calcolato ogni attimo della sua vita e le aveva rivelato ciò che lei le aveva chiesto. Tutto si sarebbe svolto il primo mese dell’anno che stava per giungere. Ma ora era tempo di pensare alla propria lezione, che si teneva nella settima torre del castello.

Quella notte per la prima volta sognò il momento che ormai aveva imparato a non temere. Vide quella bacchetta di legno levigato alzarsi verso il suo viso, il ghigno malevolo del Mangiamorte celato dal cappuccio nero. Percepì un forte tremore impadronirsi del proprio corpo, ma non ebbe nessun movimento. Sapeva perfettamente che non avrebbe potuto evitare la propria sorte, sua madre le aveva detto ogni cosa, con coraggio, pur riducendo la propria voce ad un sussurrio per l’orrore di quanto le stava narrando. In nessun modo avrebbe potuto ferire il suo avversario. In nessun modo avrebbe potuto evitare quel lampo di luce verde che per qualche strano motivo le ricordava il colore del prato che circondava la sua casa, in quel momento tanto lontana. Non riuscì a distinguere la voce del Mangiamorte mentre volgeva gli occhi verso l’alto per dare un ultimo sguardo al castello che tanto a lungo era stato parte della sua vita.
“Avada Kedavra!”

Fu da quel giorno che ogni prima notte della settimana iniziò a sognare la propria morte. Ogni volta rivedeva la medesima scena, non una virgola cambiava quelle immagini, così come non un solo screzio contrastava le sue giornate al castello. La sua vita era sempre stata precisa ed ordinata, e proprio per questo tanto magica. Nei suoi occhi si rifletteva quella materia che tanto amava insegnare, materia che le permetteva sempre di trovare un rifugio sicuro miscelando arti divinatorie e calcoli sicuri con dovizia. Si chiese se avrebbe dovuto parlare con il preside di quella faccenda. In fondo presto lo avrebbe abbandonato, forse avrebbe gradito essere informato della perdita che stava per subire. Ma sapeva che se avesse diffuso quella notizia nessuno avrebbe accettato il suo destino senza un minimo tentativo d’interferenza. E lei aveva promesso a sua madre che non avrebbe rivelato a nessuno le sue previsioni, per quanto potessero essere difficili da accettare. Aveva sempre amato sua madre, per questo aveva deciso da tempo che mai l’avrebbe contrastata.

Quando il diciassettesimo giorno di quel primo mese dell’anno gli studenti entrarono nella classe di Aritmanzia nessuno parve notare il vago sentore d’irrequietezza che aleggiava nell’aria. La professoressa Vectors distribuì il materiale necessario alla lezione ed iniziò a spiegare la difficile pratica della lettura dei simboli della mano. I minuti scorsero con precisione, portati dallo scorrere dei secondi, fino a che anche quell’ora terminò. Con un dolce sorriso la donna salutò i suoi studenti e li congedò augurando loro una buona fortuna. Una giovane studentessa si meravigliò di questo auspicio, la professoressa aveva sempre detto loro che la fortuna era governata unicamente dai numeri, ma tacque nel vedere che nessun altro aveva avvertito quell’attrito. Septima Vectors uscì dall’aula e allontanandosi dal castello si diresse verso il lago.

Vide il suo carnefice quando ormai aveva già sfiorato quell’acqua fredda ed immobile. Per un attimo ebbe paura, ma si riprese velocemente. Gli si mosse incontro, per poi fermarsi a pochi passi dalla figura incappucciata. Ormai le esplosioni avevano iniziato a scuotere l’intero perimetro di Hogwarts.
“Quanti siete?” Gli rispose una voce sussurrata.
“Non ha più importanza, non per te.”
“Ho sempre saputo che sarebbe arrivato questo momento.”
“Lo temevi?”
“Non più. Ho imparato ad accettarlo, perché ero certa che sarebbe giunto.”
“Come lo conoscevi?”
“Mia madre me l’ha rivelato.”
“La amavi?”
“La amo tuttora.” Con un ghigno nascosto dal nero cappuccio il Mangiamorte sollevò lentamente la bacchetta di legno levigato, Septima non si mosse. Ma quando la punta già lucente dell’arma giunse a pochi centimetri dalle sue labbra la giovane donna ebbe un primo vacillamento. “Aspetta, ti prego.”
“Vuoi chiedermi pietà?”
“No, voglio solo conoscere il viso della Morte…” Il Mangiamorte scoppiò in una maligna risata.
“Non dovresti rompere le tue promesse, Settimina… Ma ti accontenterò. Forse te lo devo, pur avendoti insegnato che i numeri devono rimanere imperturbati.” A quelle parole Septima comprese. Prima che il Mangiamorte si fosse levato il cappuccio seppe chi si sarebbe trovata di fronte, e cadde in ginocchio piena di orrore. Aveva infranto la sua prima legge personale volendo modificare avvenimenti già stabiliti, e le conseguenze andavano pagate immediatamente con quella crudele atrocità: il volto di sua madre, stravolto dalla malvagità come mai aveva creduto di poterlo scorgere, la fissava dall’alto. Aveva sempre odiato i primi giorni di qualsiasi cosa, ciò che ora davvero capiva era che odiava al di sopra di tutto il primo giorno della sua morte. L’ultima cosa che poté percepire, mentre un raggio di luce verde come l’erba del suo giardino l’avvolgeva, fu la dolce ninnananna che sua madre le cantava sempre, la sera, quando era ancora bambina.

Ninnananna per Settimina,
dormi tesoro, dormi piccina,
sogna la terra, sogna il mare,
dormi felice, non ti svegliare…
 
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