Il signor L., Fandomlibero -Arcana

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Galatina
view post Posted on 14/7/2008, 11:42




Fandom: Lovecraft - Call of Cthulhu
Rating: Genitori
Personaggi/Pairing: il signor L.
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 2877
Genere: Sovrannaturale, horror (o meglio terrore)
Disclaimer:i personaggi sono sostanzialmente di mia invenzione, mentre i luoghi e l'ambientazione, nonché il dolce Cthulhu appartengono alla mente geniale di HP Lovecraft.
Introduzione alla Fan's Fiction: In fondo che male poteva fare un innocuo cristallo?




Il Signor L.



20 agosto 1929, Arkham, Massachusetts

Il signor L. era molto seccato.
Aveva un appuntamento importante col suo agente finanziario, e quel poliziotto zelante gli stava facendo perdere un sacco di tempo.
-Glielo ripeto- sospirò per l'ennesima volta all'indirizzo del poliziotto, parlando lentamente e scandendo le parole come se parlasse a un bambino -Non ho visto passare nessuno, stavo guardando la vetrina del negozio.
Il signor L. era per l'appunto fermo davanti al negozio di un rinomato antiquario.
-E così- chiese di nuovo il poliziotto -Lei non ha visto nessuno? Non si è nemmeno accorto di averlo sentito passare? Un riflesso sul vetro, qualcosa...
Si vedeva che l'agente era giovane e voleva fare bella figura.
-Senta, glielo ripeto: non ho visto niente e nessuno. E adesso la pregherei di lasciarmi andare perché sono già in ritardo- il signor L. era davvero seccato.
Non era poi corretto affermare che non avesse visto niente.
Si era sì soffermato a osservare la bella vetrina dell'antiquario, e in particolare un curioso oggetto dalla forma prismatica che aveva attratto la sua attenzione, però aveva visto il ragazzo correre per la strada. J. era noto in tutta Arkham per i problemi mentali che lo affliggevano, per le sue "deviazioni" e il signor L. sapeva che era tenuto in un istituto di igiene mentale poco fuori città; si diceva lo sottoponessero all'elettroshock. Sapeva anche che ogni tanto scappava con sguardo spiritato e vagava per le strade della città finché non lo riacchiappavano. La polizia lo riteneva pericoloso per i suoi trascorsi; il signor L. semplicemente non aveva voglia di dire che l'aveva visto correre come un forsennato lungo la strada, che si era fermato davanti a lui e aveva indicato ossessivamente la vetrina dell'antiquario gridando -Sta arrivando!- con gli occhi dilatati.
Il signor L. era rimasto stupito, e una parte di lui fastidiosamente inquietata. Poi J. se n'era andato correndo e borbottando parole incomprensibili, e si era infilato in un vicolo laterale. Per un attimo in signor L. era rimasto scosso, poi aveva pensato che J. si riferisse alla polizia che lo inseguiva, e che comunque non sapesse quel che faceva; si sa che le devianze al cervello possono fare questi effetti, e alcuni soggetti particolarmente recidivi non rispondono all'elettroshock come dovrebbero -ovverosia guarendo, come tutti i cristiani coscienziosi- ma la loro mente contorta si chiude in se stessa per negare la cura. Il signor L. era un uomo colto e aggiornato, ma certe volte pensava che in alcuni casi l'unica cura possibile fosse un esorcismo; non c'era dubbio, secondo lui, che alcuni soggetti fossero decisamente indemoniati.
Così era rimasto davanti alla vetrina, e quando la polizia era arrivata, nei panni dello zelante agente S., non aveva avuto voglia -non sapeva nemmeno lui perché- di raccontare quanto accaduto: aveva semplicemente detto di essere assorto nella contemplazione della vetrina e di non aver visto niente, e che forse J. si era infilato in qualche strada laterale. Non c'era nessun altro a giro perché era pieno giorno in estate, e faceva un gran caldo. Il signor L., come aveva diligentemente spiegato all'agente, era fuori perché aveva un importante appuntamento col suo agente di borsa.
Il signor L. era un uomo piuttosto ricco, l'agente S. non se l'era sentita di contraddirlo, e l'aveva lasciato stare.

Tornando dalla banca, sul fare della sera, il signor L. era alquanto soddisfatto: i suoi titoli continuavano a salire, e l'agente l'aveva rassicurato che la crescita sarebbe durata ancora a lungo "Siamo in un periodo di espansione, mio caro signor L.! Wall Street fa faville!"
Risalendo per la strada che aveva fatto all'andata, si trovò a passare di nuovo davanti alla vetrina dell'antiquario. Lo strano oggetto che si intravedeva pendere da dietro un tavolino era ancora lì. L. era di buonumore, così decise di assecondare il suo capriccio ed entrò nel negozio, facendo tintinnare il campanellino della porta.
Il locale era ingombro degli oggetti più svariati; da una parte era poggiata una pila di vecchi libri muffiti, e in cima quella che sembrava addirittura la riproduzione di un teschio! O lo era per davvero? Il signor L. si avvicinò incuriosito, e per un attimo ebbe l'impressione che le orbite vuote ricambiassero lo sguardo. Che assurdità, si disse, ma non riusciva a distogliere lo sguardo e aveva appena notato uno strano simbolo inciso il teschio -una specie di stella- quando una voce interruppe i suoi pensieri.
-Buonasera, signore. In cosa posso aiutarla?- quello che aveva parlato era un omino basso, con la testa quasi calva e la voce strascicata; teneva le mani strette e continuava a sfregarle come una mosca. Il suo sguardo, all'apparenza acquoso, si era inchiodato negli occhi del signor L. Questi, dal canto suo, si riscosse imbarazzato, come se fosse stato colto a fare qualcosa di male.
-Ehm, salve! E' il proprietario?- chiese, cercando di essere cordiale.
-In persona- rispose l'omino -Il mio nome è Mr. Howard. Cercava qualcosa in particolare?
-Beh, i-io, sì in verità- in singor L. si sentiva stranamente a disagio in quel negozio, e non riusciva a spiegarsene la ragione. C'era come un'aura malvagia. Che sciocchezze!
-Ho visto che osservava il teschio. Splendida riproduzione non trova? Fu usato nelle prime rappresentazioni di Amleto a New York, nei primi del secolo scorso.
-Ah, davvero?- Visto? E' solo un oggetto di scena! Il signor L. sorrise, più disteso.
-Beh, ecco io ero interessato a un oggetto che ha in vetrina. Un oggetto prismatico, sembra un cristallo.
-Lei intende forse il Pendolo di Hermete?
Vedendo che il signor L. non sembrava capire, il signor Howard si diresse alla vetrina, e dopo aver armeggiato per qualche secondo tornò con in mano una sottile catena d'oro da cui pendeva un cristallo bianco, lattescente, a forma prismatica, racchiuso in una montatura d'oro.
-Ecco, esattamente quello sì. Mi ha incuriosito e lo trovo un oggetto molto bello.
-Lei ha davvero occhio, signore. Pare sia appartenuto a un alchimista europeo del Trecento; è un pendolo da rabdomante.
-Ah, sì? Beh, davvero interessante. E quanto verrebbe, questo pendolo?
Cosa stai facendo? chiese una testa nella voce del signor L. Non sapeva cosa stava facendo, non era il tipo da credere a queste cose, rabdomanti e fandonie del genere. Eppure, era totalmente affascinato. Il suo sguardo veniva catturato dal cristallo, e non riusciva a staccarsene. Doveva averlo, a tutti i costi.
Una smania di possederlo si impossessò di lui tanto che non batté ciglio al prezzo esorbitante, ma tirò fuori un assegno e lo firmò. Si mise il pendolo al collo, dicendosi che era un gioiello stravagante con cui far colpo sulle signore.
Era così esaltato che non notò il lampo di malizia che attraversava gli occhi acquosi dell'antiquario.

1 ottobre 1929, Arkham, Massachusetts

Il signor L. non riusciva a dormire.
Alle tre e mezzo del mattino sedeva in poltrona, pensieroso, alla luce di un abadjour, il pendolo stretto convulsamente in una mano, ma sembrava non accorgersene.
Era un mese ormai che dormiva poco, e male.
Si era detto che erano i pensieri per il suo patrimonio: da qualche settimana la borsa non stava andando tanto bene. Ma sapeva anche lui che non era vero.
Le poche ore in cui riusciva a prendere sonno, i suoi sogni erano funestati da visioni orribili: bestie dai mille occhi, mostri sottomarini, tentacoli...e ovunque una parola, anzi no: sillabe senza alcun senso, ripetute ossessivamente. Cthulhu. Ma cosa diavolo significava? Sembrava il gorgheggio di una animale che annega, si ritrovò a pensare.
E poi c'era il pendolo. Ne era ossessionato, non riusciva a liberarsene.
La sera lo poggiava sul comodino, e quando si svegliava di soprassalto nel bel mezzo della notte lo trovava lì, stretto nel suo pugno. E gli pareva che fosse caldo e pulsasse nella sua mano, come un cuore, forte, sempre più forte. Gli sembrava quasi che sussurrasse. Che ripetesse incessantemente parole che apparivano senza senso, ma che nascondevano chissà quale segreto.
Cthulhu pfang...Cthulhu ink la sar...
Stava impazzendo, non poteva esserci altra spiegazione. Presto sarebbe stato come J. e l'avrebbero rinchiuso in Istituto. Sapeva che nella sua famiglia c'era stata una pro-zia matta, evidentemente aveva preso da lei.
Aveva chiesto aiuto a una dottoressa della Miskatonic University, una psicologa, che gli aveva prescritto delle pillole sonnifere. Dopo qualche tempo, preso un po' di coraggio, le aveva parlato del pendolo di cui non riusciva a liberarsi, chiedendole -vergognandosi non poco ma esasperato- se potesse essere la causa dei suoi problemi. Lei era stata molto gentile, si era dimostrata interessata e gli aveva detto di lasciarglielo per fare alcuni test con una sua collega geologa: a volte i cristalli possono contenere materiale magnetico che potrebbe essere la causa di disturbi del sonno.
Rassicurato, il signor L. era tornato a casa col cuore leggero, pregustandosi una bella dormita.
Le notti seguenti erano state le peggiori della sua vita: incubi terribili, vividi. Anche da sveglio, gli sembrava di scorgere occhi ovunque nell'ombra, zanne, strane zampe di animali che lo braccavano e tentacoli, tentacoli, soprattutto i tentacoli.
I sonniferi rendevano il tutto peggiore perché lo lasciavano in balia degli incubi.
Quando il pendolo tornò, era accompagnato da una lettera dell'assistente della dottoressa in cui lo informava che quest'ultima aveva avuto un improvviso esaurimento nervoso; il signor L. si sentì sollevato. Non si chiese nemmeno come stesse la dottoressa e che cosa poteva aver causato il suo cedimento: la sua attenzione era totalmente, ossessivamente concentrata sul pendolo.
E ora era lì, nel cuore della notte, col cristallo che pulsava orribilmente nella sua mano. O almeno così gli sembrava; si disse che era il suo battito, che percepiva solo perché stringeva l'oggetto così forte, solo perché si era fissato su quella sensazione. Sarebbe stato facile liberarsene: bastava aprire la mano, solamente allentare la mano. Ma non ci riusciva.
Gli sembrò di sentire un rumore, uno strano sibilo alla sua destra. Si voltò, angosciato. Le ombre sui muri, sulle cortine del letto, parevano cariche di minacce. Si alzò, cercando di farsi forza.
Sapeva che non c'era niente, non poteva esserci niente. Era tutto frutto della sua immaginazione, della sua mente stanca. Con la lampada in mano, si diede a perlustrare la stanza.
Il sibilo persisteva, sinuoso e quasi ipnotico, il cristallo del pendolo continuava a pulsare, bianco e fulgido. Il signor L. avrebbe potuto giurare che fosse diventato luminoso. Il cuore gli batteva forte, il suo istinto era di prendere e scappare, scendere giù e svegliare tutti, ma non ci riusciva.
Fu un attimo: mentre scostava la tenda, vide chiaramente l'ombra di una mano artigliata dirigersi verso la sua, e un ghigno orribile sorridergli dal muro. Urlò dal terrore, lasciando cadere la lampada che si ruppe.
Qualche secondo dopo il maggiordomo entrò allarmato nella stanza, in vestaglia da notte e armato di lampada in una mano e mazza da cricket nell'altra.
-Signore!- esclamò precipitandosi sulla figura tremante del signor L. accasciata a terra. -Che succede, qualcuno vi ha aggredito?- chiese ansioso guardandosi intorno, ma non vide segni né di lotta né di effrazione.
Il signor L. gemeva sul pavimento -L'ombra, l'ombra...
Il maggiordomo fece un giro di perlustrazione delle stanza, ma non trovò niente. Sospirò: il suo padrone stava perdendo il senno.
Lo prese delicatamente sotto le ascelle e lo sollevò piano, tentando di rassicurarlo.
-Suvvia signore, non è niente. Siete troppo stanco perché non dormite, vi siete fatto spaventare dalla vostra stessa ombra, vedete?
Lo poggiò sul letto e fece luce davanti alla tenda, passandoci una mano davanti. Sulle pieghe della tenda, l'ombra della mano appariva deformata.
Il signor L. sbiancò, e svenne.

23 ottobre 1929, Arkham, Massachusetts

Era una bella giornata autunnale, col cielo limpido e l'aria frizzante.
Il signor L. se ne stava in giardino, godendosi l'ultimo sole della stagione, comodamente seduto in una poltrona di vimini, le gambe allungate su un poggiapiedi e coperte da una una trapunta.
Sembrava tranquillo. Il volto sereno si beava a occhi chiusi dei pallidi raggi del sole ottobrino.
La sua mente, offuscata dai sedativi, sembrava per il momento in pace.
Avevano deciso di farlo, il medico e il maggiordomo, quando quest'ultimo aveva trovato il signor L. rannicchiato in un angolo della sua stanza, al buio, che sussurrava parole strane nella notte.
Avvicinandosi, aveva scoperto che il signor L. stava sussurrando al cristallo.
Lo teneva in mano con sguardo reverenziale, sibilando parole strane, sillabe incomprensibili apparentemente senza senso. E la cosa peggiore, a detta del maggiordomo, era che a tratti si fermava, come in ascolto, come se il cristallo potesse rispondergli.
Era stato allora che aveva chiamato il medico, e insieme avevano deciso. Non l'avevano ricoverato all'Istituto solo perché il signor L. rimaneva una persona in vista, così, discretamente, avevano messo in giro la voce di una malattia infettiva che lo costringeva a letto e lo rendeva debole, e lo tenevano sotto controllo con sedativi e sonniferi. Gli avevano lasciato il cristallo, perché entrambi avevano convenuto che togliergli l'oggetto della sua ossessione potesse essere pericoloso, e in fondo che male poteva fare un innocuo cristallo? Era evidente che si trattava di un problema della mente del signore, non certo di qualche superstizione da medioevo.
Così, il signor L. se ne stava tranquillo sulla sua poltrona di vimini, il sole che gli carezzava il volto.
Il cristallo aveva smesso di parlargli, solo ogni tanto gli sussurrava che presto sarebbe arrivato, che presto sarebbe venuto a prenderlo, ma il signor L. non ci credeva più di qualche secondo. A volte sbiancava e gli occhi gli si dilatavano, il suo cuore batteva feroce, preso da un'improvvisa paura. Poi tutto passava, i suoi pensieri tornavano opachi e sfuggenti, come l'acqua torbida del fiume, e il cristallo restava in silenzio. Quella mattina, era uno di quei momenti di quiete.
Il signor L. stava leggendo il giornale sorseggiando una limonata, quando avvertì un rumore leggero provenire dalla siepe alla sua destra. Si sentì prendere da una morsa allo stomaco e brividi gli percorsero la schiena. Passerà, si disse, ora passa. Non è niente.
Ma il rumore non smise, anzi si fece più vicino; un rumore metallico, a scatti. Il signor L. guardò in direzione della siepe e vide che si muoveva leggermente, oscillando. Zak, zak...
Un'ondata di panico prese il signor L. mentre immagini orribili si facevano prepotentemente strada nella sua mente: zanne taglienti, denti aguzzi in orribili bocche che scattavano, serrandosi su di lui...zak, zak! Il rumore era forte ora, a solo qualche metro di distanza. La siepe oscillava orribilmente e il signor L. era sicuro che ne avrebbe visto uscire un mostro con un orribile ghigno. Lo sapeva: erano venuti a prenderlo; doveva fuggire, ora, subito!
Stringendo spasmodicamente il pendolo in mano si alzò di scatto e corse via dal giardino urlando.
Dietro la siepe, un uomo con una tuta da lavoro e un paio di cesoie in mano si affacciò incuriosito, ma vide solo una poltrona di vimini vuota, un bicchiere di limonata rovesciato che colava il suo contenuto su un giornale.

24 ottobre 1929, Arkham, Massachusetts

L'agente S. assunse un'aria severa, mentre si accingeva a parlare con i giornalisti riunitisi sulla banchina del fiume. Si trattava di un fatto grave: uno dei cittadini più in vista di Arkham era stato trovato senza vita sulla riva del fiume, palesemente annegato.
Il signor L, i cui domestici avevano denunciato la scomparsa il pomeriggio precedente, era stato ritrovato nelle prime ore del mattino da un barcaiolo che lasciava la propria barca ormeggiata proprio sotto quel ponte.
-Agente! Da questa parte la prego- gridò un giornalista quando il poliziotto si avvicinò al gruppetto munito di macchine fotografiche e taccuini.
-Allora si tratta di suicidio?- fece un altro, pronto a prendere appunti.
L'agente sospirò, annuendo -Si tratta indubbiamente di suicidio, tutti gli elementi lo fanno pensare. Inoltre- e qui fece una breve pausa aggrottando le sopracciglia -ci è stato riferito dai domestici del signor L. che ultimamente non godeva di...buona salute mentale.- concluse.
-Cosa intende?- chiese un giornalista
-Intendo che ultimamente il signor L. aveva avuto dei problemi di stress nervoso.
-E lei ritiene- continuò il giornalista -Che questo possa essere collegabile alla caduta della borsa di questi giorni? Il singor L. era noto per la grande quantità di titoli, e anche il suo agente finanziario ha confermato che-
-E' possibile- lo interruppe l'agente S. corrugando ulteriormente la fronte -Abbiamo avuto notizia da New York di molti altri suicidi, a causa del crollo di Wall Street questa mattina. Ritengo probabile che il signor L., già provato, non abbia retto alla notizia. E ora scusatemi, vi pregherei di andarvene, dobbiamo recuperare il corpo.
I giornalisti si allontanarono, un po' delusi dal non aver scoperto nessun particolare interessante, anche se un suicidio per fallimento era sempre qualcosa su cui scrivere.
L'agente S. tornò sul greto del fiume, scuotendo la testa tra sé e sé.
-Quattro suicidi solo nelle prime ore del giorno. E' decisamente un giovedì nero.

Poco più in là, sulla riva opposta, nessuno fece caso a una figura che si aggirava furtiva sulla banchina. J. era scappato di nuovo, ma nessuno vi aveva badato, con la morte del signor L. in città e l'ondata di panico provocata dal crollo terribile della borsa. Così, nessuno si accorse di una catena d'oro e un pendolo di cristallo bianco gettati sulla riva e chissà come non affondati, e nessuno vide J. raccoglierlo e prorompere in una fredda, agghiacciante risata.
 
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