I sensi di un guerriero, [27/05/08] The dark side of Dragon Ball Z

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taisa*
view post Posted on 26/7/2008, 20:51




Fandom: Dragon Ball
Rating: 18 anni
Personaggi: Altri, Vegeta
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 5.080 parole, 10 pagine (12 Times New Roman)
Avvertimenti: Original Character, Character Death, Non per stomaci delicati, Violenza
Genere: Drammatico, Dark
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Akira Toriyama che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Dragon Ball, appartengono solo a me.
Introduzione alla Fan's Fiction: L’invasione di un pianeta, per un Saiyan, è la norma; ma per la popolazione è una questione di sopravvivenza.


I SENSI DI UN GUERRIERO



Con la più totale indifferenza scostò i suoi occhi sulla minuta figura che gli sostava, con fierezza, davanti.
Il suo sguardo rimase impassibile di fronte a quel guerriero dalle fattezze giovanili, ma nient’affatto ingenue.
Era un guerriero dalla bassa statura, null’altro che un semplice mercenario.
D’altro canto quello era il pianeta dei militari ignobili e senza scrupoli per eccellenza.
Di alieni dalla brama di potere e dalla forza strepitosa ne esistevano a milioni.
Tante erano le creature che eleggevano la propria invulnerabilità, ma solo un popolo viveva esclusivamente per imperare sulle altre creature.
I Saiyan.
Forti, potenti, come nessun’altro essere poteva vantarsi.
E lui lo sapeva bene.
Per questo motivo decantava la sua posizione al cospetto dei suoi simili.
Il guerriero più forte del popolo più agguerrito.
Questo era il suo ruolo, in teoria.
Non sempre le cose vanno com’è logico che sia.
Combattenti di altre razze lo costringevano ad obbedire ai loro ordini.
In realtà non era il più forte guerriero dell’universo, né era il lottatore più temibile del suo stesso popolo.
I suoi occhi si soffermarono ancora una volta sul piccolo guerriero che, nonostante l’età, era già in grado di metterlo in ginocchio.
Nessun orgoglio era visibile nel suo sguardo, nonostante quello che gli sostava davanti fosse il suo stesso figlio.
Su qualsiasi altro pianeta della galassia un padre osanna i livelli dei propri eredi, ma sul pianeta Vegeta-sei questo non accadeva.
Così come, al contrario, i figli non avevano rispetto alcuno per i padri.
Vegeta, dunque, non faceva alcuna eccezione.
Osservava, a sua volta, il re dinnanzi a lui scrutando i suoi occhi e la severità con la quale essi lo stavano fissando già da alcuni minuti.
Il suo sguardo era indifferente e glaciale verso colui che gli aveva donato la vita.
Con disprezzo.
“E’ giunta l’ora che inizi a conquistare pianeti abitati da popolazioni più forti” esordì infine il re intersecando le braccia al petto.
Il bambino di soli quattro anni annuì appena percettibilmente, “Sarà fatto, padre” si limitò ad asserire senza mostrare preoccupazione alcuna.
Il sovrano continuò ad osservare il bambino, già grande, che sostava sul tappeto rosso esteso da sotto il trono sul quale sedeva.
“Hai un mese per occupare Chiroe” continuò a parlare l’uomo.
Si voltò al suo fianco dove, due guerrieri, sostavano solerti osservando a loro volta il viso del piccolo principe.
“Loro verranno con te” concluse facendo cenno ai due energumeni di raggiungere il piccolo sovrano.
Vegeta storse la bocca in segno di disappunto, “Non ho bisogno di aiuto” protestò poco incline ad essere accompagnato.
Il padre aggrottò le sopracciglia, “Non discutere con me, Vegeta. Nappa e Cabbege verranno con te in questa missione” decretò risoluto, ed il piccolo guerriero chinò il capo, “D’accordo, padre” accettò
.

La gerarchia dei Saiyan si divideva in tre classi.
I sovrani, i nobili e la terza classe.
Tuttavia esisteva una casta non ufficiale, i così detti intermedi.
Generalmente appartenevano al secondo rango, ma non potevano vantare una forza alla pari dei loro simili.
Decisamente più potenti delle terze classi erano tuttavia al di sotto dei nobili.
Una via di mezzo, appunto.
La loro peculiarità stava nella conoscenza.
I Saiyan non potevano certo definirsi un popolo colto, ma come in ogni cosa esistevano le eccezioni.
Questi erano gli intermedi.
Non si trattava d’intelligenza, gli unici a poter realmente vantare tale caratteristica erano i membri della famiglia reale, né si trattava di una vera e propria forma d’istruzione.
I soli insegnamenti per questo popolo era la disciplina alla battaglia.
Gli intermedi non erano scienziati, non erano uomini dall’immensa cultura.
La loro prerogativa erano le teorie delle quali facevano sfoggio, nulla di più.
In una stirpe che del cervello non faceva uso questi individui, si disgiungevano proprio per i loro pareri spiccati.
Inutile dire che, spesso e volentieri, non venivano tenuti in considerazione.
Nonostante ciò, il re si serviva delle loro opinioni e della loro enorme capacità di distinguere le altre razze memorizzando le caratteristiche e le capacità di ciascun pianeta.
Tale era il compito di questi guerrieri; lottare, come ogni Saiyan, informando gli altri combattenti sugli eventuali pericoli.
Nessuna strategia, sia chiaro, gli intermedi non arrivavano a tanto; loro si limitavano a fornire informazioni quali il sorgere della luna o eventuali singolarità del pianeta invaso.
Soprattutto quando si trattava di una stella considerata importante.
Solo questo.
Cabbege era un intermedio.
Come tale aveva parecchie teorie sul pianeta che, assieme al principe in persona, stava conquistando.
Secondo una delle sue speculazioni, infatti, aveva definito gli abitanti del pianeta Chiroe i guerrieri dell’ombra.
Grazie alle sue conoscenze risultava che essi si limitassero a celare la propria presenza tra le fronde degli alberi affrontando gli avversari, o gli invasori come in questo caso, con dardi acuminati intrisi di veleno.
La sua cultura, però, si fermava lì.
Infatti, non era al corrente sul tipo di veleno, né sulla sua efficacia ed ancor meno sapeva qualcosa rispetto alla sua mortalità.
La sola cosa che si era sentito di raccomandare, dunque, fu di tenere allerta tutti e cinque i sensi.
Perché, secondo un’altra delle sue stravaganti teorie, un guerriero perfetto era in grado di usare tutti i sensi senza mai sgarrare.
Osservare il proprio avversario non era sufficiente, bisognava saperlo ascoltare allo stesso tempo.
Tra diversi anni, Vegeta, avrebbe scoperto che su questo non aveva tutti i torti, imparando a percepire le auree con l’interezza del proprio corpo.
Ma questa è un’altra storia.
Ora si limitava ad ascoltare le idee di Cabbege, che riversava le sue speranze in quello che chiamava il sesto senso del guerriero.
Quando vista, udito, tatto, olfatto e gusto non erano sufficienti entrava in azione l’indifferenza.
Un guerriero non si piega davanti ai suoi sentimenti, nel momento di uccidere.
Un guerriero non si lascia prendere dalle emozioni, mai.
Un guerriero non si impietosisce davanti alla morte.
“E’ un’idiozia” replicò il Saiyan nobile a tale teoria sbeffeggiando l’altro quasi con disprezzo.
Cabbege lo guardò con sicurezza, assolutamente convinto del proprio modo di pensare, “Sei tu l’idiota, Nappa” tuonò poco contento delle contestazioni.
“Cosa?! Ripeti se hai il coraggio!” ringhiò il colosso issandosi in piedi e mostrando minaccioso il pugno al suo interlocutore.
La reazione dell’intermedio fu quella di incrociare le braccia in maniera saccente, “Prova a pensarci. Quanti guerrieri sono morti perché non hanno visto il proprio avversario, quanti invece sono deceduti perché non l’hanno sentito?” gli ricordò sprezzante, conscio di aver vinto la piccola battaglia.
A Nappa non piacevano gli intermedi, lo facevano sentire... stupido.
Non era un genio, questo era sicuro, ma almeno con i nobili normali era in grado di risolvere la situazione, a pugni se necessario, ed averla sempre vinta.
Nervoso si risedette sulla rupe accanto al piccolo fuoco allestito per la notte.
Cabbege gli lanciò uno sguardo borioso volgendo poi gli occhi verso la piccola figura a pochi passi del fuoco stesso.
Vegeta, di spalle alla fiamma, sembrò disinteressato alla conversazione tra i suoi accompagnatori.
Con sguardo annoiato scrutava la notte immerso in pensieri inaccessibili.
In genere, Cabbege, riusciva a carpire i pensieri dei suoi simili.
Tanto semplici da essere scritti a lettere cubitali sui loro volti, ma con il principe non ci riusciva.
Non per nulla apparteneva alla prima classe.
“Tu cosa ne pensi, Principe Vegeta?” cercò di renderlo partecipe l’intermedio, curioso di conoscere l’opinione del futuro re.
Per diversi secondi regnò solo il silenzio.
“Non coinvolgerlo nelle tue buffonate!” sbraitò nuovamente il gorilla al suo fianco.
Cabbege gli rivolse uno sguardo seccato, prossimo a replicare a tono per zittire l’energumeno, ma non fece in tempo.
“Chi non conosce il proprio avversario è uno scarto, va eliminato” sentenziò gelido il piccolo principe facendo rabbrividire i due guerrieri.

Il crepitio del fuoco era appena percettibile.
Un suono udibile solo in sottofondo facendo da contorno al rumore, silenzioso, della notte.
Era un pianeta immerso nel verde e nella natura, circondato solo da strani alberi e vegetali che ombreggiavano il piccolo spiazzo usato come accampamento per i tre invasori immersi ognuno nei propri sogni.
Animali ed insetti, ignari del pericolo che rappresentavano quegli individui, ululavano, cinguettavano o emettendo suoni cupi in grado di far accapponare la pelle ad un qualsiasi viaggiatore straniero.
Queste, però, non erano cose che accadevano a dei guerrieri Saiyan, ancor più se appartenevano alla categoria dei nobili e, in questo caso, addirittura maggiore.
Loro, i conquistatori, dormivano pesantemente.
Cabbege si era coricato accanto ad un macigno, vi aveva appoggiato sopra la schiena senza troppo badare alle protuberanze spigolose.
Le braccia conserte e le gambe intrecciate, sprofondato in un profondo sonno dal quale dava l’idea che difficilmente si sarebbe svegliato.
Eppure, il cipiglio severo, sembrava indicare una notevole concentrazione anche per il mondo che lo circondava.
Nappa, invece, si era abbandonato accanto al fuoco dormendo in una posizione scomposta.
Il suo russare rimbombava nell’intera vallata rendendolo inconsciamente complice dell’allontanamento di eventuali animali troppo spaventati da quell’insolito rumore per avvicinarsi a lui.
Infine, il terzo del gruppo; il giovane Vegeta si era coricato sul fianco, le braccia congiunte ed un’espressione che non divergeva molto da quella che sfoggiava durante il giorno.
Nemmeno di notte dimostrava apertamente la sua tenerissima età, se non fosse per la maniera piuttosto fanciullesca di arcuare le ginocchia in una posizione simile a quella di un bimbo nel grembo materno.
Era ancora troppo piccolo per abbandonare quella singolare posizione, sebbene i suoi quattro anni non li dimostrasse affatto.
Il suo respiro era flebile ed appena percettibile.
Lento, rilassato e per nulla pesante, proprio come quello di un bambino.
Un singolare fruscio si udì tenue provenire dalle fronde degli alberi poco distanti.
Poi silenzio.
Ed ancora, il singolare suono si ripeté più vicino.
Il silenzio precedette una nuova serie di bisbigli.
Infine, come se ogni attività si fosse conclusa, regnò la quiete per svariati istanti che parvero interminabili.
Senza una motivazione apparente, Vegeta spalancò gli occhi.
Alcuni secondi dopo una freccia scoccò da dietro un cespuglio mirando direttamente al suo giaciglio.
Vegeta osservò il dardo conficcarsi nel terreno accanto alle suole delle sue scarpe.
Era stato sufficientemente rapido ad alzarsi in piedi per evitare quell’arma mortale indirizzata al suo torace.
Altre frecce scaturirono, veloci, dalla boscaglia che circondava la zona.
Il piccolo principe balzò in aria evitando tutti le armi che si piantarono nel punto esatto in cui stava riposando.
La sua mano si aprì completamente volgendola verso i suoi avversari ancora nascosti.
Non ebbe alcuna esitazione, l’adulto bambino, la sfera di energia che scaturì dalla sua mano centrò in pieno l’arbusto, disintegrandolo.
La tremenda esplosione che seguì scosse l’intera zona producendo un frastuono udibile in qualsiasi luogo sul pianeta.
Grida agghiaccianti rimbombarono nelle sue orecchie e, il principe dei Saiyan, sorrise compiaciuto della sua opera di distruzione.
“Ahahah! Ottimo lavoro Vegeta!” si congratulò, da terra, il colosso dalle origini nobili osservando i corpi che, esanimi, caddero al suolo uno dopo l’altro.
Nappa, assieme a Cabbege, si erano destati dal loro sonno appena pochi secondi dopo il più giovane dei tre.
Lo sguardo di Vegeta si macchiò di sadismo allo stato puro, forse anche da una punta di follia.
Quando si decise a poggiare nuovamente i piedi al suolo fissò quel che restava dei coraggiosi, o sciocchi, abitanti del pianeta sperando di poterne incontrare degli altri al più presto.

Il loro cammino durava da diversi giorni ormai.
Saccheggiavano ogni villaggio lasciando solo una scia di morte alle loro spalle.
Era facile sapere la direzione nella quale erano diretti.
Bastava seguire l’odore di bruciato, che per primo veniva percepito dall’olfatto.
Si diffondeva nell’aria fluttuando in una coltre di fumo visibile da diversi chilometri.
E l’odore, forte e pungente, era percepibile anch’esso da parecchio lontano.
Arrivava sospinto dal vento coprendo tutti gli altri odori che, uno ad uno, si facevano strada nell’inoltrarsi del villaggio, o per meglio dire tra le macerie.
Il secondo odore che giungeva rigoroso e nauseabondo era quello di morte.
Il fetore di marcio e di putrefatto arrivava da tutte quelle che, un tempo, erano strade.
I cadaveri carbonizzati lasciati a deteriorarsi tra le mattonelle che rappresentavano una civiltà che andava via via distruggendosi emanavano un olezzo stomachevole tanto da costringere un’eventuale viandante a riversare le proprie interiora sui cigli delle strade.
Infine un sottile e non meno ripugnante puzzo di sangue giungeva celato abilmente dagli altri odori.
Sangue marcio o sangue fresco non aveva importanza.
La sola differenza stava nel tempo trascorso dalla morte dell’individuo che l’aveva riversato.
Metallico e penetrante sopraggiungeva velato alle narici, camuffato dagli odori ben più forti.
Una goccia di sangue percorse lentamente tutto il suo braccio, solleticando la cute della sua pelle.
Ansimante si nascose dietro la parete diroccata di una casa, sbirciando nel piazzale a pochi passi dalle macerie.
Convinto di essere al sicuro deglutì rumorosamente adagiando il capo al muro alle sue spalle.
Il rumore di passi che sentì lo fece sussultare e con uno scatto aprì gli occhi reggendosi il braccio ferito che ancora perdeva sangue.
Chinandosi avanzò quatto alla ricerca di un nuovo nascondiglio, l’altro era diventato troppo pericoloso.
Si guardò attorno agitato, non riconoscendo neanche più il luogo dov’era cresciuto, sperando di trovare qualcosa che potesse fare al caso suo.
Si ritenne fortunato, quando vide quella casa diroccata poco più avanti.
S’intrufolò tornando ad appoggiare la schiena sull’ennesima facciata.
I suoi occhi si spalancarono quando vide la mano di una bambina uscire dalle macerie.
Tra le piccole dita un singolare pupazzo di pezza macchiato del color vermiglio.
Icadro avrebbe riconosciuto ovunque quel fantoccio; apparteneva a Nayal, la sua piccola vicina di casa.
Ingoiando un boccone amaro, ed impedendosi di urlare, cercò di reprimere la voglia di piangere la scomparsa di quella bambina tanto dolce che spesso gli aveva allietato le giornate con la sua solare allegria.
Se la ricordava ancora lì, con i suoi sorprendenti boccoli d’oro giocare nel giardino di casa insieme ai suoi genitori, salutandolo ogni qualvolta lo vedeva rientrare da una giornata lavorativa nei campi.
“Andiamocene, Principe Vegeta, qui non c’è più nessuno” parlò l’energumeno dai capelli raccolti in una singolare coda.
Seguirono alcuni secondi di silenzio, poi alcune macerie si mossero sotto i piedi di un misterioso interlocutore.
“C’è odore di sangue” proferì l’infantile voce, troppo vicino per i gusti del ragazzo ferito.
Se fosse stato più grande, suo padre gli avrebbe insegnato ad usare arco e frecce, ma sfortunatamente non aveva ancora raggiunto quella che su Chiroe veniva definita la maggiore età.
Avrebbe potuto vendicare la morte di una bambina che non aveva neanche vissuto la sua infanzia, tanto era giovane.
L’aria vibrò d’improvviso e Icadro fu investito in pieno dalla brezza che lo colse di sorpresa.
Quando scostò lo sguardo si ritrovò ad osservare la figura di un bambino, della stessa età di Nayal, apparsa dal nulla ed intento a squadrarlo con un’inespressività che metteva i brividi.
“Ti ho trovato” sibilò vittorioso il giovane guerriero, altrettanto senza infanzia, mentre generò una sfera sul palmo della sua mano.
Il ghigno sadico, che nulla aveva di fanciullesco, fu l’ultima cosa che Icadro riuscì a vedere.
Poi fu la fine.

Ogni pianeta ha le sue caratteristiche.
Ogni pianeta ha la sua cultura.
Ogni pianeta ha il suo clima.
Ogni pianeta riserva delle sorprese che possono rivelarsi positive o negative.
Un’altra delle teorie di Cabbege.
Secondo lui il destino gioca un ruolo ogni volta che si affronta un nuovo viaggio.
Non si può prevedere cosa succedere quando i tuoi piedi si posano sulla superficie di una nuova stella.
Molti guerrieri erano partiti con la sicurezza negli occhi ed erano tornati con il terrore stampato in viso.
Altri invece, a causa della loro baldanza, non avevano più fatto ritorno.
Ci sono diverse cose da considerare durante un’invasione, oltre alla forza del popolo che va sterminato.
La conformazione del pianeta, ad esempio, era una di quelle cose che secondo Cabbege erano della massima importanza.
Gli abitanti conoscono ogni anfratto, ponendoli quindi in leggero vantaggio.
“Tsk” aveva replicato Vegeta “Non vedo quale sia il problema, basta radere al suolo l’intera zona” fu la risposta alla quale l’intermedio non poté controbattere.
Non ci aveva mai pensato, forse perché i suoi poteri non arrivavano a tanto.
Ma le condizioni climatiche, al contrario, si erano rivelate un problema al quale era impossibile rimediare.
Così come il sole caldo batte sulla superficie rendendo impossibile la respirazione della pelle, anche la pioggia creava delle difficoltà non indifferenti.
Specialmente quella fitta, che non permette alcuna visualità.
Per questo, a causa di un improvviso diluvio, i tre invasori si videro costretti a rintanarsi in alcune abitazioni che ancora non avevano raso al suolo.
Normalmente i Saiyan non si sarebbero ritirati di fronte a qualche goccia di pioggia, ma in questo caso il picchiettare dell’acqua che cadeva dal cielo impediva loro qualsiasi movimento.
Un abitante del pianeta Chiroe, abituato a tale flagello, nemmeno badava all’incessante cascata che si abbatteva sopra la sua testa.
Mentre, per gli alieni venuti a sterminarli, la questione era differente.
La pioggia era talmente fitta e densa da dare quasi l’impressione che la propria cute venisse perforata.
Questo poteva diventare un punto a favore della popolazione.
Se un Saiyan rischiava di non riuscire nemmeno a muovere un braccio, un locale poteva permettersi di correre, saltare e volare senza alcuna difficoltà.
Inoltre, al lungo andare, un alieno rischiava di cadere a causa del peso che era costretto a sopportare finendo con l’essere schiacciato dalla pioggia.
Un’altra cosa importante era che, su Chiroe, la pioggia durava anche per giorni interi.
Per questo motivo Cabbege aveva proposto di accamparsi in una zona asciutta in attesa del cambiamento climatico.
Ufficialmente preoccupato per il bambino che era in sua compagnia, ufficiosamente terrorizzato dall’essere proprio lui il primo a soccombere.
Era quindi riuscito, in qualche modo, a convincere il piccolo principe a riposare per alcuni giorni.
Vegeta aveva accettato controvoglia.
Di restarsene accampato per chissà quanti giorni senza nulla da fare esulava dal suo modo di agire.
Il principe dei Saiyan non era il tipo che amava starsene con le mani in mano.
Lui desiderava la battaglia e, quando metteva piede su un altro pianeta, la sua brama di potere e di sangue aumentava a dismisura.
Neanche stare da solo con lui per giorni, quand’era in quelle condizioni, era l’ideale.
In un momento di estrema noia c’era sempre il rischio che scegliesse una vittima tra i suoi stessi compagni di viaggio.
Per questo Nappa, che conosceva il giovane sovrano molto meglio di Cabbege, suggerì un modo macabro di passare il tempo.
Un urlo disumano squarciò il cielo e la terra.
Del sangue cadde al suolo a fiotti macchiando gli stivaletti in lattice che sostavano a pochi passi dalla fonte del liquido cremisi.
Il carnefice sogghignò maligno generando una piccola sfera sulla punta di un dito.
Poi, con una maestria che aveva del raccapricciante, incise la carne dello sventurato abitante di Chiroe.
Usoi sputò altro sangue costretto a chinare il capo senza avere più nemmeno la forza di urlare.
Mai avrebbe immaginato di morire così, trafitto e torturato da un bambino più piccolo di suo figlio.
Chissà come stava Shida, se lui e sua madre si erano salvati.
E pensare che era rimasto indietro promettendo loro che li avrebbe presto raggiunti, che avrebbe sconfitto gli invasori per permettergli di tornare a una vita normale.
Ora, in agonia mentre sentiva la sua pelle lacerarsi in un gioco sadico, sperava solo di morire il più in fretta possibile auspicando la clemenza del suo aguzzino.
Usoi aveva cresciuto un bambino fino agli otto anni e aveva imparato che quando un suo coetaneo trovava divertimento in un gioco difficilmente si stancava del suo passatempo.
Le sue palpebre si scostarono lentamente sulla figura che gli sostava davanti.
Se proprio non poteva più pregare per la sua stessa vita allora avrebbe implorato per la giovinezza del suo stesso carceriere.
Perché se a soli quattro anni era già capace di tale ferocia non osava immaginare quale potesse essere il suo destino quando avrebbe raggiunto la maggiore età.
Si domandava, inconsciamente, quale razza di popolo poteva permettere ai propri figli di crescere con tale violenza.
“Cosa c’è, vecchio? Perché frigni?” gli domandò il giovane Saiyan sentendo la carne della sua vittima ridursi a brandelli sotto i polpastrelli delle sue dita.
Usoi alzò il capo solo leggermente, quel poco che poteva permettersi dato il dolere della sua cute e delle sue interiora, “Prego per te” ebbe il coraggio di dire, confessando tutta la compassione che provava per quell’assassino così giovane.
Vegeta aggrottò le sopracciglia, non ancora in grado di capire il significato delle sue parole.
“Mi hai seccato!” gridò innervosito, non gli piaceva non riuscire a comprendere le cose.
La sua mano si issò illuminata da una sfera di energia, “Crepa!” annunciò sgretolando il suo giocattolo.
Cabbege osservò il nobile al suo fianco, anch’egli intento ad osservare le torture causate dal principe.
Sul volto di Nappa nessun segno di preoccupazione, né di pentimento.
“Spero che smetta di piovere in fretta” si lasciò sfuggire l’intermedio tornando a volgere la sua attenzione al sovrano, trattenendo a stento un conato di vomito.
L’altro colosso ghignò divertito, “Temi forse di poter essere il prossimo?” gli domandò senza alcun timore.
Al contrario, Cabbege, non riuscì a nascondere la sua preoccupazione chinando leggermente il capo.

Cabbege era un tipo che amava esporre tutte le sue teorie e le sue convinzioni.
Forse era per questo che, Vegeta, aveva cominciato a non voler più stare ad ascoltare le sue stramberie.
Se c’era una cosa che non sopportava erano le chiacchiere inutili, e Cabbege diceva solo cose superflue.
Chi dava fiato alla bocca solo per udire la propria voce stava proprio in cima alla sua lista nera.
In genere, per non uccidere il malcapitato, doveva trovare una ragione più che valida, affinché decidesse di risparmiargli la vita.
A salvare Cabbege erano i cadaveri che cadevano uno dopo l’altro ai piedi del giovane principe, che Vegeta usava come valvola di sfogo.
Lui, il principino, non parlava molto.
Preferiva il silenzio.
Riteneva solo uno spreco quello di aprire la bocca al solo scopo di emettere suoni.
Forse era dovuto al fatto che il solo modo di comunicare che gli era stato insegnato era quello della battaglia.
Era abituato a dare ordini ed essere ubbidito al termine di una sola frase.
E nel caso non venisse ascoltato aveva imparato a farsi giustizia da solo.
Doveva però ammettere che la cosa lo divertiva.
Veder morire gli inetti era sempre qualcosa che riteneva spettacolare.
D’altra parte chi gioca col fuoco finisce bruciato.
E lui era il fuoco.
Gli piaceva giocare con le proprie vittime, dargli l’illusoria speranza che li avrebbe risparmiati, uccidendoli un secondo dopo che questi traessero un sospiro di sollievo.
E sorrideva, quando lo faceva.
Un ghigno gelido e sarcastico, in quelle occasioni, si dipingeva regolarmente sul suo volto, compiaciuto dalla sua opera di distruzione.
Cabbege poteva dirsi fortunato.
Vegeta lo lasciava parlare senza mai zittirlo, senza impedirgli di continuare a blaterare sulle sue assurde teorie.
Come quella che riguardava il destino, l’intermedio sembrava essere assolutamente convinto che esistesse una cosa del genere.
La vita stessa di ogni individuo era causata dal destino, secondo lui.
Un bambino nasce perché i suoi genitori sono entrati in contatto, se così non fosse stato l’esemplare non sarebbe mai venuto al mondo.
Vegeta continuò a ritenerla una totale idiozia; nonostante ciò, per qualche inconscio motivo, continuò ad ascoltarlo in silenzio.
Forse fu quello il motivo per il quale Cabbege non era ancora diventato solo un mucchio di ossa fumanti.
E nel silenzio della notte i due Saiyan ascoltavano, chi più chi meno, il loro compagno d’avventura.
Ad udire le strane teorie di Cabbege, però, non erano solo gli appartenenti della sua razza.
Nascosto tra gli arbusti, Ituk, tendeva un orecchio ed origliava i loro discorsi attendendo il momento giusto per scoccare il suo dardo avvelenato.
Aveva abbastanza esperienza da riconoscere il momento preciso in cui attaccare.
Nel suo villaggio era considerato l’arciere più abile e valoroso.
Per questo era stato scelto per combattere contro l’invasione rappresentata da quei tre individui.
Gli avevano detto che erano spietati e molto forti, ma le voci che gli erano giunte non avevano accennato all’età dei tre guerrieri.
Rimase basito quando si accorse del bambino che accompagnava i due energumeni.
Forse aveva un anno in più di sua figlia, la più piccolina delle tre.
Come padre, dunque, esitò molto prima di mirare verso quella minuta figura che accanto ai suoi compagni quasi spariva.
Piccolo e silenzioso.
Gli risultò difficile credere a quanti dicevano che erano tutti esseri spietati.
La sua arma si spostò mirando a uno degli altri due.
Non voleva uccidere un bambino, era contro tutti i suoi principi.
Nappa sbadigliò rumorosamente tanto da nascondere, per un attimo, il chiacchierio del suo vicino.
Eccolo, il momento giusto era arrivato.
Ituk scagliò la sua freccia che sferzò l’aria ed in una frazione di secondo raggiunse i tre Saiyan.
Fu un solo attimo.
Vegeta alzò lo sguardo ed in un solo istante sparì dalla vista di tutti.
Nappa impiegò un secondo in più, ma fu ugualmente lesto riuscendo a scansarsi all’ultimo secondo.
Poi un urlo.
Cabbege cadde al suolo colpito in pieno petto dalla freccia.
L’abitante di Chiroe non ebbe nemmeno il tempo di festeggiare il suo successo.
Alle sue spalle la figura minuta e silenziosa del principe dei Saiyan apparve improvvisamente.
Sul volto del giovane Vegeta un’espressione che rasentava la follia; assetato di sangue e sadico.
La sua piccola mano frantumò l’armatura dell’arciere, squarciandone anche la carne del torace.
Oltrepassandolo da parte a parte.
Schizzi di sangue fuoriuscirono dalla vittima a zampilli macchiando il viso del suo giovane assassino.
In quel momento Ituk si rese conto che Eart aveva ragione, quando sul letto di morte gli aveva sussurrato di non farsi ingannare dalle apparenze.
Tramutato solo in una carcassa priva di vita ricadde al suolo riverso nel liquido rosso che lui stesso aveva perduto.
Vegeta ritirò la mano completamente colorata di cremisi, con gli occhi rivolti al corpo esanime ai suoi piedi.
Un ghigno compiaciuto si dipinse sul suo volto e, con gesta flemmatiche, leccò la superficie del guanto che indossava.
Gli piaceva, il sapore del sangue.

“Tsk, e dire che ci aveva avvertito lui stesso che i dardi erano avvelenati” mormorò Nappa osservando l’intermedio dall’alto al basso.
In piedi accanto a lui, le braccia conserte e lo sguardo indifferente quasi compiaciuto nel guardare la sofferenza con la quale, Cabbege, si stava contorcendo dal dolore.
Ad alcuni passi di distanza anche il principe Vegeta osservava indolente le torsioni compiute dal compagno di viaggio.
“Così impara a stare zitto” replicò il bambino senza mai distogliere gli occhi dallo spettacolo raccapricciante che si stava svolgendo.
Cabbege sembrava posseduto da una specie di entità sovrannaturale.
Gli occhi riversati all’indietro, la schiuma alla bocca e il suo continuo divincolarsi in maniera convulsa e insensata parevano affascinare molto il sovrano che, con la più totale freddezza, puntava le sue pupille scure verso il malcapitato.
Nappa rivolse lo sguardo al principe che, nel contempo, si era accomodato su una roccia, “Quanto credi che andrà avanti?” gli domandò.
Vegeta si appoggiò una mano sotto il mento senza degnare della minima attenzione il colosso, “Questi tizi combattono in maniera strana” constatò senza dar ascolto al suo interlocutore che, per tutta risposta, tornò a volgere la sua attenzione verso il moribondo.
Cabbege tossì sputando sangue e costringendo Nappa a balzare all’indietro per non essere investito dal getto.
Il principe continuò a non mostra alcuna sensibilità.
Il gigante osservò lo schizzo che aveva evitato per un soffio, poi tornò a guardare il bambino, quindi a fissare l’altro Saiyan, “Che ne dici di farla finita ed ucciderlo?” propose.
“No, voglio vedere in che modo lo ucciderà il veleno” spiegò il giovane restando immobile a scrutare le condizioni del Saiyan al suolo.
Nappa gli riservò uno sguardo di sottecchi, deglutì sonoramente rendendosi conto della ferocia del sovrano bambino.
E aveva solo quattro anni.
Sebbene fosse orgoglioso del suo potere dovette ammettere che la cosa gli faceva in qualche modo anche molta paura.
Come si sarebbe comportato una volta salito al trono?
Mentalmente si appuntò di non chiedergli mai pietà, tanto non gliel’avrebbe concessa.
Mentre tornò a volgere la sua attenzione verso l’ansimante guerriero un raggio di luce gli sfiorò il viso.
Sorpreso indietreggiò di un passo, poi volse la sua attenzione nel punto in cui il raggio era partito.
Il guanto di Vegeta fumava ancora a causa della sfera che, lui stesso, aveva appena lanciato.
Nappa boccheggiò incredulo, “Perch...” “Venite fuori, sono stufo dei vostri sistemi da codardi!” ordinò il principe volgendo lo sguardo agli arbusti poco distanti.
Anche il colosso, una volta compresa la situazione, rivolse il capo nella stessa direzione.
Un gruppo di soldati uscì allo scoperto, visibilmente terrorizzato.
Il Saiyan adulto sferrò un pugno sul palmo dell’altra mano con un ghigno, “Bene, ora sì che ci divertiamo!” esclamò.

Un silenzio irreale si estendeva in tutta la zona.
L’odore di carne bruciata regnava sovrana su tutto il campo di battaglia.
I cadaveri erano riversati al suolo formando un cerchio.
Al centro di esso, su una piccola roccia, la figura di un bambino era l’unica forma di vita presente.
Tra le piccole dita stringeva una mano mozzata.
Il suo sguardo era fisso sulle carcasse che giacevano davanti a lui, uno in particolare sembrava attirare la sua attenzione.
Rumori di passi si fecero largo tra i carcami raggiungendo la minuta figura che gli dava le spalle.
Il colosso si avvicinò al suo piccolo sovrano guardandosi attorno ed osservando la carneficina compiuta dal bambino stesso.
Lui, Nappa, non era stato in grado di ucciderne nemmeno la metà.
“Questi idioti mi hanno fatto perdere tutto lo spettacolo” si lamentò il piccolo addentando il suo pasto.
Nappa gli rivolse lo sguardo piuttosto sorpreso, non comprendendo il significato di quelle parole.
Vegeta si alzò dalla rupe, lasciò cadere l’arto che reggeva in mano e si avviò verso quello che, un tempo, era stato un suo compagno d’avventura.
Gli appoggiò un piede sul cranio osservandolo con la più totale indifferenza, “Non ho nemmeno visto com’è morto” si lamentò.
I suoi stivaletti divennero rossi.
Il gigante rimase in silenzio osservando i movimenti del principe.
“Torniamo a casa, Nappa, questo posto è di una noia mortale” si lagnò.
Cabbege aveva tante teorie, credeva che un guerriero perfetto dovesse avere non cinque, ma sei sensi.
Secondo la sua opinione anche l’indifferenza andava presa in considerazione.
Vegeta era il guerriero che più si avvicinava alla descrizione di questo combattente.
C’era una sola cosa che Cabbege non aveva mai considerato.
Il guerriero perfetto non esiste.

FINE


 
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