Hunter (The Bloodhound), [07/08/08] Twilight: il predatore e la sua preda

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icon12  view post Posted on 10/10/2008, 12:56

State Alchemist

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Titolo: Hunter (The Bloodhound)
Autore: elyxyz
Fandom: Twilight
Rating: 16 anni
Personaggi/Pairing: James
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 1.500 parole esatte, contate con MS word
Avvertimenti: Angst, Violenza
Genere: Drammatico, Introspettivo
Disclaimer & Credits: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di S. Meyer che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Twilight, appartengono solo a me.
Idem per la frase: “La vittoria è un diritto innato dei vampiri.” Presa dal film ‘Underworld’, trasmesso l’altro giorno. Un horror fantasy che parla della lotta eterna tra vampiri e licantropi...
Il concetto di divertissement non è mio, è un argomento fondamentale nella filosofia pascaliana. Riporto brevemente la spiegazione presa da Wikipedia, l’Enciclopedia Libera.
“Un punto molto importante della filosofia di Pascal è la critica al divertissement, cioè il divertimento, inteso da lui nel senso originale di deviazione e allontanamento (dal latino devertere, cioè deviare, allontanarsi). Tale divertimento non è dunque la festa o il gioco, ma è ogni azione ed attività che conduce l’uomo “lontano” dal pensare a se stesso e dal considerare la propria interiorità.
Il divertimento, per Pascal, è dunque la peggiore e la più vasta piaga del mondo, in quanto ogni uomo cerca di “distrarsi” dalla propria condizione debole, mortale e così miserabile, per questo si disperde in infinite attività che lo illudono e, al contempo, si impegna egli stesso ad illudere gli altri.”
Note dell'Autore: Immersa in una panoramica tra vampiri che cacciano orsi, licantropi che cacciano vampiri e Bella che si caccia sempre nei guai... ho realizzato che la caccia è una condizione mentale, oltre che materiale. Sì, nella sua accezione più pura, è addirittura un paradigma, uno schema mentale prima ancora che fisico.
E chi, nella lunga saga di Twilight, incarna perfettamente questo archetipo di cacciatore?
James, ovviamente.
Il titolo di questa fic si traduce in: ‘Cacciatore (Il Segugio)’
Le notizie prese su di lui sono tratte in gran parte dal primo libro, Twilight, e qualcosina dalle interviste della Meyer, dal suo sito o dal Lexicon. Informazioni indirette da Eclipse, quando Edward parla con Victoria. Nessuno spoiler su Breaking Dawn.
Introduzione alla Fan's Fiction: La mia personale interpretazione del personaggio di James, dal momento in cui incontra Bella e pianifica la sua fine, fino al tragico epilogo, attraverso un excursus di riflessioni e ricordi. La fic può essere considerata un missing moment del primo libro, Twilight, a partire dal capitolo 20.

“Il vero piacere della caccia era pianificare tutto nei minimi particolari. Infinitesimali particolari.
E saper attendere. Il momento in cui ogni tassello sarebbe andato al suo posto, l’istante in cui la prescelta - volente o nolente - avrebbe messo un piede in fallo, appoggiato la zampina sulla trappola aperta, ben congegnata, e la tagliola sarebbe scattata, impietosa e implacabile e... Crac!



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Hunter

(The Bloodhound)




James sorrise, un sorriso ferino e crudele.
Quella piccola, insignificante umana sarebbe stata sua. Sì, sua.
Perché lui non era un vampiro qualunque, era un segugio. E, ai segugi, le prede non sfuggivano mai.
Sapevano lavorare con perizia, fiutare la scia dell’ignara vittima, giocare d’astuzia... pazientare, anche.
Sì, pazientare.
Niente mosse avventate, che poi non c’era più gusto...
Il vero piacere della caccia era pianificare tutto nei minimi particolari. Infinitesimali particolari.
E saper attendere. Il momento in cui ogni tassello sarebbe andato al suo posto, l’istante in cui la prescelta - volente o nolente - avrebbe messo un piede in fallo, appoggiato la zampina sulla trappola aperta, ben congegnata, e la tagliola sarebbe scattata, impietosa e implacabile e... Crac!
James fece scattare la mandibola contro la mascella, uno scontro sordo, secco e duro. Sinistro.
Ingoiò il veleno che gli riempiva la bocca, pregustando il momento in cui avrebbe affondato i denti su quel tenero collo di porcellana.
Bella...
Così l’avevano chiamata, no?
La piccola, fragile umana, tanto cara ai Cullen.
Sarebbe stata sua, sì.
James adorava le sfide, e la sua ultima sfida si chiamava Isabella Swan.

Il ghigno perverso che gli affiorò sulle labbra non raggiunse gli occhi.
Se avesse saputo ricordare cos’era la pietà - stupido sentimento fastidioso, tipico degli umani deboli - si sarebbe rammaricato per lei.
Per quegli occhi castani che avrebbero provato dolore e terrore, e poi raccapriccio; per quella pelle delicata che lui avrebbe violato - con ardore e violenza - e si sarebbe beato dei suoi lamenti, delle suppliche strazianti e delle preghiere vane che gli avrebbe rivolto.
Povera piccola.
Indifesa pecorella che si era trovata invischiata in qualcosa di più grande di lei.
Perché era Edward Cullen la vera vittima designata; lei era solo un pretesto per causare altrui dolore.
Bella era anche lo scambio, il congruo risarcimento per ciò che non era stato fatto ad Alice Brandon.

Alice.
L’unica tacca sul suo lungo curriculum immacolato.
Una macchia indelebile, nel suo passato.
Ricordava l’odore del suo sangue, così profumato, così dolce. Lo ricordava perfettamente.
Persino più buono di quello di Bella. Cosa rara, a conti fatti.
Ma Alice gli era sfuggita, per un soffio. Ringhiò.
I corridoi bui del manicomio gli sfilavano ancora davanti agli occhi, l’odore di muffa e disperazione gli invase mentalmente le narici. Attutiti, oltre le pareti scrostate, dei gemiti inesprimibili e insensati innalzati verso il cielo, emessi da quelle anime dannate; dannate, mentre ancora erano in vita. Se vita si poteva considerare.
Erano tutti pazzi, pazzi e visionari. Dimenticati da Dio e dagli uomini. Una cena succulenta, per lui.
Si era tenuto il bocconcino migliore per ultimo, com’era solito fare. L’avrebbe seviziata un po’, giusto per divertimento e per passare il tempo - un tempo noiosamente immortale, il suo, no? - poi se ne sarebbe cibato, stillando quel mielato nettare caldo, con parsimonia e lentezza, gustandolo appieno.
Se l’era immaginato così, quel pasto luculliano dall’inconsueta fragranza. E invece i suoi piani erano stati boicottati da uno stupido vampiro innamorato. Innamorato della sua cena!
Alice Brandon era stata trasformata in tutta fretta, negandogli in tal modo il supremo diletto di poter disporre di lei a suo piacimento.
James digrignò i denti, rammentando la furia cieca che lo aveva colto. Poi ghignò, maligno.
Una volta vampirizzata, quella folle visionaria aveva perso ogni attrattiva per lui, tuttavia...
Aveva punito il colpevole con lenta, sadica soddisfazione, ma l’insoluto di quella faccenda lo aveva tormentato per anni, lunghi anni. Ottantacinque anni, per la precisione. E adesso aveva a portata d’artigli la sua rivincita; sottile, piacevole rivalsa.
Oh, sì...
Quando le aveva riviste, insieme, su quel prato umido di pioggia, lui aveva compreso tutto. Il suo passato e il suo futuro, offerti su un piatto d’argento.
Anche se...
Non capiva cosa ci trovassero quegli stupidi dei Cullen nell’essere vegetariani.
Si era dimostrato lievemente incuriosito, certo. Nel loro mondo, famiglie come questa rappresentavano una bizzarra stravaganza. Ma ben presto la curiosità aveva lasciato posto al disprezzo.
Era sciocco, inutile e masochistico, da parte loro, voler piegare la propria natura.
La loro sopravvivenza era legata a doppio filo con la morte altrui, ed era da stolti privarsi del piacere di un buon pasto per risparmiare la vita di perfetti sconosciuti.
I vampiri erano anime dannate, che non dovevano render conto a nessuno del proprio operato - ad alcuna divinità o demone - tranne forse ai Volturi, ma James si guardava bene dallo scatenare la loro ira.
Messo in chiaro questo, qualsiasi umano sarebbe potuto diventare il suo prossimo spuntino.
Gli animali andavano bene per i tempi di carestia, o durante uno spostamento in cui vi era penuria d’uomini; ma era l’eccezione, non la regola. Ed era una eccezione scomoda, per giunta.
Come segugio, egli poteva trovare godimento nella caccia a bestie di grossa taglia. Per soddisfare il mero piacere dello scontro fisico, per poter provare che riusciva a prevedere persino le mosse dettate dalla più istintiva delle creature. Lupi, orsi, cinghiali... era interessante studiare le loro mosse, anticiparle, guidarle inconsciamente, come un sapiente ragno che tesse la sua tela di modo che l’ignara mosca vi resti irrimediabilmente impigliata. Era gratificante sentire i loro versi, furibondi o atterriti, nell’attimo in cui comprendevano di essere in svantaggio contro di lui; era curioso osservare i loro ultimi istanti, prima che il loro occhio si velasse per sempre e la morte li reclamasse.
Ma gli animali erano solo un occasionale svago, niente più che un infantile divertissement.
Avere a che fare con persone senzienti era tutt’altra cosa...
Si soddisfaceva molto più nell’adescare giovani donne gradevoli, con cui s’intratteneva in vari giochini - talvolta perversi, talaltra crudeli - e, quando aveva esaurito l’interesse, le rompeva come bamboline vecchie.

Di quando in quando, permetteva a qualche vampira di stargli accanto, per un po’, nel suo vagabondare.
Purtroppo per lui, però, la maggior parte di loro finiva per infatuarsi dei suoi modi, del suo essere.
Restavano affascinate dall’aura maligna che sapeva emanare, dalla crudele fierezza che sprigionava.
Anche Victoria, il suo attuale intrattenimento, era una di loro, non era rimasta immune al suo richiamo.
Come le sue vittime, anch’ella era caduta ai suoi piedi.
James la teneva con sé perché si era rivelata un’abile alleata: veloce e scaltra contro i pericoli e i nemici, discretamente soddisfacente nelle pause di divertimento.
Ma non la amava, questo no. Benché lei si illudesse del contrario.
La vampira rossa era convintissima che loro due fossero anime gemelle, e a lui faceva comodo lasciarglielo pensare. Almeno fino a che non si fosse trovato una nuova, e più stuzzicante, compagna.
In fondo, anche lei - come gli umani - era noiosamente prevedibile.
Bastava darle un contentino, ogni tanto, e lei avrebbe fatto il suo gioco.
Persino in quel momento, - mentre James stava predisponendo le sue ultime mosse vincenti nella cattura di Isabella Swan - sapeva che Victoria avrebbe tenuto i Cullen occupati per lui quel tanto che serviva.
Mph... fin troppo semplice.
Era bastato depistarli un pochino, e tutta la famiglia era caduta nel suo tranello.
Dov’era finito tutto il divertimento? Era quasi uno spreco del suo potenziale!
Perché James aveva una mente intuitiva, brillante. Delle capacità sensoriali molto al di sopra della media, affinate in anni e anni di caccia. Era forte e veloce. E dannatamente caparbio.
Una caparbietà che sfociava nell’ostinazione. Quando puntava una preda, niente e nessuno lo dissuadeva dal portare a termine il suo lavoro. Diventava un’ossessione, per lui.
Una questione di vitale importanza. Vitale, sì. Poiché di vita si trattava. Quella della sua vittima, o la propria. Giacché solo la morte lo avrebbe distolto dai suoi propositi.
Poco importava se si fosse trovato a lottare contro sette vampiri, che pretendevano di difenderla. Pazienza. Loro non erano niente più che un misero danno collaterale alla sua missione.

“Bella,” sospirò. “Bella...” ripeté, assaggiando il sapore di quel nome sulla punta della lingua.
Sciocca, ingenua umana.
L’avrebbe colpita negli affetti a lei più cari, l’avrebbe costretta a sacrificarsi volontariamente a lui.
Quale vittoria migliore? Quale gioia più sublime?

Come ogni volta, per qualunque vittima, avrebbe creato un legame particolare con lei, l’avrebbe condotta esattamente dove voleva e quando voleva. Insulsa marionetta nelle sue mani, ne avrebbe mosso i fili a suo piacimento, fino a che non si fosse stancato, e avesse posto fine a quel passatempo.

Con sguardo vigile predispose gli ultimi accorgimenti; rimirò il grande specchio che occupava l’intera parete e questo rifletté due inquietanti occhi color vinaccia, digradanti verso il nero. Malvagità allo stato puro. Un vampiro senza complessi di colpa.
La stanza si riempì di un suono gutturale, maligno e letale. Complimentandosi con se stesso per la scelta dell’ambiente, posizionò il televisore e il videoregistratore, controllò che la videocassetta fosse nel punto giusto, l’esca attivata.
La ruota del Destino si era ormai messa in moto.
Si sfilò dalla tasca dei jeans il cellulare, aveva già pensato a come pilotare la conversazione con la ragazza.
La vittoria è un diritto innato dei vampiri.” Aveva detto un saggio. E lui non era abituato a perdere.



Fine



 
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