Incubo [Le bugie hanno le braccia lunghe, lunghe]., [28/08/08] Sorella_Erba vs. • Tersycore).

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Sorella_Erba
view post Posted on 25/10/2008, 19:47




Fandom: One Piece
Rating: Per tutti.
Personaggi: Monkey D. Rufy, Shanks il Rosso, Makino, Portuguese D. Ace.
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 3.629 parole, 7 pagine di Word, capitolo unico.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Suspence.
Disclaimers: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Eiichiro Oda che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti nel manga/anime, appartengono solo a me.
Note dell'Autore: Ok, spendiamo due paroline.
La trama non è di facile comprensione, credo, anche perché, be’… non c’è una trama precisa.
Quando ho dato un’occhiata alla lista dei Classici Disney, “Pinocchio” è stato quello che mi ha convinta di più. Di certo non potevo usare “La Sirenetta” con Rufy come protagonista.
One Piece è il fandom del mio momento e mi sono innamorata letteralmente del rapporto instauratosi fra Shanks e Rufy. Potrebbe essere inteso come un rapporto padre-figlio o un legame fra fratelli, fatto sta che Shanks diventa ancor più tenero con il piccolo Rufy accanto (L)
La scelta è caduta su “Pinocchio” appunto per esaltare il loro legame e per analizzarlo da un punto di vista, per certi versi, opposto alla promessa fatta da Rufy, almeno in questo caso. La bugia non può considerarsi l’antitesi di una promessa; per Rufy, comunque, la promessa di diventare un pirata è una realtà effettiva, concreta. È la sua unica aspirazione e il suo unico futuro. La sua verità, ecco. Se poi mettiamo in mezzo anche il fatto che abbia mangiato il Frutto del Diavolo Gom Gom…
Dunque, in questa fiction la bugia costituisce la cosiddetta eccezione alla regola.
Ho inoltre sfruttato la capacità di Rufy di allungarsi tipo molla, che qui esprime qualcosa di negativo: le braccia di Rufy si allungano da sole a causa della sua bugia (come il naso per Pinocchio), principale colpa. La bugia tuttavia è l’essenza stessa della promessa - il voler divenire Re dei Pirati -, cosa che a sua volta lo tiene legato a Shanks. In altre parole, l’intera parte del sogno è un cerchio di eterna contraddizione che si frantuma col risveglio, una sorta di salvataggio effettuato – per l’ennesima volta, direi! – da Shanks.
Chiudo la parentesi e sto zitta, va’ :’D
Introduzione alla Fan's Fiction: Non voleva che andasse via, non voleva. L’avrebbe tenuto stretto a sé con ogni mezzo che aveva a disposizione, anche con il più meschino. Persino con una bugia, sì.
Ma lui, Shanks, preferiva chiamarla sogno, quella bugia.
Rufy, invece, semplicemente incubo.


Incubo [Le bugie hanno le braccia lunghe, lunghe].

«Sono un nuotatore provetto, io!».
Una risata sguaiata tuonò all’istante e parve far vibrare persino l’acqua.
«Chi, tu? Ma se sei un’Ancora, marmocchio!».
Il sole era alto ed accecante nel cielo e picchiava sulle teste dei due unici bagnanti del mare di Foosha. Era una giornata briosa, soleggiata e molto, molto calda; forse per questo il capitano Shanks aveva deciso di portare la sua fidata Ancora al mare.
«Zitto!», ribatté l’Ancora. La sua replica fu causa di un’ennesima esplosione di ilarità.
Il piccolo Rufy digrignò i denti con rabbia. «Insegnami piuttosto!».
Quando ebbe finalmente ripreso fiato, Shanks ghignò divertito.
«Come vuoi, marmocchio. Seguimi, ti porto al largo».
Rufy non seppe dire in che modo riuscì a stare dietro al capitano. Shanks era veloce e bravo, scandiva con precisione il ritmo delle bracciate e batteva rapido i piedi; lui invece era ancora alle prime armi, troppo inesperto. Dopo alcuni metri, Shanks si fermò ad aspettarlo. L’acqua era profonda in quel punto.
«Allora, vediamo che sai fare».
Solo in quel momento Rufy si accorse di un particolare sconcertante: Shanks era sprovvisto di un braccio. Per la precisione, il braccio sinistro. Improvvisamente ebbe una sorta di déjà-vu; gli si raggelò il sangue nelle vene.
«Shanks… Shanks! Il tuo braccio! Il braccio!».
Il capitano gli lanciò uno sguardo svampito. «Cosa?».
Poi il viso gli si illuminò di comprensione.
«Oooh, ho capito! Stai cercando di prendere tempo, eh? Aha, non si fa così, Ancora».
Al suono di quella parola, Rufy s’irrigidì come uno stoccafisso. Non riusciva a muovere nessun arto, né braccia né gambe, nemmeno un dito. Sentì che stava sprofondando lentamente nelle acque nere del mare.
«Shanks, Shanks!».
Ma Shanks non accennava un solo movimento: era fermo al suo posto, del tutto immobile. Come facesse a restare a galla, era un mistero. Rufy scrutò il viso del suo amato capitano e scorse un lieve sorriso deformargli la bocca.
Le lacrime gli inumidirono subito gli occhi: quello non era Shanks, non poteva assolutamente essere lui. Shanks non avrebbe permesso che un suo amico si facesse del male, non avrebbe permesso che mettesse a repentaglio la sua vita. E cosa più importante, Shanks gli voleva bene. Perché dunque non si sbrigava ad aiutarlo? Non lo vedeva? Non vedeva che stava per morire?
«Shanks, aiutami!».
«Non dovevi mangiare quel frutto, Rufy».
Rufy sbarrò gli occhi.
«È come se fossi maledetto, non capisci? Non dovevi mangiare il Frutto del Diavolo. Non posso aiutarti… Adesso appartieni al mare, tu».
Rufy esplose in violenti singulti, soffocati dall’acqua che già gli sfiorava il naso. Percepì delle fastidiose fitte dilaniargli con lentezza esasperante la gola, mentre dosi sempre più grandi di acqua gli aprivano le labbra e gli percuotevano i polmoni come violenti calci.
Non riuscì più a prendere fiato.
Prima che il mare lo inghiottisse del tutto, vide il sorriso di Shanks, inquietante nella sua immobilità, ed i suoi occhi.
Impenetrabili. Di ghiaccio.



Quando Rufy si risvegliò bruscamente, era mattina.
Ma non una mattina come quella in cui aveva rischiato di annegare, no. Era una mattina dai chiarori sommessi e delicati, molto simili a quelli di un sogno. L’accecante color oro del sole era oscurato da nuvole pesanti e cariche di pioggia.
Il piccolo balzò subito a sedere, portandosi le nocche delle mani a stropicciare gli occhi gonfi. Era ancora scosso da quell’episodio che… aveva sognato? Per caso – o fortuna – aveva soltanto sognato? Batté piano le ciglia ed iniziò a guardarsi attorno. Aggrottò la fronte. Riconosceva quella stanza, ovviamente: era la camera da letto di Makino, nell’appartamento sopra la locanda. Poggiò le mani sul copriletto e calò lo sguardo, intimidito, lanciando a volte fugaci occhiate alla mobilia in legno vecchio.
Cosa faceva nella camera di Makino? Come vi era finito?
«Ti ha portato qui Shanks, piccolo Rufy».
Riconobbe quella voce.
Rufy si rivolse immediatamente nella direzione da cui proveniva e spalancò gli occhi per la gioia. Makino era appena entrata in camera, silenziosa e con un vassoio in mano.
«Ti va di fare colazione?», sorrise. Rufy annuì con vigore, rispondendo al sorriso della ragazza.
Makino posò il vassoio ai piedi del letto e si sedette sul bordo, gli occhi intenti a scrutare il viso di Rufy. «Non mangi?», domandò poco dopo.
E tu perché hai posato il vassoio lì sotto?, si ritrovò a pensare il piccolo, ma gli parve irrispettoso dire a voce quelle parole. Perciò non aprì bocca, se non per affermare «Certo, Makino! Grazie», e si era giusto scrollato la coperta di dosso quando un braccio gli sfuggì senza alcun preavviso.
Gli sfuggì, sì.
Rufy rimase a bocca aperta osservando il suo arto ciondolare in maniera inquietante a pochi centimetri dal pavimento. Guardò istintivamente Makino, credendo di trovare dipinto sul suo volto disgusto o magari terrore. Makino però era tranquilla ed immobile. Solo un sorriso le piegava le labbra all’insù, di poco.
Come Shanks nel suo sogno.
Ma era stato davvero un sogno? Ne era sicuro?
Rufy rabbrividì.
«Prendi la colazione, Rufy».
Il bambino sbatté scioccamente le palpebre e, quando riprese coscienza, si alzò dal letto. Stava per dirigersi ai piedi del letto, lì dove Makino aveva lasciato il vassoio, ma la ragazza lo bloccò posandogli una mano sulla spalla.
«No, non così Rufy», disse. Non aveva forse sentito, Rufy, un lieve tono di delusione nella sua voce? «Devi allungare le tue braccia».
Makino mimò uno strano gesto, portando le braccia indietro per poi scagliarle repentina davanti a sé, come se volesse allungarle.
«Provaci, su».
Rufy seguì le istruzioni, compiendo gli stessi movimenti di Makino, e vide le sue piccole, corte braccia allungarsi per agguantare il vassoio della colazione. Ci riuscì, peccato soltanto che il piatto con il sandwich e il bicchiere di latte saltarono per aria, frantumandosi a terra e macchiando il pavimento.
Rufy boccheggiò. Era terrorizzato e sconcertato.
«M-mi dispiace, Makino… Non volevo, scusami!».
«Non fa nulla». Makino scosse la testa. Il sorriso di prima apparve di nuovo sulla sua bocca. «Perché non sei andato alla nave, Rufy?».
Rufy rimase interdetto da quella domanda inattesa, posta inaspettatamente con un tono alquanto brusco. Guardò Makino con un’espressione accigliata, come se non avesse afferrato il concetto. In effetti, aveva capito ben poco. Cosa c’entrava la nave? E poi, quale nave? Quella di Shanks?
«Nave?», chiese. Makino assentì.
«Sì, Rufy, la nave dei pirati del Rosso».
Fu una risposta che lasciò Rufy sbalordito. I pirati del Rosso, aveva detto Makino. Ma Makino era solita chiamare il suddetto Rosso per nome o con un semplice “capitano”.
Era davvero Makino, quella ragazza? Inizialmente, avrebbe risposto di sì. Quegli occhi grandi e i corti capelli verdi appartenevano di certo alla graziosa Makino… ma non quel sorriso freddo. No, quello non era affatto suo.
«Dov’è Shanks?». Sentì il cuore accelerare. Credeva di conoscere già la risposta.
«Alla nave».
La nave, lo sapeva. Se l’era sentito.
Rufy uscì immediatamente dalla stanza, oltrepassando la porta di corsa e percorrendo il buio corridoio fino ad arrivare al portone d’ingresso. Lo aprì in uno scatto e percepì la fresca aria d’estate carezzargli la faccia, le braccia e le gambe. Prima che potesse fare un solo passo in avanti, la voce di Makino lo arrestò.
«Nessuna deviazione, Rufy. Nessuna deviazione, capito? Devi andare dritto alla nave, da bravo bambino».
Rufy si voltò a guardare Makino. Lei era ritta al centro del corridoio, a pochi metri dal portone. La cupa luce del giorno arrivava ad illuminarla fino alle ginocchia, non oltre; il resto del suo corpo era immerso nella penombra. Rufy riusciva a scorgere il debole luccichio dei suoi occhi scuri.
Se non l’avesse vista coi suoi occhi, se non avesse avuto davanti Makino – la stessa Makino che gli preparava da mangiare alla locanda, che alle sue giustificazioni rispondeva con un dolce sorriso, che lo incoraggiava a seguire i suoi sogni –, avrebbe giurato che quegli occhi appartenessero a qualcun altro. A chiunque, all’infuori che a lei.
Un brivido gli percorse la schiena.
«E soprattutto, non devi dire bugie». Lo scintillio del suo sguardo lampeggiò ulteriormente, in segno di avvertimento. «Tu vuoi diventare un pirata, vero?».
Rufy rimase sbigottito. Cosa c’entrava questo con tutto il resto?
«Vuoi diventare un bravo pirata, Rufy?».
Rufy deglutì.
«Allora segui i miei consigli. Vai dal Rosso, ti aspetta alla sua nave». Makino sembrava starsi congedando. Si ritirò del tutto nell’ombra, sfuggendo alla luce, e prima che Rufy potesse aprir bocca, aggiunse: «Glielo devi, Rufy, lui ti ha salvato la vita».
Makino chiuse la porta, lasciando il bambino più confuso e stupito che mai.
Cosa voleva dire Makino? Shanks gli aveva salvato la vita?
Rufy ricordò il sogno che aveva fatto fra le lenzuola del letto di quella persona che, almeno in apparenza, era identica alla sua Makino. Ricordava il sole torrido, il cielo pulito e privo di nuvole, e l’acqua lucente del mare di Foosha dove lui aveva sguazzato sotto la sorveglianza di uno Shanks che non sembrava essere nemmeno lui. Gli aveva sorriso in maniera fredda e lo aveva lasciato annegare senza muovere un dito… Perché? Perché lo aveva fatto?
Adesso appartieni al mare, tu.
Il suo addio.
Gli era sembrato di udire il suo addio.
Rufy era divenuto una statua, statica e pesante, come fosse fatta di cemento.
Il Frutto del Diavolo… che fosse quello la causa di tutto? La causa persino del cambiamento di Shanks e Makino? Che loro stessi avessero compreso che, per lui, non c’era più alcuna speranza?
Eppure Makino gli aveva appena detto che era stato Shanks a salvarlo da morte certa, per quanto apparisse come un’affermazione ipocrita.
Forse era l’ultimo gesto di affetto prima che…
Rufy scosse la testa, gli occhi serrati. Non voleva pensarci.
Il gorgoglio dell’acqua, il suono cullante delle onde continuavano a riempirgli le orecchie e l’immagine del suo capitano – così maledettamente gelido – gli balenava di continuo in testa.
Se fosse finito nuovamente in mare, sarebbe stato spacciato, che Shanks ci fosse o meno.
In tal modo, però, Rufy non poteva diventare un pirata.
I pirati sanno nuotare, non affogano mai. L’abilità nel nuoto è alla base del loro mestiere. E lui… lui, d’ora in avanti…
«Io…».
Si morse le labbra e si accorse di star tremando.
Non poteva dirlo, no.
Lui aveva fatto una promessa, una promessa solenne. Tirò sul col naso e alzò il viso e le braccia al cielo.
«Io diventerò il Re dei Pirati!».
Lo gridò alle nubi violacee che oscuravano il sole, ai tetti delle case, ai gabbiani che svolazzano in cielo. La sua non sarebbe stata una promessa da marinaio. Solo, una promessa da pirata. Per quanto sottile, la differenza c’era.
Ma la strada dei propri sogni non è mai interamente rosa e fiori.
Ci saranno sempre delle spine nascoste fra i boccioli di rosa, piccole o grosse, che penetreranno lentamente nella carne torturandola con maligna goduria. Quelle spine intralceranno la via, rallenteranno l’arrivo al traguardo… o lo allontaneranno di più, ancora di più, finché diventerà irraggiungibile e allora sarà la fine.
Sarà soltanto un desiderio nostalgico di un vecchio uomo che guarda il mare e sospira.
Le braccia di Rufy improvvisamente si allungarono e crollarono per terra, flosce e gommose, in un tonfo. Rufy spalancò bocca e occhi in un’espressione inorridita.
Le sue braccia… le sue braccia!
Cos’era successo alle sue braccia? Perché si erano allungate?
Le lacrime salirono agli occhi e i denti cominciarono a battere, provocando un debole suono ritmico che echeggiava nella sua bocca.
Vai da Shanks… lui ti ha salvato la vita.
Shanks, forse, era la sua unica speranza.
Magari lo avrebbe respinto, gli avrebbe gridato le stesse parole sussurrate mentre lo guardava affondare, ma a Rufy in quel momento non importava. Shanks era la sua ancora, la cosa più certa e solida di tutta la sua vita. Era una certezza, che a lui piacesse o no l’idea.
Rufy scese le scale come di volata, con le braccia che battevano contro ogni gradino, e quando arrivò a terra, si affrettò in direzione del porto, correndo a più non posso. Le case, le porte, le finestre, gli alberi sfrecciavano davanti ai suoi occhi e il vento gli scompigliava i capelli sulla fronte.
Arrivò al porto col fiato corto e le braccia protese a formare strane curve per terra, cosa che braccia normali non avrebbe mai e poi mai potuto fare. Ricordavano dei serpenti.
Rufy si guardò attorno e scorse la nave di Shanks attraccata poco distante; si avvicinò a passo di marcia, trascinandosi dietro gli arti e sentendo il cuore battere a mille. Il legno della passerella non era stato rimosso e al suo fianco sfilavano barili colmi senza dubbio di birra e sakè. Nei dintorni, non c’era anima viva… eccetto un ragazzetto dai capelli neri, nascosto dietro ad una botte. Era mingherlino e sedeva sui bordi dello scalo a gambe incrociate. Teneva fra le mani una lunga canna da pesca, la cui estremità spariva fra le basse onde del mare.
Rufy gli regalò una lunga occhiata curiosa. Non aveva mai visto quel ragazzino; sicuramente era un giovane forestiero partito all’avventura.
Si riscosse, ricordandosi del perché fosse arrivato sin lì.
«Shanks!», urlò a pieni polmoni, sperando che il capitano lo sentisse. Nessuno tuttavia si affacciò dal parapetto della nave. Rufy non si perse d’animo: continuò a chiamare il suo nome, a voce tonante, e ad illudersi che Shanks accorresse.
«Shanks! Shanks!».
Non aveva contato tutte le volte in cui aveva ripetuto quell’appellativo, ma era certo che fossero parecchie. La sua gola ardeva per lo sforzo.
«Shanks, Shanks». Una risata bassa, divertita. «Shanks, dove sei? Rispondi!».
C’era solo una persona, oltre a lui, in quel porto. Solo una, e Rufy non indugiò a posare lo sguardo corrucciato sulla schiena del ragazzino che pescava, poco distante.
«Sei scemo? L’hai chiamato chissà quante volte e non ti dato nessuna risposta, niente».
«E tu che vuoi?».
Il ragazzino fece spallucce e si girò a guardare Rufy. Sul suo viso, evidente quanto le lentiggini sulle guance, era stampato un ghigno. Era Ace, suo fratello.
Rufy spalancò gli occhi: non l’aveva affatto riconosciuto.
«È inutile che continui. Mi fai solo saltare i nervi, Rufy… e sai, per pescare c’è bisogno di concentrazione».
Ancora una volta, Rufy rimase interdetto. «Ah, s-scusami».
Ace si esibì in una smorfia buffa. «Vieni, siediti accanto a me».
Rufy non indugiò oltre: diede un ultimo sguardo carico di cruccio alla nave e si diresse dal fratello, inginocchiandosi e poi sedendosi accanto a lui, imitandone la postura.
Trascorse qualche momento di silenzio, interrotto a volte dal fruscio dei movimenti di Ace. Muoveva la canna giocando più che altro ad inseguire le onde che provando a pescare.
«Hai le braccia molto più lunghe della mia canna da pesca, caspita!».
Rufy, intento a contemplare i gesti di Ace, sbatté le palpebre in fretta in sua direzione. Poi dischiuse la bocca e parve capire. Per quanto assurdo sembrasse, si era dimenticato completamente del suo problema.
«Sei venuto qui per questo?».
«Avevo bisogno di aiuto… cioè, ho bisogno di aiuto».
«E ci credo!».
Rufy abbassò il capo, affranto.
Aveva bisogno di Shanks, Shanks, non di aiuto. O meglio, aveva bisogno dell’aiuto di Shanks. Arrivato lì, avrebbe dovuto – o voluto? – trovare nessun altro che il suo amato capitano, e invece… invece c’era Ace, con una canna da pesca decisamente più corta delle sue braccia oblunghe.
«Secondo me, dovresti buttarti a mollo».
«A mollo..?».
Ace sbuffò, spazientito. «Ma certo, in acqua! Solitamente le cose si restringono se bagnate… almeno questo succede coi vestiti, no?».
Rufy aggrottò le sopracciglia. Non poteva farlo, rischiava la pelle.
«Non posso, Ace. Vuoi che affoghi?».
Ace lo guardò con uno sguardo quasi intenerito.
«Smettila, Rufy, affogare…».
«Ma è vero!», ribatté imperterrito il minore. «Poi chi mi aiuterebbe, tu?».
«Non io, fratellino».
Un groppo bloccò la gola di Rufy.
«Anche tu? Anche tu pensi che io sia spacciato, non è vero?».
Ace esplose in una risata tonante. La canna, ancora serrata fra le sue mani, tremò violentemente. Rufy ne seguì le vibrazioni, fino a quando suo fratello mollo la presa e la canna cadde in acqua.
«Ace!», esclamò indignato, indicando il lungo fuscello in metallo che rischiava di perdersi fra le onde del mare. Si voltò a guardare in faccia il fratello, ma non ebbe il tempo di metterlo bene a fuoco.
Ace, con uno spintone, lo aveva gettato a mare.
«Non si dicono le bugie, Rufy».
E come Makino e Shanks, anche Ace sembrava cambiato. Il suo tono di voce era palesemente deluso e il suo sguardo tradiva rabbia.
Quale bugia? Quale bugia?
«Non ho detto nessuna bugia, Ac…».
Un’onda alta sorprese Rufy, mozzandogli il fiato e troncando le sue parole. Finì in quel turbinio soffocante e non ebbe più possibilità di vedere il viso di suo fratello. Nemmeno per l’ultima volta, prima della fine.
Appartieni al mare, tu… al mare, al mare… al mare.
Stretto nell’abbraccio del mare, serrò gli occhi e sentì le lacrime confondersi con l’acqua assassina.
Ripensò alla sua promessa.
Allora era davvero un bugiardo? Non l’aveva mantenuta. E Shanks… Shanks adesso…
Udì un ruggito gorgogliare sott’acqua e miliardi di bolle spaccarsi a contatto con la sua pelle. Schiuse gli occhi, e vide ciò che le sue orecchie gli avevano già suggerito. Il cuore martellava adesso contro il suo petto e sembrava volergli esplodere, mentre la bocca si apriva d’istinto e la gola inghiottiva acqua salata. I polmoni reclamavano dal dolore.
Aiuto, aiuto! Shanks, aiuto!
E non riusciva, non poteva, non riusciva, e piangeva, singhiozzava con le mani strette attorno alla gola…
Shanks.
Lo sguardo giallo del Re del Mare lo ipnotizzò.
Vedeva soltanto le sue iridi dorate e quella grande, immensa pupilla nera. Nient’altro, nemmeno le fauci aguzze che masticavano acqua e il sinuoso corpo verdastro dibattersi furiosamente.
Solo occhi e oro…
Addio, Shanks.

Poi, il calore di un abbraccio.



«Rufy! Marmocchio! Svegliati, dannazione!».
Aprì gli occhi e vide la luna, alta e piena, quasi al centro del cielo. Nessuna nuvola, solo il chiarore di quel corpo celeste e di un miliardo di stelle che stavano a guardare.
Batté per l’ultima volta le ciglia prima di volgere lo sguardo alla sua sinistra, da dove provenivano una serie di imprecazioni.
«Shanks», sussurrò. E il cuore gli si gonfiò di gioia.
Era lì, il suo capitano. Vivo, vegeto e soprattutto caldo. Un sorriso tenero e caloroso gli allargava le labbra. Sembrava sollevato.
«Dio, Ancora… mi hai svegliato con il tuo pianto».
Rufy boccheggiò, stordito e imbarazzato.
Allora… allora aveva soltanto sognato? Stavolta sul serio, non era così? Solo un sogno. O meglio, un incubo. Un incubo in cui le persone a lui più care lo ignoravano, in cui era l’ombra di sé stesso, solo un morto che camminava ed un gran bugiardo.
Si drizzò a sedere.
«Hai fatto un incubo?», chiese Shanks, sdraiato di fianco sul legno della prua, reggendosi la testa sull’unica mano che ormai aveva. L’amputazione di quell’assolato giorno d’estate era nascosta dal mantello nero.
Rufy annuì con lentezza.
«Tu… non mi hai salvato».
Shanks lo guardò perplesso e mugugnò.
«Hai lasciato che annegassi. Dicevi che ero stato… maledetto», continuò Rufy con gli occhi puntati sulla bocca di Shanks, la quale mutò improvvisamente forma, trasformandosi in un altro sorriso, un po’ più largo.
«Io non direi, Ancora», ribatté il capitano. Fece spallucce e il mantello frusciò, rimanendo comunque al suo posto. Un gesto che significava di sicuro “se non ci credi, guarda il mio braccio… ops, non c’è!”.
E lì caddero gli occhi di Rufy, sul fianco coperto di Shanks, a guardare la strana curva scura che si delineava nel punto in cui avrebbe dovuto esserci il braccio. Corrugò la fronte.
Il calore… oh, il calore di un abbraccio…
Era del tutto certo che non l’avesse salvato?
«Shanks?».
Forse si era sbagliato.
«Mh?».
«Diventerò il Re dei Pirati».
Sì, aveva sbagliato.
Una lieve brezza soffiò da ponente. Rufy osservò il cappello di paglia che Shanks aveva posato per terra, muoversi di qualche centimetro. Vi posò una mano sopra, affinché il vento non lo portasse via con sé.
«Sul serio», aggiunse poi, per rafforzare il valore delle sue parole.
«Non si dicono le bugie, sai marmocchio?».
Quella frase lo fece rabbrividire.
«È una promessa, Shanks!», enfatizzò Rufy. Mentre le sue labbra tremanti pronunciavano il nome del capitano, sentì le lacrime pizzicargli gli occhi.
In poco tempo Rufy si ritrovò con le guance grondanti di grossi goccioloni salati che arrivavano persino a bagnargli la maglietta bianca. Anche nell’oscurità la scritta che riportava, Ancora, era nitida e pareva addirittura brillare.
Si ritrovò a pensare che sì, avrebbe veramente voluto essere un’ancora… magari in questo modo avrebbe potuto trattenerlo lì, al suo fianco, per molto, molto altro tempo.
Avrebbe tanto voluto essere la sua ancora, l’ancora di Shanks.
Due dita lunghe raccolsero una lacrima che rischiava di scivolare dal mento di Rufy.
«Il Re dei Pirati…».
Shanks portò le dita alla bocca e riconobbe il sapore impercettibilmente salmastro di quella lacrima. Poi indirizzò un gran sorriso al viso di Rufy, rischiarato dalla luce della luna.
«E secondo te, Ancora, un Re dei Pirati è mai scoppiato a piangere per un brutto sogno?», domandò. Rufy guardò i suoi occhi grandi e un singhiozzo gli sfuggì. Deglutì all’istante, per ingollarne il suono sommesso, e scosse la testa con fermezza, senza staccare lo sguardo da quello intenerito di Shanks.
«Diventerò un pirata, un grande pirata», disse a scatti, mentre un rivolo di moccio gli scendeva lento dal naso. «Così sarai fiero di me».
Shanks gli sorrise, fece una linguaccia e sorrise ancora. Di nuovo. Come faceva sempre.
«Dormi, peste». Gli posò la mano sulla testa e lo strinse a sé, contro il suo petto.
Rufy annuì in fretta, il viso affondato nella camicia di Shanks. Gli circondò il fianco con un braccio e frenò a stento un sorriso quando non lo avvertì allungarsi contro la sua volontà.
Adesso c’era Shanks accanto a lui. Sarebbe andato tutto bene.
 
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