Il prezzo di una nostalgia, [24/10/08] Legami di sangue

« Older   Newer »
  Share  
flyvy
view post Posted on 3/1/2009, 22:46




Rating: Per tutti.
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 2425 parole
Genere: Triste, Introspettivo, Sovrannaturale.
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Note dell'Autore: La storia riguarda il legame di due fratelli, per quanto particolare esso sia, ed ha, come parola-chiave, la nostalgia
Ma tanto sono sicura di aver frainteso tutto.
Introduzione alla storia: Un inetto guerriero si ritrova sulle soglie della sconfitta e a un passo dalla distruzione imminente del proprio villaggio, ma sebbene voglia semplicemente godere della vita, il fratello più grande di lui gli viene -misteriosamente- in soccorso.


Il prezzo di una nostalgia



La guerra continuava da sette anni e undici mesi, sopra le montagne dove crescevano i ciliegi, e da tutto quel tempo, ormai, si poteva sperare che dal sangue germogliassero i più bei fiori.
I figli di tutte le più valorose famiglie dei villaggi, i nobili e i popolani, schierati ognuno secondo il censo e l’abilità nel combattere, risalivano lungo i sentieri il versante che divideva una zona dall’altra, e guardando per la prima volta il grande orizzonte del cielo che si allontanava all’infinito, pregavano gli dei di non abbandonarli.
Ora, il fuoco svettava verso l’alto; rischiarava l’angolo della notte dove distrutto fissava incomprensibilmente l’atmosfera attorno alla sua anima bruciata. Intorno, nel buio e nelle scintille portate via dal vento, si sentiva il sapore acre, ancora debole, e sgradevole, della sconfitta.
Pesava, più che doleva. Non era definitiva, non era ufficiale, ma gli scorreva nelle vene come una certezza incrollabile, e cadevano sui suoi occhi il disonore, la disperazione... la paura della morte.
I sandali facevano stridere i ciottoli e la terra mentre si spostavano, le dita si stringevano sulle ginocchia abbracciando il tessuto dei suoi larghi calzoni scuri, e ogni volta che tirava la testa per guardare le stelle, i lunghi capelli neri scivolavano indietro.
La nostalgia dei luoghi passati non era niente, in confronto a quella che si spalancava come una voragine quando i ricordi più forti urlavano la loro presenza.
Quando era bambino correva per quegli spazi incontaminati e fingeva di combattere qui e lì con chicchessia, poi ogni tanto restava immobile giornate intere a scrutare un fiore, od un insetto, e il tempo passava così, fluidamente, senza una falla, senza uno spreco.
Attorno a lui i ragazzi più grandi si allenavano costantemente a temprare il corpo e lo spirito, e in cambio del loro onore gettavano via il lusso di rotolarsi nell’erba come faceva lui.
Erano belli, possenti, aggraziati ed infallibili. E di loro, adesso, non restava che una parvenza più sottile della vorace fiamma del fuoco.
Quando quei giovani erano ancora vivi, quando il colore del cielo era di quel rosa, come lo ricordava lui, la vita era molto più facile e perfetta.
Cosa pesava sulle sue spalle, se non una gioia maggiore o minore, un dubbio su quanto amare, quanto giocare, quanto sorridere.
Adesso la guerra aveva forgiato solchi lungo le ossa, la morte aveva offerto a tutte le cose una disperazione che prima non avevano e la voglia di respirare come dopo una lunga, e quasi mortale, apnea, si faceva sempre più devastante. C’era chi vedendolo passare lo considerava già defunto, c’era persino la sua stessa immagine che non riusciva a farsi convinta del pericolo che avrebbe smarrito la sua anima tra quelle montagne; non era cresciuto come un valoroso guerriero né si sarebbe potuto evitare di ritenerlo un debole; questo lo sapevano cuore, mente e ogni goccia di sangue.
Non avrebbe voluto mai ritrovarsi dentro quei panni che ora aveva addosso, indossare i vestiti di Kinnosuke che gli stavano grandi, gli facevano freddo.
Davanti al fuoco voleva invocare i tempi passati, i profumi passati, perdersi nuovamente nella serenità di una volta, costruire tutto su basi che meglio sapeva gestire e gettare via le sua armi da combattimento; che non attiravano più neanche le donne, anzi, le atterrivano.
Abbandonò le braccia e le spalle a un sospiro stanco e triste, e insieme con quel movimento così arreso lasciò scivolare nel fuoco uno sterpo che teneva tra le mani. Perché perdersi nella nostalgia è così: soffrire freddamente da una parte e ardere dall’altra.
Suo fratello Kinnosuke gli aveva sempre provocato una gran paura e un gran rispetto; Hiroshi l’aveva sempre guardato con i suoi occhi di bambino senza riuscire a comunicargli nulla, né la sua ammirazione verso i sacrifici che compiva, la forza che dimostrava, né il terrore vivissimo di dover, un giorno, diventare come lui.
D’altro canto la vita aveva dimostrato che le sue preoccupazioni erano state veritiere e frustranti: adesso che lo si poteva considerare un uomo, ora che avrebbe dovuto dare il meglio, non aveva nemmeno un decimo dell’austerità del fratello, del suo valore, della sua fermezza e della sua prestanza.
Kinnosuke, morto valorosamente in una delle battaglie più difficili di quella estenuante guerra, non poteva più ricordargli di quella differenza né della sua piccolezza, ma sentiva continuamente, lui, che quella era la pura e sola verità.
Come avrebbe potuto pensare il contrario, se da quando aveva preso il posto di suo fratello, al comando dei guerrieri, il villaggio stava soccombendo?
Un legno scivolò sotto il fuoco rompendosi in un piccolo tonfo, la nostalgia di tempi passati e felici lo affogò ancora una volta. Avrebbe voluto riportarlo in vita, vederlo seduto di fronte, su un tronco, a parlare con lui della prossima battaglia. Avere la certezza che, ancora due o tre scontri, e guidati da Kinnosuke avrebbero vinto quella guerra.
Così, tra una folata di vento e i profumi delle foglie e dei fiori nella notte, Hiroshi vide davanti a sé il bellissimo volto di suo fratello, coperto qui e lì dalle fiamme cui sedevano attorno per riscaldarsi.
“Kinnosuke, fratello mio!”
Il fantasma, o quel corpo restituito alla vita (chi lo sa), gli rivolse in risposta uno sguardo secco, ma non una sola parola.
Il volto di Hiroshi perse così qualsiasi entusiasmo, o agitazione, e la voce gli si spense immediatamente.
“Kinnosuke, cosa fai qui...?!”aggiunse, tristemente, consapevole del fatto che egli non avrebbe mai voluto che si alzasse per andarlo ad abbracciare.
“Sono venuto per mettere in ordine un po’ di cose”gli rispose freddamente.
“Che cosa fratello mio, che cosa”
L’uno si alzò in piedi e si sistemò la cintura e la casacca.”Senza di me non ce la faresti mai a vincere questa guerra una volta per tutte. Sono venuto per questo, fratello.”
L’altro abbassò gli occhi e deglutì.”Hai ragione, fratello. Sono un debole”
“L’unica cosa che potresti fare è perderti nel ricordare momenti già trascorsi. E questa è una decisione vile, dovresti saperlo bene”
“Non è solo la mia ultima alternativa”gli rispose”È anche la sola”
Il fratello maggiore voltò di scatto la testa verso di lui, gli lanciò un’occhiata gelida e arrabbiata.
“Ti farò pentire di quello che stai dicendo, Hiroshi. Vado a vincere questa guerra, tu resta pure qui a pensare al passato. A che serve poi pensare al passato, magari riuscirai a dirmelo quando i ciliegi li farò ricrescere io”
“Che vuoi dire, che vuoi dire fratello”gli urlò alle spalle.
“Voglio dire che se questa guerra non finisce, e per sempre, niente di quello che sogni potrà mai ripresentarsi, quella vita felice non potrai averla mai, potrai solo sognarla, desiderarla, cercare di afferrarla e immaginarla”
“Ma tu sei qui, sei tornato per riportarmela indietro!”
“Se tu hai tanta paura, sei tanto incapace, allora sì, sono venuto per restituirtela. Non proverai più quella nostalgia, sappilo”
Kinnosuke era straordinariamente serio mentre parlava, ma Hiroshi pareva toccare un cielo con un dito, e non interessarsi minimamente di tutte le altre complicazioni, della viltà, ad esempio.
“A che mi serve la nostalgia! A cosa mi serve se posso riavere tutto quanto! Sei tornato persino tu! Persino tu! Farai ricrescere i ciliegi abbattuti sui campi di battaglia, e le notti saranno tranquille come quelle di un tempo. Le ragazze vorranno uscire di casa, vorranno uscire di casa, sì, è ovvio!”
“Non proverai più la nostalgia...”ripeteva sempre più inconsistentemente la voce di Kinnosuke”Non proverai più la nostalgia... Mai più”
Hiroshi sorrideva, aveva persino voglia di saltare e ballare.
“Io sono troppo debole per farlo, ma Kinnosuke ce la farà. Io voglio solo ritornare alla mia vita tranquilla, ma lui sembra non soffrire dei dolori che causa occuparsi della propria patria, della propria terra e di chi vi abita sopra! Tutto tornerà come prima! Tutto tornerà come prima!”
Gettò due, tre piccoli tronchi sul fuoco per ravvivarlo e un poco di paglia per far crescere la fiamma per trenta o quaranta secondi . Rimase lì, al calore, pensando minuziosamente a quello che avrebbe riottenuto, leggero e privato dai pesi delle responsabilità e della sconfitta. Alimentò la sua felicità come rimpinguava quelle fiamme guizzanti e si sentì per tutto il tempo di quella notte pervaso da una energia nuova, che sapeva persino di follia, di torbida irrazionalità.
Ma in realtà, quei pochi monelli che giravano lì intorno, non videro altro che brace e cenere spenta, e il fuoco morire a un certo punto, proprio dopo l’attimo in cui Kinnosuke se ne andò via.


Il villaggio oltre la collina era immerso in un silenzio tombale, si sentivano solo lo scorrere dell’acqua nei canali e il verso ripetitivo di qualche animale nascosto nell’erba.
Qui e lì si trovavano drappelli di uomini a guardia dei confini e il cancello era sorvegliato da un numero addirittura maggiore di guerrieri. Eppure essi, nascosti così bene e così padroni dell’arte della guerra, parevano appartenere a quel paesaggio nella maniera più totale possibile.
Kinnosuke, fermo sulla sommità di quel territorio comune, cercava dunque la maniera più folle e impressionante di discendere a valle. L’indomani, era convinto, la guerra sarebbe dovuta essere solo un ricordo lontano.
Accese due torce e le mosse per far avvistare la sua presenza, poi cominciò a scivolare con passo sicuro con l’intento di arrivare fin sotto. Chiuse gli occhi e si avanzò come un pazzo, senza temere i colpi delle frecce e gli assalti degli avversari. I suoi capelli restavano sollevati per via della discesa, del vento, di qualcosa che sottolineava la sua grandezza, il modo leggero e fatale con il quale incombeva sui nemici.
“Cosa ti spinge fin qui”gli chiesero con rispetto, tra le ombre della notte.
Il guerriero sorrise e li guardò con un’espressione assente, con le movenze di un vero e proprio fantasma; o meglio, di un cataclisma.
“Sono venuto a sfidare Akahito, a duello”sibilò la sua voce, ghiacciandoli tutti.
Sullo sguardo dei soldati passò un bagliore di lucidità e spavento, e la loro schiena si drizzò al solo elaborare quel pensiero. Non l’avrebbero mai deriso per la decisione presa, ma forse volevano addirittura costringerlo a ritornare indietro ed abbandonare il suo proposito.
Mestamente, allora, lo condussero dove avrebbe potuto sfidare il terrificante e imbattuto Akahito.


Anche gli dei lo consideravano un illuso a voler vincere una guerra con un duello, e specialmente scontrandosi contro il guerriero più capace che fosse mai nato in quelle terre. Finché i soldati lottavano contro i soldati, le sorti potevano essere sconosciute ad entrambi, ma in uno scontro diretto, in quella mezzora che traduceva anni di battaglie, tutti dicevano che le cose sarebbero andate diversamente. Perché mai, poi? Sì, era stato Akahito ad uccidere personalmente il grande Kinnosuke: dopo anni di scontri in cui erano risultati alla pari, era riuscito finalmente ad imporre la sua supremazia, ma tutti avevano sempre creduto che in fondo si fosse trattata solo di fortuna, che da un momento all’altro, se non se ne fosse andato, sarebbe stato lui stesso ad infliggere la sconfitta all’eterno rivale.
Perché dunque, dopo che fu preparato il luogo per lo scontro con fiaccole e con riti solenni, quando una grande folla rimase a guardare apprensivamente i due guerrieri immersi nella loro concentrazione, si accorse dei volti preoccupati di tutti, come se sapessero che presto o tardi l’uno avrebbe divorato l’altro? E che l’agnello fosse lui, nessuno lo dubitava.
Tutti credevano che se Akahito non fosse stato tanto educato, e così magistralmente condotto verso la filosofia, la pazzia del suo gesto sarebbe meglio emersa dal contesto; insieme ad essa sarebbe venuto fuori anche e soprattutto quel grandissimo coraggio e spirito di sacrificio che ora lo portava ad aspettare su quelle assi di legno, ma per come stavano in realtà le cose, in quella fredda e tacita intesa tra gli spettatori, si poteva capire soltanto che il bagno di sangue che si sarebbe scatenato sarebbe stato solo un folle spreco.
Strano, perché in fondo nessuno avrebbe creduto certo uno scontro tra di loro; l’avrebbero immaginato imprevedibile, addirittura senza un vincitore.
Perché mai queste incertezze, queste assurde convinzioni, addirittura? Forse quello non era Kinnosuke? Che fosse solo un fantasma più debole di lui?
Guardava la forza di Akahito evidenziarsi in ogni particolare, nello sguardo, nelle mani, sui vestiti e nella spada, tuttavia non aveva in mente neanche uno dei pensieri di tutti gli altri. Chi aveva deciso che quello scontro sarebbe terminato con la sua sconfitta?
Era l’ultima possibilità per il suo villaggio, prima della disfatta definitiva del suo esercito, e lui era andato lì proprio per quello: aveva promesso persino ad Hiroshi, che andava a vincere, lui che una cosa del genere non l’avrebbe fatta mai. Buttarsi nell’abisso rischiando di non tornare più? No, mai.
Era troppo avvinghiato alla vita lui, davvero troppo e dannosamente. Talmente tanto che non avrebbe mai avuto la forza di lottare per essa; come una larva, un misero parassita.
Si era mai chiesto se tutto questo avesse un prezzo? Se la liberazione costasse? E quanto?
Poco...? Tantissimo?
Impiegando lo stesso tempo di quel pensiero, un colpo di spada gli passò accanto al viso. Per il resto, poi, si trattò di giocare a un passo tra la morte e il suo, terrificante, contrario.

La mattina dopo tirava un venticello fresco tra i raggi del sole: se un tempo nell’aria arrivavano i profumi, adesso c’era solo l’inodore essenza dell’ossigeno. La gente fuoriusciva dalle case con la triste consapevolezza che forse anche quel giorno stesso, tra poche ore, gli ultimi ragazzi rimasti sarebbero andati a morire, e del loro villaggio, probabilmente, non sarebbe restato che un poco di terra mortificata.
Dopo qualche minuto, scendendo verso il ruscello per raccogliere l’acqua, si accorsero dei fiori raccolti in grandi corone, delle foglie verdi e del loro tappeto, e delle vesti solenni che ricoprivano il corpo disteso sulla soglia del villaggio. Mai avevano visto una tomba più nuda, e più impressionabile, di quella. Avrebbero solo dovuto chinare il capo, inginocchiarsi forse, e piangere per una ragione così grande, e così bella.
Una tavoletta scritta con nerissimo inchiostro riportava il grande gesto eroico del guerriero e la volontà, da parte dei nemici, di raggiungere un accordo di pace. Finalmente, erano salvi.
Hiroshi, preso il coraggio a quattro mani, aveva sfidato Akahito e l’aveva a stento sconfitto. Per le ferite, per lo sforzo, era morto nella casa dei nemici.
Non avrebbe mai più riavuto la sua terra, né la sua casa, né ciò di cui prima aveva goduto, neanche quello che dopo il suo sacrificio avrebbe restituito a quel luogo. E la paura di perdere ogni cosa, mascherata dietro il volto di suo fratello, gliela stavano già perdonando tutti: la gente, il cielo, i ciliegi.

Edited by flyvy - 8/1/2009, 22:33
 
Top
0 replies since 3/1/2009, 22:46   46 views
  Share