Il tempo dell'aurea Afrodite, [08/12/08] As Time Passes By

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Aslinn
view post Posted on 21/2/2009, 23:48




Fandom:New Moon
Rating: 14 anni,.
Personaggi/Pairing: Jasper, Alice, Edward, Bella.
Tipologia: Long Fiction.
Lunghezza:2867 parole, circa 4 pagine, 4 capitoli.
Avvertimenti: Dark, "What if...?"
Spoiler! Parte iniziale di New Moon (soprattutto prima parte della Fan's Fiction)
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale.
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Stephenie Meyer che ne detiene/detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in “New Moon”, appartengono solo a me.
Credits:Il titolo e il frammento citato sono tratti dal poeta greco Mimnermo.
Note dell'Autore:Il mio racconto parte dall’incidente in casa Cullen, nel quale Bella ha attirata la sete di Jasper. Il protagonista è appunto quest’ultimo. Ho reinterpretato l’avvenimento dal suo punto di vista, e reso le conseguenze ben più pesanti di come la Meyer aveva ritenuto. Il "What if...?" è piuttosto radicato, e sconvolge l'ordine voluto dall'autrice. Ho messo tra gli avvertimenti anche Dark, ma quella che propongo è solo una mia interpretazione del pesonaggio in questione.
L'ho scritto senza sapere cosa succede dopo "New Moon".
Introduzione alla Fan's Fiction:Il tempo è l’antagonista di ogni creatura, che essa sia mortale o immortale. Ma non si può fare a meno delle stagioni, delle ore, dello scandire leggero di un orologio o del canto diffuso delle campane. Ogni essere vivente risente in modo conscio o meno del trascorrere del tempo, che non si arresta un secondo né accelera il suo cammino. Non c’è via di ritorno, per nessuno. La vecchiaia non è solo fisica, ma è la noia e l'angoscia di vivere. Ma un rimedio esiste: un solo faro o un cielo luminoso di stelle.

IL TEMPO DELL'AUREA AFRODITE

Qual è mai la vita, che cos’è la gioia, senza l’aurea Afrodite?
Potessi morire, quando non mi importerà più tutto questo,
un amore segreto, doni di dolcezza, un letto;
i soli fiori della giovinezza da cogliere di slancio
per uomini e donne; ma non appena dolorosa sopraggiunge
la vecchiaia che ad un tempo avvilisce l’uomo e lo deturpa,
sempre affanni angosciosi gli rodono l’anima,
e non si rallegra alla vista dei raggi del sole,
ma è odioso ai ragazzi e disprezzato dalle donne:
così amara un dio fece la vecchiaia.
(Mimnermo, Fr. 1D)



PARTE PRIMA: FORKS, SERA DEL DISASTRO
Amavo Alice.
Credo che il dono di questo sentimento sia sottovalutato dagli umani. Per noi vampiri può significare più di ogni altra cosa. Forse non lo meritiamo per quel che siamo, forse è disgustoso credere che esseri come noi possano toccare la carne con desiderio diverso da quello della morte, ma negli anni passati con lei mi sono lasciato penetrare da questo sentimento. Mi sono spesso chiesto, quando tutto aveva una parvenza di significato, se non fosse stato proprio amarla a farmi tornare in me. La depressione che precedette quella notte nel bar di Philadelphia, quando mi salvò, era causata da qualcosa di più profondo e radicato di quanto credessi.
Quel viscido parassita, fatto di dolore e angoscia, tornò a infiammarmi la carne quella sera in casa Cullen. L’euforia della festa era esplosa in me, portando con sé una consapevolezza agghiacciante: un nuovo anno per Bella, più grande dentro, più vecchia fuori, anche se di poco. In fondo, noi vampiri percepiamo pienamente ogni piccolo cambiamento. Lei, una mortale che presto sarebbe tornata alla polvere dalla quale tutto era nato, dentro di sé non accettava quel minuscolo cambiamento, mentre io, che sarei rimasto sempre giovane e bello, sentivo l’angoscia schiacciarmi.
Mi estraniai dalle voci attorno a me e caddi in uno stato di torpore allucinante. Udivo i suoni come se fossi sul fondale di un lago ed essi provenissero da una barca sulla superficie; vedevo i colori attraverso un caleidoscopio rotto e ammantato di nero; e gli odori…quelli li sentivo come se fossero presenze concrete nel salotto di casa, quasi aleggiassero intorno al mio corpo e mi chiamassero, entrandomi nell'anima e scuotendomi con mille piccole mani forzute. Nel mezzo di quello stordimento improvvisamente si fece strada un rumore, che sovrastava gli altri e sembrava dare a tutto un ritmo e un senso. Un rombo che mi dava brividi al collo, come un piccolo coraggioso tamburo in una buia foresta Africana, durante una festa sacrificale. Un colore divenne preponderante sugli altri: il rosso. Un odore mi stuzzicò le narici, rianimando le mie viscere: sangue.
Prima che me ne rendessi conto, mi stavo avventando sull’unico mortale lì presente, la vittima più ambita e indifesa: Bella. Se non ci fosse stato Edward, con la sua impulsiva tendenza a proteggerla e il suo cieco amore, mi sarei macchiato di un crimine orrendo. Ho pensato, con il senno di poi, che non avrebbe fatto molta differenza, ma non credo che sarei giunto a vivere fin ora se avessi distrutto l’unica cosa che per mio fratello Edward avesse senso: l’amore che provava per Bella, la sua mortale, la sua salvezza.
Ero stato salvato dal macchiarmi di un crimine atroce, ma il ciclo del mio tormento aveva ripreso a vibrare, riscuotendosi dal gelo in cui l’amore della mia famiglia l’aveva esiliato.

PARTE SECONDA: FRANCIA, 20 SETTEMBRE
Il mare mi riempiva gli occhi con il suo moto imprevedibile ma rasserenante. Mi persi nella sua infinità e imprecisione, lasciandomi cullare come nelle braccia di una badante illuminata dal sole e bianca come quella spuma. Le rocce appuntite, dure e immobili, si lasciavano colpire dall’acqua, ma non cadevano, piuttosto si corrodevano lentamente. E questa era la storia della mia vita. Le emozioni, come una marea incontrollabile e imprevedibile nei suoi moti, mi colpivano senza pietà, eppure così affascinanti. Io mi lasciavo attaccare da questa forza intangibile e viva, rimanendo saldo al mio posto, malgrado ogni colpo mi portasse lentamente alla fine. Il dolore mi bruciava, la solitudine mi agghiacciava, l’amore mi riscaldava. Potevo continuare all’infinito, e questa era la cosa peggiore. Ogni giorno morivo un po’ di più dentro.
Mi resi conto che la balaustra tra le mie mani si era contorta alla mia presa brusca. La lasciai andare. Sentii le dita di Alice sul braccio e mi voltai verso il suo viso gentile e allegro. Sorrideva. Mi lasciai abbracciare da lei e la strinsi a me come se temessi di perderla nelle onde del mio dolore.
La nostra famiglia aveva permesso a me e ad Alice di trascorrere un po’ di tempo in Europa, lontani da casa, ed io avevo scelto la Francia. L’idea era stata di Alice, che come sempre aveva compreso il mio disagio e la vergogna che provavo per la mia debolezza, nonché il mio estremo bisogno di quiete.
Rimanemmo diverso tempo sul terrazzo, incuranti del sole che ci illuminava. Mi sentii improvvisamente libero, solo con il mio amore, con il mare e il sole e la brezza leggera sul volto, senza traccia umana, nella baia solitaria. In quel momento provai il desiderio di rimanere lì per sempre. Non avevo altro bisogno che la presenza di Alice e poterla baciare, per sentirmi migliore. Paradossalmente, l’immobilità e l’atemporalità di quel momento erano il rimedio alla mia angoscia.
Qualcosa si ruppe in me con una velocità sorprendente. Eppure nulla era cambiato in quel posto paradisiaco: il mare spumeggiava come poco prima mentre abbracciavo Alice, il cielo era ugualmente limpido, il sole solo poco più basso.
M’irrigidii e ripresi a stritolare la balaustra di ferro. La mente divenne un groviglio di pensieri confusi, con un unico sbocco, con un solo comune denominatore, guidati da un desiderio. Sete. Dovevo cacciare. L’idea mi ripugnò, malgrado mi eccitasse al tempo stesso.
“Cos’hai, Jasper?” mi chiese Alice con la sua voce accorta e squillante.
“Ho…sete.”
Mi guardò e per un attimo il suo volto candido fu attraversato da un’espressione solenne e seria. Annuì e scavalcammo in un balzo la balaustra. La foresta poco lontana ci attendeva, con mille promesse e un unico richiamo. Sentii i cuori degli animali battere, ma erano solo il riverbero di quel tamburo perfetto e chiaro del cuore umano.
Mentre stringevo la mia preda, una bestia che aveva scalpitato fino alla fine, e ne bevevo il sangue, mi tornò alla mente una consapevolezza che non volevo esprimere alla mia coscienza, ma che riaccese inevitabilmente il parassita del dolore: io ero un cacciatore, un vampiro. Per quanto mi sforzassi di essere migliore, rimaneva un dato di fatto: il sangue animale non mi saziava profondamente come quello umano.
Quella notte rimanemmo sdraiati sotto la volta stellare, che in riva al mare sembrava più grande, infinita.
Nello stesso momento in cui Alice mi accarezzava i capelli e mi sussurrava all’orecchio che mi amava e che tutto sarebbe andato per il meglio, sentivo il sangue che avevo bevuto inondarmi il corpo…eppure, avevo ancora sete, ma una sete diversa…l’unico sangue che potesse soddisfarla era l’unico che non potevo avere.
Ah, se solo il mondo avesse continuato a girare senza afferrarci e strapparci a quella notte!

PARTE TERZA: TEXAS, 30 OTTOBRE
Non riuscii a tornare dai Cullen. Non dopo quella notte sotto le stelle, in cui capii che per quanto lo volessi, nessuna buona intenzione riusciva a cambiare la mia natura. Non comprendevo come facessero gli altri a sopravvivere, per me non era possibile. Divenne inconcepibile quando giunsi nella mia terra natale. Avevo espresso ad Alice il desiderio di visitarla prima di tornare a casa. Lei aveva accettato paziente, come aveva acconsentito alla permanenza in quella baia in Francia. Sentivo che credeva nella mia salvezza e per essa avrebbe fatto di tutto.
Alloggiammo in un albergo nel centro della mia vecchia cittadina, che trovai cambiata molto dall’ultima volta che l’avevo vista, quando ero giovane e illuso, convinto di poter cambiare il mondo con le mie forze umane, con l’egocentrismo proprio dei bambini.
Lì accadde la seconda tragedia del mio cammino verso l’inferno personale.
Una notte quieta come le altre, attraversata dal ronzio fulminante delle auto e i vapori grigi del mondo umano, sentii una scossa attraversarmi il corpo.
Un mare di ricordi si riversò come lava liquida sulla mia mente e la annebbiò. Alice mi aveva lasciato solo a esplorare la cittadina che mi aveva dato alla vita. Mille visioni, non tutte coerenti, mi abbagliarono gli occhi. Me bambino. Il volto di mia madre, il sorriso, i capelli, la pelle. L’odore di mele del giardino, l’albero inondato dal sole come un piccolo angolo dell’Eden. Una bimba dai ricci rossi, le nostre mani congiunte nell’espressione più tenera e ingenua dell’amore. Le aspettative, la guerra, il coraggio, l’onore…e i desideri. Voglia di esplorare, di conoscere, di avere nuovi contatti con uomini lontani, di lottare per “qualcosa di più grande”, di sentirmi per pochi istanti protagonista del mondo, un eroe.
Un battito s’insinuò nel tessuto drappeggiato dei ricordi, lo squarciò con violenza, e si sostituì al centro dei miei pensieri. Tutte le visioni divennero evanescenti e scomparvero come polvere di ghiaccio.
Alzai lo sguardo. Ero a terra, colpito dalla forza dell’angoscia. Una mano bianca e snella si protendeva verso di me, la pelle di un collo sottile e chiaro vibrava impercettibilmente alla pressione sanguigna, un volto inconsapevole era dipinto di sincera e cortese preoccupazione.
“Hai bisogno di aiuto?” mi chiese la ragazza.
Mi alzai rifiutando la sua mano. Il collo era esposto, troppo…L’ombra del crepuscolo le oscurava la mia vera natura e la rendeva ancora più indifesa. Il tamburello del suo sangue accelerò il ritmo. Non era paura. Mi trovava affascinante ed era emozionata nel rivolgermi la parola. Perché, chiesi tra me e me, perché devi sembrare tanto invitante?
L’avvicinai e con la mia forza segreta le trasmisi immagini di pace, inducendola alla calma. Si abbandonò al mio abbraccio senza opporsi, con sorriso assente sul volto. Scostai i capelli e accarezzai la pelle liscia sotto il mento. La sfiorai con le labbra, ma qualcosa mi bloccò.
Era giovane, come lo ero io il giorno della mia morte mortale. Era piena di attese, di desideri, come lo ero stato io. Non era il momento della sua morte, non aveva avuto la sua parte di vita, come non l’avevo avuta io. Ma la sete era forte, il sangue guizzava in una danza estatica sotto le vene, e io…non potevo attendere oltre. La ragione mi abbandonava. Affondai le zanne nel collo morbido. Sentii il suo cuore unirsi al mio, mentre il sangue zampillava e premeva per affiorare in superficie. La sostenni tenendola stretta a me. Si abbandonò alle mia braccia. Il cuore pompava ancora a piena forza, quando fui bruscamente strappato da lei. I suoni attutiti tornarono con una chiarezza assordante, le figure prima sfocate si affacciarono al mio mondo violentemente, e io ritornai sulla terra compatta, ripiombando nel mio inferno.
Vidi una giovane dai capelli corvini e il corpo minuto sollevare con estrema facilità la vittima ancora viva. Pronunciò parole fievoli con una voce cristallina, come se piccoli campanellini stessero agonizzando in una lenta morte.
“La porterò in ospedale, al sicuro” disse senza voltarsi a guardarmi. “Tu aspettami in albergo. Avremo tempo per parlarne.”
E poi sparì. Prono sulla stradina del parco, chiamai a labbra strette il mio piccolo angelo: Alice. Ma ora anche lei mi aveva voltato le spalle, o forse c’era ancora speranza? Il dubbio mi assillava. In fondo, meritavo davvero la speranza? E il suo amore?

PARTE QUARTA: OVUNQUE E IN NESSUN LUOGO, ANNO DELLA FINE
Sole sulle macerie. Sole sulla coltre di fumo. Sole sulla pelle luccicante.
Non avrei mai immaginato che l’inferno fosse così illuminato. Ciò rimane ora di questo mondo bizzarro, l’Ade in terra. Laggiù si combatte una guerra, qui la morte è già arrivata.
Io sono solo, come lo sono sempre stato. Lo ero quando partii in cerca di gloria militare, lo ero quando il sangue immortale mi rese folle e pulsante d’istinti, lo ero quando ho calpestato l’amore di Alice.
Oh, amore mio, dove sei?
Cammino per la strada polverosa, incurante che gli abitanti scuri mi possano vedere brillare come una piccola stella opaca. I panni laceri mi cadono di dosso. Da quando porto lo stesso abbigliamento? Che importanza ha?
Ho compreso una cosa, forse l’unica certezza nel mondo dell’opinione. Il tempo non conta. Una volta, quando ero mortale, tutto era scandito dal passare delle ore…ma adesso? Che senso ha tutto ciò? Se prendo una vita in questo preciso momento, che male può derivarne? Quell’uomo, o donna che sia, morirà comunque. Tutti i mortali che ho conosciuto nella mia vita umana sono morti, mangiati dal tempo. Civiltà intere sono scomparse nel fumo dei millenni. Terre inghiottite dai vortici dei secoli, animali solo immaginabili che non respireranno più, reperti grandiosi che mai saranno ritrovati. Che senso ha soffrire la sete, quando ogni mortale che incontro potrebbe morire oggi, o domani, o tra pochi giorni, settimane, anni?
Anche nella prospettiva dell’eternità nulla è perpetuo. Solo chi partecipa all’immortalità della coscienza può ingannare il tempo. Ma è davvero un inganno? Non saprei dirlo. Il tempo consuma tutto intorno a me. Ritorno a essere lo scoglio in mezzo al mare di quell’angolo di Francia, anni addietro. La sabbia e la terra che mi circondano sono portate via dall’acqua furente, ma rimango fermo dove sono, e posso anche corrodermi in eterno. Un giorno sparirò anch’io, con tutti quelli della mia razza. Ma quando sarà? Vorrei che fosse ora, per non attendere più. Ma so che, se anche avvenisse tra millenni, guardandomi indietro, considererei passate poche ore da questo preciso momento in cui guardo le sagome delle case sulla strada. Il tempo non ha contorni, per me, non ora. Tuttavia, questo è un nemico, perché non cambia nulla nel mio aspetto, lavorando nell’interno della mia anima. Ogni anno è un’agonia di vita non vissuta, ogni minuto è un vagare indistinto, ogni secondo un attimo di smarrimento. Una volta ero umano, sì. Una volta amavo, gioivo, crescevo. Ora cosa sono, in realtà?
L’unico rimedio è attaccarmi a ciò che è eterno come me: il ciclo dell’esistenza, l’amore…Alice. Tornerò da te, alla fine di questo mio viaggio intorno al mondo e dentro il mio inconscio. Quando sarò pronto a reggere il tuo sguardo saturo di emozione sapientemente celata, ad affrontare il viso di Bella colorito dal sangue, a guardare Edward senza impazzire di vergogna e angoscia…allora torneremo la famiglia che eravamo. Questa pausa è necessaria, poiché la mia depressione non è guarita che superficialmente. Devo lenire col balsamo della quieta solitudine la febbre, causata dal viscido parassita che m’infiamma le membra.
E se non riuscissi? Non so se mai mi libererò di questo dolore, so solo che ho un disperato bisogno di te, la mia dolce e marmorea Alice.
Il sole si abbassa all’orizzonte.
Forse quando ci ritroveremo tutti nella grande casa di Forks, Bella sarà già corrosa dal tempo, e forse Edward la amerà come quando era giovane e fresca nel corpo vivo. Forse sarà già tornata polvere.
Povero Edward! Come può pensare di amare una mortale fatta di carne, ossa e sangue, destinati a divenire una polvere grigia, a sfiorire e scolorire fino all’estrema dissoluzione?
Io ho te, mia eterna Alice! Devo gioire!
Uno scricchiolio di vita mi riporta alla realtà concreta, come lo sono le immagini della mia mente. Un malfattore, la preda migliore, si nasconde dietro l’angolo delle mura rotte di una casa. Con un balzo scavalco i detriti e piombo in quello che era un salotto modesto. L’uomo trema, mi aggredisce con un pugnale. E’ inutile. Lo blocco e gli infondo tutta la calma di cui sono capace. E’ strano, mia cara Alice, che sia così bravo a gestire le emozioni altrui e tanto incapace di controllare le mie.
Abbraccio l’uomo e gli affondo le zanne nel collo abbronzato. Il suo sangue bollente ha un sapore speziato, come le carni di cui si ciba. Lo lascio andare prima di ucciderlo. Sono riuscito a fermarmi, stavolta.
Corro via verso la strada, e la mia ombra fisica sembra volersi allontanare da quella interiore, mentre il sole m’investe nella luce rossa del tramonto.
Il tempo porta timore. Il timore è umano. L’umano è imprigionato dal tempo. E il ciclo continua.
Noi vampiri ce ne distacchiamo, poi torniamo nella corrente del tempo, e ne emergiamo ancora, naufraghi perpetui in cerca del nostro porto fantasma. Abbiamo perso la nostra barca, la mortalità. Liberi ora di farci flagellare dalle onde, a tratti impassibili a tratti tragicamente squarciati dal rombo del mare. E mai potremmo voltarci a guardare con sollievo il mare agitato, con i piedi sulla terra ferma, e nell’aria della nostra isola ideale. Eppure il faro non brilla forse per tutte le creature? Continueremo a lasciarci guidare da quella luce, senza mai raggiungere la pace che ci promette, ma capaci così di distinguere nelle avversità i volti dei nostri amati sostenitori.
Nel buio che si avvicina al crepuscolo, vedo il tuo volto, Alice, nel mare di questa esistenza tortuosa. La pace forse non esisterà mai per noi, ma ringrazio il faro, qualunque esso sia, perché mi permette di vedere i tuoi occhi e il tuo sorriso e i tuoi baci.
Non vivrò più. Non morirò mai. Posso solo amarti.
 
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