Ricordo di un genitore, [Primo Torneo: finale]

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taisa*
view post Posted on 4/3/2009, 17:18




Fandom: Dragon Ball
Rating: 14 anni
Personaggi/Pairing: Bra, Bulma, Trunks, Vegeta/ Bulma-Vegeta (accennato, ma c’è)
Tipologia: Long Fiction
Lunghezza: 4.723 Parole, 4 capitoli
Avvertimenti: Nessuno
Genere: Generale, Introspettivo
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Akira Toriyama che ne detiene/detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Dragon Ball, appartengono solo a me.
Introduzione alla Fan's Fiction: “Tema: I ricordi che i vostri genitori hanno dei loro padri” questo è il compito scolastico di Bra, ma cosa lega Bulma e Vegeta ai rispettivi padri?


RICORDO DI UN GENITORE



Un ricordo a tema

Il silenzio veniva regolarmente interrotto dal ticchettio dell’orologio che scandiva i secondi con la sua precisa regolarità. Ad accompagnare il suono delle lancette il convulso e frettoloso scribacchiare di una penna a sfera. Veloce, preciso e senza alcuna esitazione, il pennino seguitava a muoversi con diligenza senza staccarsi mai per troppo a lungo dal foglio su cui stava lavorando. Solo per pochi secondi l’inchiostro smise di scorrere sulla superficie bianca ed immacolata della carta. Il successivo fruscio di fogli lasciò intuire la fine della pagina sulla quale, l’irrefrenabile scrittore, stava appuntando ciò che doveva necessariamente ricordarsi.
La penna tornò subito a scorrere sulla nuova facciata, riempiendo con estrema velocità l’intera superficie del foglio.
Numeri, nient’altro che cifre venivano segnalati sulla carta in un ordine apparentemente casuale. Eppure, l’indomito matematico, pareva avere sottocontrollo la situazione, registrando senza dubbio alcuno i dati che uscivano dalla sua mente, quantificate somme che sembrava impossibile riuscire a conteggiare senza l’aiuto di una calcolatrice.
Un altro foglio si staccò dal blocco degli appunti, ricoprendo altri pezzi di carta già sparsi sul tavolo della cucina, senza ordine alcuno. Se il cervello dell’indomita mente pareva avere un ragionamento veloce e sensato, non si poteva dire altrettanto sul suo modo di gestire appunti e notazioni che, una volta finite su un foglio, venivano lanciate quasi letteralmente sulla superficie di legno, abbandonate al proprio destino.
Qualcuno avrebbe definito più facilmente Bulma Brief la regina del disordine, piuttosto che un irrefrenabile genio. E ovviamente, lei, non aveva mai fatto mistero sul suo sistema caotico di organizzarsi. Al contrario dei suoi calcoli, così precisi e metodici, il resto del suo mondo non aveva nessun assetto preciso.
Non era un amante dell’ordine, come tale non si apprestava quasi mai a preoccuparsi di riassettare. Bulma aveva la caratteristica di essere terribilmente precisa solo sulle cose che le erano congegnali. Impossibile, se non raro, scorgerla alle prese con le faccende domestiche; più probabile riuscire ad intravederla trafficare con uno dei robot che, lei e suo padre, avevano creato appositamente per risparmiarsi le fatiche di ripulire i vari disastri combinati da qualche membro della famiglia.
Quando si trattava di creare meccanismi complicati invece, Bulma diventava lei stessa una macchina. Il suo livello di concentrazione arrivava spesso e volentieri a non permetterle di accorgersi di esplosioni o terremoti provocati in una stanza particolare della sua abitazione. Ciò a cui si appassionava diventava automaticamente un buon motivo per estraniarsi del resto dello spazio.
Per questo, distratta dai suoi calcoli, non si avvide di non essere più la sola presenza nella cucina.
Gli sforzi della piccola Bra, allo scopo di attirare l’attenzione della madre, erano andati a vuoto almeno in un paio di tentativi, nonostante la bambina avesse provato in tutti i modi di distrarla.
Imbronciatasi, la bimba, incrociò le braccia al petto osservando i gesti ritmati con la quale si muoveva la penna impugnata dalla madre. Evidentemente non intenzionata ad arrendersi, respirò profondamente, prima di urlare un “Mammaaaaaa” con quanto fiato avesse in gola.
La biro si arrestò improvvisamente, mentre Bulma, riscossa dai suoi pensieri, sollevò lo sguardo colta alla sprovvista, incrociando infine gli occhi azzurri della figlia. “Oh, ciao tesoro” la salutò cordiale, quasi come se l’avesse sentita entrare dall’inizio. Tuttavia, lo sguardo della ragazzina risultò palesemente offeso per essere stata ignorata per troppo tempo. “Finalmente, sono ore che ti chiamo” brontolò ironica, enfatizzando la situazione.
Bulma osservò la figlia, riconoscendo in quell’atteggiamento un altro membro della sua famiglia.
Le ci vollero ancora alcuni secondi, prima di ragionare razionalmente sulla situazione. “Bra, ma tu non dovresti essere a scuola?” Le domandò inarcando pensierosa un sopracciglio. La piccola Bra, dopo un profondo sospiro, si accomodò sulla sedia opposta a quella della madre, sfilandosi lo zainetto dalle spalle e poggiandolo sul tavolo. “Prima o poi ci fanno anche tornare a casa” commentò sarcastica, indicando alla madre l’orologio della cucina che segnava l’una e mezza.
“Accidenti!” Esclamò sorpresa la scienziata, scoprendo di aver appena perso un’intera mattinata sui meccanismi complicati di un progetto che ancora non aveva visto la luce. “Devo cucinare qualcosa, o tuo padre comincerà a lamentarsi” affermò alzandosi dalla sedia con uno scatto.
“Non importa cara, ci sto già pensando io” esordì la signora Brief, altra presenza di cui Bulma non si era minimamente avveduta. La donna fissò la madre per qualche secondo, come se stesse cercando di ricordarsi il momento esatto in cui la bionda era entrata.
Rinunciando a fare mente locale, non essendo il primo episodio del genere, tornò a sedersi di fronte alla figlia, che nel contempo le stava riservando uno sguardo rassegnato.
“Allora tesoro, dimmi un po’, com’è andata a scuola oggi?” Domandò Bulma, evidentemente in cerca di un altro argomento. Il volto della piccola si fece inquieto, sollevando un lato della bocca con aria alquanto indecisa. “Bene” rispose dopo alcuni istanti di meditazione, non apparendo troppo convinta della propria replica.
La madre, ora completamente risvegliata dal suo mondo di numeri, non faticò a notare l’inquietudine della figlioletta. A sua volta incrociò le braccia al petto, osservando severamente la bambina, in attesa di una spiegazione più dettagliata.
“Ci hanno dato un compito per casa piuttosto strano” specificò infine la bimba, come da programma, alzando lo sguardo verso la donna di fronte a lei. “Strano in che senso?” S’informò meglio la scienziata.
Bra si limitò ad osservare la madre per diversi secondi. Poi, seguita da un sonoro sbuffo, decise di aprire lo zaino, successivamente rovistò all’interno alla ricerca di qualcosa. Pochi istanti più tardi il suo diario venne aperto e posizionato sul tavolo, sotto gli occhi della donna.
Bulma cominciò a leggere ad alta voce quanto scritto, “Tema: I ricordi che i vostri genitori...” “Ohhh che bello! Anche Bulma faceva questi temini! Ti ricordi cara?” Civettò la signora Brief, interrompendo bruscamente la figlia che le rivolse uno sguardo bieco. “Mamma!” Brontolò riportando all’ordine la donna che tornò ad occuparsi del pranzo, “Scusa cara, continua pure” l’autorizzò ridacchiando ai suoi stessi pensieri.
Bulma sospirò pesantemente, prima di rivolgere nuovamente gli occhi sul diario della figlia, “Grazie” commentò con un’intonazione fortemente sarcastica, prima di riprendere la lettura. “Dicevamo” riprese, “I ricordi che i vostri genitori hanno dei loro padri” si arrestò in preda a qualche personale elucubrazione, “Se non altro è meno banale di quelli che facevo io” commentò in un secondo momento, restituendo l’agenda alla figlioletta.
Quando si ritrovò a fissarla negli occhi, lo sguardo di Bra si era fatto implorante, “Allora?” Volle sapere enigmatica la piccola. Bulma arcuò un sopracciglio, “Allora cosa?” domandò di rimando, senza comprendere immediatamente le intenzioni della bambina.
Bra sfoggiò il suo sorriso migliore, senza mai staccare lo sguardo dalla donna, “Allora, che ricordo hai del nonno?” Le domandò il piccolo diavoletto dagli occhiono d’angelo. “Sì, sono curiosa anch’io!” Le diede manforte la nonna, “Raccontaci un ricordo che hai di papà” la esortò.
Bulma osservò prima una, poi l’altra; infine chinò gli occhi sui fogli sparsi per tutto il tavolo. Successivamente si poggiò una mano al mento, “Mmm… fatemi pensare” farfugliò, cominciando a scavare tra i suoi ricordi.

***




Un ricordo meccanico

La porta del grande laboratorio cigolò sinistro, quando la piccola Bulma Brief la aprì non senza sforzo. Si guardò attorno, osservando la stanza argentina della quale aveva appena varcato la soglia. Inspirò profondamene, inebriandosi dell’odore metallico che emanava, per la quale aveva uno strano debole. Doveva essere la sola bambina al mondo, anzi no, dell’intera galassia, ad amare incondizionatamente quello strano profumo ferroso.
Avanzò ancora di qualche passo, mentre la sua piccola mano si strinse maggiormente attorno alla coda, che minacciava di staccarsi, del suo pupazzo di pezza, un inseparabile scimmiotto. La bimba lasciò strusciare al suolo il malcapitato peluche, dal musino ormai consumato con gli anni, sul pavimento dell’officina. E lei, nel contempo, si soffermò ad osservare gli enormi velivoli che imperavano in quella stanza. Per qualche strano motivo ne restava sempre affascinata, ancor più che trovarsi di fronte ad un castello fiabesco nato dalla propria fantasia.
Il suono degli strumenti da lavoro sbattere tra di loro non fece altro che illuminare maggiormente lo sguardo della piccola esploratrice. Non le fu difficile individuare il padre, seduto ad un’enorme tavolo alle prese con alcuni cavi elettrici.
Svelta si avvicinò a lui, strattonandogli l’orlo dei pantaloni allo scopo di attrarre la sua attenzione. Purtroppo il tentativo si rivelò vano; in quanto, il genitore, risultò troppo concentrato sul proprio lavoro per accorgersi della piccola presenza. Ma Bulma era una bambina testarda e come tale non si arrese al primo insuccesso, tornando a tirare le braghe del padre. Il risultato, pressoché identico, non fece altro che imbronciare la ragazzina che, decisa ad imporre la propria presenza, optò per un secondo sistema.
Inspirò profondamente per qualche secondo, “Papààààààà” urlò con quanto fiato aveva in gola, facendo sobbalzare l’assorto e distratto genitore. Il Dottor Brief, accortosi solo in quel momento della presenza minuta e rumorosa della figlioletta, si voltò a guardarla, osservando il broncio seccato della quale non riuscì a concepire l’origine.
“Oh, Bulma” esclamò infine, tornando con i piedi per terra, “Sei venuta a far visita al tuo papà?” le domandò spegnendo la sigaretta che stava fumando nell’apposito posacenere. La bambina sembrò più interessata al lavoro dello scienziato che al genitore stesso. Incuriosita dallo strano marchingegno non prestò attenzione alle parole dell’uomo, che nel contempo prese coscienza dello spiccato interesse per la tecnologia da parte della bambina. Lo scienziato la sollevò delicatamente dal suolo facendola accomodare sulle proprie ginocchia.
Avendo ora un punto di vista decisamente migliore, la piccola Bulma, riuscì ad osservare più attentamente lo strano macchinario. Accorgendosi dei cavi che passavano da quello che pareva un circuito ad uno strano robottino, situato sul lato opposto del tavolo. “Che cos’è?” domandò interessata, senza mai distogliere i brillanti occhi azzurri dalla centralina.
Il Dottor Brief poggiò sul bancone il cacciavite che stava adoperando. Successivamente afferrò con entrambe le mani il delicato meccanismo, allo scopo di mostrarlo alla curiosa bambina. “Sto cercando di creare dei robot che ci aiutino con le faccende domestiche” spiegò, tornando a posare l’oggetto sul tavolo, lisciandosi poi i baffetti non ancora del tutto ingrigiti. “Purtroppo non riesco ancora a farlo funzionare” ammise un secondo più tardi, sospirando pensieroso e portando lo sguardo al soffitto.
Bulma, dal canto suo, non aveva distolto lo sguardo nemmeno per un secondo, come se stesse studiando l’intero meccanismo. La sua contemplazione la portò ad ignorare i borbottii del padre, intento ad illustrare particolari tecnici di cui la bambina ignorava completamente il significato.
Come calamitati, i suoi occhi s’imbatterono sul cacciavite che il genitore aveva abbandonato sul banco da lavoro. Guidata dall’istinto, la sua mano catturò l’oggetto, fissandolo ancora per qualche secondo.
Il mormorio del Dottor Brief si interruppe quando udì uno strano
bip provenire dal robot su cui stava lavorando. Incredulo sgranò gli occhi, cercando di comprendere la natura di quello strano suono. E quando vide le lampadine accendersi, comprese all’istante che la sua creazione aveva finalmente preso vita.
“Ha funzionato!” esultò Bulma attirando definitivamente l’attenzione del padre che, solo in quel momento, si rese conto di quanto era accaduto. “Come ci sei riuscita?” mormorò sbigottito con un filo di voce, mentre la figlia gli regalò un sorriso entusiasta e, perché no, anche piuttosto egocentrico.
Per la prima volta nella sua vita, il buffo scienziato, si ritrovò a pensare che sua figlia era assolutamente geniale.


“Che memoria! Come fai a ricordarti un episodio di quando avevi solo cinque anni?” Domandò sconvolta la bionda che aveva momentaneamente accantonato il suo compito. Bulma le rivolse uno sguardo di superiorità, riservandole uno sorriso saccente, “E’ normale mamma, io sono un genio” le ricordò con quello che era diventato il suo personale tormentone. Anche Bra la osservò con ammirazione, nonostante lei avesse solo qualche anno in più rispetto al ricordo della madre.
A lei, Bulma, rivolse nuovamente lo sguardo, regalandole un sorriso. “Va bene questo ricordo per il tuo compito?” Si informò, ricordando alla figlioletta lo scopo per la quale le aveva raccontato quella storia. La bambina ci pensò su per diversi istanti, rivolgendo quasi istintivamente lo sguardo ai fogli sparsi per tutto il tavolo.
Quando tornò a guardare la donna le sorrise a sua volta, “Sì, va bene” asserì afferrando un pezzo di carta dallo zainetto e cominciando ad appuntare qualche nota.
Bulma osservò la bimba registrare con minuzia le fasi più importanti del suo ricordo, allo scopo di non dimenticare i dettagli che le erano stati forniti. Improvvisamente, tuttavia, la giovane Brief fermò la sua penna, evidentemente assorta in qualche pensiero. Notando la sua insicurezza, Bulma, inarcò un sopracciglio scrutando la figlia con attenzione, “Qualcosa non va tesoro?” Domandò un po’ perplessa.
Bra alzò lo sguardo un po’ titubante, come se si fosse appena resa conto di un particolare che le era sfuggito fino a quel momento. “Mamma...” Sussurrò flebile, corrugando lo sguardo in un’espressione preoccupata. Chinò il capo, osservando successivamente la punta della sua biro. “Come faccio a farmi raccontare un ricordo da papà?” Domandò la piccola, giustamente preoccupata.
L’espressione di Bulma si trasformò in una smorfia indecifrabile, concisa che certe informazioni erano difficilmente reperibili. E nessuno lo sapeva meglio di lei.
Pensierosa si mordicchiò il labbro inferiore cercando di mettere in ordine le idee. Certe cose erano rimaste un mistero persino per lei, non era facile riuscire a carpire ricordi del Principe dei Saiyan. Come fare dunque ad accontentare la figlia?
Come se si sentisse chiamato in causa, Vegeta, entrò in cucina con passo pesante, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Al suo ingresso tre paia di occhi azzurri si fissarono su di lui, ponendogli silenziosamente la medesima domanda, che il Saiyan non riuscì a capire.
Un po’ sorpreso si bloccò sull’uscio della stanza, rendendosi immediatamente conto di essere oggetto di un’indagine collettiva. “Cos’avete da guardarmi in quel modo?” Brontolò immediatamente, osservando una dopo l’altra le tre donne in modo decisamente sospettoso.
Fu Bulma la prima a parlare. Gli rivolse un sorriso raggiante allo scopo di tranquillizzarlo, ottenendo tuttavia l’effetto opposto. “Tesoro, vieni qui ad aiutarci, Bra ha bisogno di te per fare un compito” gli spiegò la compagna.
Il sopracciglio del Principe si arcuò, facendo assumere all’uomo un’espressione decisamente confusa.

***




Un ricordo senza tempo

Vegeta osservò oltre la finestra del salotto con sguardo corrugato e nervoso. Due dita tamburellavano con inquietudine sul braccio, intrecciato all’altro.
Stupidi terrestri! Che bisogno avevano di conoscere i suoi ricordi? Nessuno, proprio nessuno.
Ricordi di suo padre poi, tsk, che idiozia. Per quale assurdo motivo doveva mettersi a parlare del vecchio? Decisamente i terrestri non avevano ancora imparato a farsi gli affari loro.
Il movimento delle sue dita divenne sempre più nevrotico con lo scorrere dei propri pensieri, mentre un broncio decisamente seccato si dipinse sul suo volto già irrequieto.
“Papà?” S’introdusse timidamente la vocina della figlia, facendosi largo tra le elucubrazioni del genitore.
Bra osservò attentamente suo padre, facendo particolarmente caso al suo abbigliamento. I suoi abiti lasciavano presupporre che era in procinto di rintanarsi nella sua Gravity Room. Tutto parve confermare la teoria della piccola, dagli stivali bianchi ai guanti del medesimo colore, dai pantaloni dell’Under Suit all’assenza di una maglietta.
Ciò che sua figlia non riusciva a comprendere era più che altro la sua permanenza in salotto. Perché prepararsi per gli allenamenti, se poi non faceva altro che sostare davanti alla finestra?
Ad ogni modo il problema era uno solo, doveva sbrigarsi, prima che lui svanisse all’interno di una stanza in metallo.
“Papà” sussurrò nuovamente, e Vegeta si voltò solo leggermente, quel tanto che bastava per osservarla con la coda dell’occhio, bloccando nel frattempo il nervoso movimento delle dita. “Che vuoi ancora?” Brontolò fissandola di sbieco.
“Mi aiuteresti per quel compito? Per favore, è importante” supplicò la bambina, mostrando al padre un blocco su cui erano segnate alcune note a matita. Vegeta tornò ad osservare oltre il vetro, assorto in qualche pensiero. “Te l’ho già detto Bra, io non ho ricordi di mio padre” replicò secco, mentre il suo volto si contrasse in una strana ed indecifrabile smorfia.
Bra osservò le spalle dell’uomo per alcuni secondi, domandandosi sulla veridicità delle sue parole. Qualcosa sembrava non convincerla completamente.
“Eccomi! Scusa per il ritardo papà!” Esordì il giovane Trunks, facendo capolino nel salotto con aria trasandata, costringendo i due occupanti a voltarsi verso di lui.
Il ragazzo sorrise al padre, cercando di non innervosirlo più di quanto non fosse già, “Ho avuto un contrattempo, ma ora sono pronto” si giustificò, prima che il genitore potesse dire nulla.
Bra osservò il fratello, riconoscendo l’abbigliamento che usava, raramente, per allenarsi. Anche Vegeta si limitò a squadrarlo in silenzio per pochi secondi, prima di incamminarsi verso l’uscita della stanza. Superò il figlio con passo spedito, “Datti una mossa, Trunks, mi sono stufato di aspettarti!” Si premurò di dire, con la sua consueta cordialità, prima di sparire per i corridoi della grande casa. “Arrivo subito” gli urlò dietro il giovane Saiyan, compiendo un solo passo all’inseguimento del padre.
“Trunks” lo richiamò la sorellina, anticipando la sua eventuale sparizione verso la Gravity Room. Lui si voltò a guardarla, in attesa di conoscere i pensieri della bambina. “Stai andando ad allenarti con papà?” gli domandò per un’ulteriore conferma. E il maggiore non poté fare a meno di sorridere, assumendo l’espressione di chi, tornato bambino, stava per intraprendere un nuovo ed entusiasmante gioco.

La punta della matita sfiorò il foglio scritto a metà con titubanza, per alcuni secondi, poi tornò ad allontanarsi. Bra ripeté l’operazione diverse volte, alla ricerca di pensieri che potessero essere archiviati tra i suoi appunti.
Sfortunatamente, la bambina, non riuscì a venire a capo delle sue perplessità, restando a fissare con sguardo spento gli scarabocchi con la quale aveva riempito il foglio. Sospirò, avendo completamente perso ogni idea.
“Ahhh, che fatica!” Debuttò il fratello maggiore della ragazzina, lasciandosi cadere pesantemente sul divano. La piccola alzò lo sguardo su di lui per diversi istanti, osservandolo mentre si stiracchiava allo scopo di rilassare i muscoli tesi. Trunks, cambiatosi d’abito e con i capelli ancora bagnati da una lunga doccia, rivolse lo sguardo alla sorella sorridendole dolcemente. “Non mi ricordavo che un allenamento con papà fosse così impegnativo” ammise pochi istanti più tardi, intrecciando le mani dietro il capo.
“Se è così pesante perché non ci rinunci definitivamente?” Gli domandò incuriosita la ragazzina, abbandonando la matita sul pezzo di carta ed avvicinandosi al divano occupato interamente dal fratello. Trunks le sorrise, “E’ semplice, piccola. Per passare un po’ di tempo con papà” spiegò il giovane guerriero, regalando alla più piccola un occhiolino complice.
Bra sembrò non comprendere appieno, assumendo uno sguardo dubbioso ed arcuando un sopracciglio. “Continuo a non capire. Se vuoi passare del tempo con papà, allora perché non ti alleni più regolarmente come vorrebbe lui?” Si informò, intersecando le braccia al petto.
Il ragazzo le sorrise nuovamente, issandosi in posizione seduta. Afferrò delicatamente la ragazzina per i fianchi costringendola a sua volta ad accomodarsi sul divano. “Ora ho altri interessi, ma non per questo rinuncio a stare con papà qualche ora in più” chiarì, dando alla sorella un buffetto sul naso.
Bra osservò attentamente il fratello maggiore, prima che i suoi occhi scivolassero sul foglio poggiato sul tavolino da caffè al centro della stanza. “Deve essere molto triste” mormorò, giunta alla conclusione di un ragionamento rilegato nella sua mente. “Che cosa?” Le chiese incuriosito Trunks, inarcando un sopracciglio piuttosto perplesso.
La bambina intrecciò le manine, poggiandole sulle ginocchia, mentre i suoi occhioni azzurri si fissarono su di esse, “Ho chiesto a papà di raccontarmi un ricordo del nonno, ma lui dice che non ne ha nessuno” spiegò, ottenendo l’assoluta concentrazione da parte del suo interlocutore. “Non ricordarsi della mamma e del papà mi sembra molto triste” specificò, facendo assumere al suo faccino un’incrinatura triste.
Trunks osservò la piccola per diversi secondi. In quel frangete non gli fu affatto difficile immaginarsi senza un padre. Per qualche strana e recondita ragione, l’idea di non aver mai avuto un genitore gli sembrò del tutto naturale. L’idea, tuttavia, lo fece rabbrividire, pensando a quanto preziose fossero in realtà le cose che si ricordava del burbero Principe dei Saiyan.
“Credo che neanche la mamma sappia molto del suo passato. Però, una volta mi ha detto che i nonni sono morti quando papà era ancora molto piccolo. Forse è per questo che non si ricorda nulla. Secondo me non sta mentendo” ipotizzò, passando una mano sulla testa dai capelli celesti della sorellina.
Bra annuì debolmente, evidentemente immersa in altri pensieri. Ancora una volta il suo sguardo venne catturato dal suo compito abbandonato a qualche metro di distanza. “Povero papà” si lasciò sfuggire, genuinamente dispiaciuta.
A distoglierla dalle sue inquietudini ci pensò la gioiosa risata del fratellone, “Non preoccuparti Bra. Scommetto che papà nemmeno ci pensa” provò a rincuorarla, “E poi scommetto che noi gli stiamo più simpatici” scherzò in seguito.
Quelle parole sembrarono seriamente alleggerire i pensieri della ragazzina, che sorrise incrociando lo sguardo del fratello, “Forse hai ragione” acconsentì. “Certo che ho ragione” ribadì il maggiore, in un atteggiamento inconsciamente materno. La tensione si sciolse in una risata da parte di entrambi. Tuttavia, Bra fu la prima a tornare seria per un istante. “Trunks, tu hai un ricordo particolare di papà?” gli domandò incuriosita.
E il fratello, per tutta risposta, le sorrise. Lui non aveva bisogno di frugare tra le sue memorie. La sua mente si era già trasferita in una distesa montuosa, riuscendo ancora a percepire quella mano poggiata sulla sua spalla. In un ricordo che sembrava immortale nella sua memoria.

***




Un ricordo reale

Non ne aveva motivo, in realtà, ma per un moto più che istintivo si avvicinò a lui, alla ricerca di un calore di cui non aveva bisogno, ma che desiderava ad ogni costo. Gli poggiò un orecchio sul torace, ascoltando la sua respirazione regolare, così com’era ormai abituata a fare.
In quei momenti si lasciava trasportare in una dolce apatia, che aveva la capacità di cullarla dolcemente, fino ad accompagnarla armoniosamente nel mondo dei sogni. In quelle occasioni amava prestare attenzione ai battiti del cuore di lui, poggiando il proprio orecchio sul torace nudo dell’uomo.
Socchiuse gli occhi dolcemente, accostandosi di più al Saiyan, lo cinse con le sue braccia sottili e minute, che a confronto con quelle forti e muscolose di lui parevano diventare quasi insignificanti. In quei momenti però, lui le permetteva di essere più forte, lasciandosi stringere da quell’abbraccio in apparenza quasi timido.
Ed era questo il suo modo di stringerla a sé, lui che si limitava ad intrecciare le mani dietro la nuca, osservando il soffitto con quello sguardo che non mutava mai, neanche in quegli attimi. Lui, l’amante freddo, aveva il potere di riscaldarla anche solo così, permettendole di riscaldarsi con il calore del proprio corpo.
“Mi chiedevo...” Cominciò a parlare Bulma con voce placida e serena, attirando su di sé gli occhi scuri dell’uomo, “... davvero non hai nessun ricordo dei tuoi genitori?” Attaccò il discorso, parlando ad occhi chiusi. Vegeta tornò a fissare il soffitto, immerso in misteriosi pensieri, “Sì” le rispose monosillabico.
Il leggero incremento del suo battito cardiaco non sfuggì alla donna, che seppur rilassata riusciva a comprendere ed interpretare ogni minimo gesto del consorte. Il minuto abbondante di silenzio che seguì fu proprio causato da una sorta di chiarimento mentale della terrestre. In condizioni normali le sue conclusioni sarebbero giunte in un battito di ciglio, ma qui, in questa situazione, nemmeno lei aveva troppa voglia di riflettere.
Infine, giunta con lentezza a determinati esiti, alzò lo sguardo, senza staccare il capo dai pettorale dell’uomo. E quel gesto bastò al Saiyan per tornare a guardarla negli occhi, fissandosi in quelle iridi azzurre che come sempre riuscivano a leggere tra i suoi pensieri.
“E’ un vero peccato, che tu non ne voglia parlare” decretò dopo alcuni istanti. Vegeta la osservò distrattamente; stupendosi, ancora una volta, di quanto fosse intuitiva. Sul viso di Bulma, nel frattempo, si accese un piccolo sorriso, avendo compreso ogni suo singolo pensiero ed osservando un leggero stupore negli occhi profondi del Principe. Poi distolse lo sguardo, tornando a chiudere le palpebre, concentrandosi sul respiro carezzevole del compagno. E dal suo profumo, che a Bulma ricordava tanto quello del metallo. “Io ti conosco come padre, ma ammetto che mi sarebbe piaciuto scoprire che tipo di figlio eri” aggiunse in un secondo momento, sussurrando con voce sottile.
Vegeta le poggiò con delicatezza due dita sul mento, costringendola a fissarlo negli occhi, “Imparerai mai a farti gli affari tuoi?” Brontolò senza però risultare troppo scontroso. Bulma gli sorrise con aria furbetta, conscia della sua piccola vittoria, “No” decretò, facendo scivolare lentamente le sue dita dietro la nuca dell’uomo.
Le loro labbra, infine, si intrecciarono in un bacio delicato ed appassionato.

Il corpo senza vita del soldato si accasciò al suolo, sbattendo pesantemente sul pavimento metallico della stanza usata per gli allenamenti. Il cadavere emanava un pungente olezzo di bruciato, causato dal colpo che, senza pietà, lo aveva ucciso.
Dall’altro lato della stanza, un giovane Principe Vegeta, lo osservava con uno sguardo di ghiaccio, senza nessuna remora per quanto aveva appena fatto. La sua mano, infatti, era ancora tesa dinnanzi a lui, ragione principale della morte di una sventurata terza classe. Al suo fianco, il tutore, osservava con notevole sorpresa ciò che era rimasto del suddito che aveva avuto la sfortuna di varcare la soglia di quella stanza metallica, al solo scopo di dilettare il giovane Principe. Nappa non riusciva proprio ad abituarsi agli enormi progressi che, quel bambino dallo sguardo glaciale, compiva ogni volta che si allenava. Non per nulla era il futuro Re.
“Nappa” esordì con voce apatica il ragazzino, facendo scattare l’altro Saiyan sull’attenti, “Sì, Principe Vegeta?” Gli domandò quasi tremando, nonostante la sua mole fosse dieci volte più grande di quella del bimbetto. “La prossima volta che mi porterai degli insetti del genere per i miei allenamenti sarai tu stesso a farmi da avversario” ordinò senza neanche rivolgergli l’attenzione, lasciando lentamente scivolare il braccio lungo il fianco. Nappa deglutì sonoramente, annuendo appena gli occhi assassini del Principe si posarono nefasti su di lui, “Sarà fatto! D’ora in avanti useremo dei Saibaiman” dichiarò senza dubbio spaventato. Lo sguardo di Vegeta sembrò rilassarsi appena.
“Se hai tanto da lamentarti, allora combatti contro di me, Vegeta”esordì una voce conosciuta ad entrambi i Saiyan. “Padre”esclamò il giovane Principe, osservano la figura del genitore fare il suo ingresso all’interno della stanza. “Re Vegeta!” Affermò quasi in contemporanea il colosso, esibendosi in un inchino.
“Dimostrami cos’hai imparato durante il tuo addestramento, figliolo, voglio sapere se sei davvero degno di essere il Principe dei Saiyan” lo esortò il nuovo venuto, portandosi al centro della stanza e facendo cenno al figlio di attaccarlo. Vegeta scrutò il padre con un’espressione piuttosto titubante. Tale sguardo non sfuggì al Re, “Coraggio Vegeta, non avrai paura per caso? Se riuscirai a colpirmi in viso ti permetterò di conquistare da solo il tuo primo Pianeta” lo spronò, intersecando le braccia al petto.
Il Principino sembrò silenziosamente acconsentire alla proposta, assumendo una posa d’attacco. “Sarà uno scherzo, padre” dichiarò indubbiamente sicuro delle proprie capacità. “Non esserne così certo” lo sfidò dunque il padre, imitando il figlio ed assumendo una posa di difesa.
L’attacco di Vegeta partì in quello stesso istante, talmente veloce da non lasciare il tempo allo spettatore di osservare chiaramente le sue mosse. Una serie di calci e pugni seguirono in una frazione di secondo. E mentre il Re si apprestare a difendere con tutte le sue forze, il piccolo Saiyan avanzava con calci e pugni sempre più serrati e pericolosi. Infine, il sovrano, cadde al suolo colpito in pieno volto da un calcio sferratogli dal figlio che, per tutta risposta, poggiò i piedi a terra con eleganza. Il tutto sotto gli occhi sbalorditi dell’altro Saiyan.
Dalla sua respirazione sembrava quasi che non si fosse nemmeno mosso, al contrario del padre, che affannato aveva già il fiatone.
Re Vegeta si pulì un rivolo di sangue che fuoriuscì da un labbro rotto. Con occhi increduli osservò il figlio. Non c’erano dubbi, quel ragazzino era un vero genio nel combattimento, un giorno si sarebbe senz'altro trasformato nel leggendario Super Saiyan.
“Ottimo lavoro, figliolo, ma adesso farò sul serio” annunciò il sovrano, issandosi in piedi e tornando ad assumere una posizione di difesa. E Vegeta si limitò ad osservare il padre con quell’immancabile sguardo impassibile, come se l’idea non lo preoccupasse minimamente. Tuttavia, quella strana increspatura con cui si piegarono le sue labbra, appena un secondo dopo, poteva quasi definirsi un sorriso.




FINE


 
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