Amore "platonico", [22/02/09]Aslinn VS PuCChyko_GiRl

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Aslinn
view post Posted on 7/3/2009, 18:54




Rating: 18 anni.
Tipologia: Long Fiction.
Lunghezza: 6235 parole(compresi i titoli), circa 9 pagine e mezzo, 5 capitoli più un prologo e un epilogo.
Avvertimenti: Character Death, Angst(solo un pochino), Lemon(anche questo solo un pochino), Slash, Non per stomaci delicati, Linguaggio Colorito
Genere: Romantico, Drammatico.
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits:Lo devo dire che il mito degli androgini non l’ho inventato io ma Platone? Tanto l’ho detto^_^
Note dell'Autore: Le parti in corsivo sono flashback al presente, che però riguardano il passato. I nomi che le introducono, in grassetto, indicano il punto di vista.
Che altro dire…spero vi piaccia! Sinceramente, ne sono soddisfatta^^
Introduzione alla Storia: Ognuno ha una metà perfetta e aspira ad unirsi ad essa com’era in principio.

AMORE “PLATONICO”



PROLOGO: UNA SERA
Un pub come tanti altri, una sera nebulosa come tutte a Londra, la musica punk in un angolo.
Un turbinio di voci e odori e corpi che sprizzano sudore scontrandosi in una danza selvaggia.
Due amici che non saranno mai più tali, tre birre di troppo e uno sgabuzzino che puzza di piscio.
E’ iniziata così la nostra storia, una sera qualunque. Nulla di particolare aveva sconvolto gli astri, ogni cosa era uguale a se stesse, ma dentro di noi qualcosa è rinato. Ringrazio ogni momento le coincidenze di quella notte, anche ora che la nostra vita è cambiata in un modo che non potevamo prevedere.
Malgrado prima di entrare in quello stanzino, non avrei mai creduto a quello che successe, adesso non potrei immaginare un corso diverso degli eventi.


PARTE I: ANDREW E DANIEL


DAVID


Gli androgini: sfere perfette, unite nell’amore, piene di bellezza, senza bisogno di cercare altro;
felici come solo gli esseri finiti possono essere.
Erano due e uno insieme.
Uniti e indivisibili.
Ubriachi dell’amore per se stessi furono divisi.

David ama questo mito, e vi vede la realizzazione di un sogno. Lo struggente senso di ricerca e vuoto può finalmente trovare soluzione. Purtroppo per David non è semplice, soprattutto perché la sua metà perfetta è un lui, un lui che non trova, un lui che è timoroso. Ma cosa dice che due persone dello stesso sesso non possano combaciare? Il primo ragazzo non collima, e l’unione fisica è breve e subito dopo subentra la mancanza. No, ci vuole di più.

Ai tempi in cui la scrittura non era necessaria,
molti popoli mangiavano i corpi dei nemici e dei parenti defunti.
Erano convinti che una parte dell’anima rimanesse nel corpo, soprattutto nel cuore,
sede della coscienza.
Così, cibandosi delle carni di chi non era più in vita, potevano acquisirne
la forza e l’anima.


David ama anche questa leggenda.
Perché non unire le due cose? Sfera perfetta e altari insanguinati.



Aprii gli occhi alla luce del sole e mi ritrovai a trattenere il respiro. Lo rilasciai solo quando, girandomi nel letto, incontrai la linea incavata della sua schiena. Daniel. Gli carezzai la pelle liscia e velata da un sottile strato di sudore. La sua immobilità nel sonno mi sconcertava sempre, quasi non fosse reale ma solo una proiezione della mia mente. Mi avvicinarmi a lui assaporandone il profumo. Lo sentivo sul cuscino, sulla sua pelle, tra le lenzuola. Profumo di campi al sole, e di mare. Mi veniva da ridere nel ripensare alle nostre liti prima di quella sera di un anno e mezzo prima, quando c’eravamo scambiati i primi baci instabili. L’unico modo per respingere l’attrazione reciproca era opporre una forza altrettanto forte: l’odio. Quante volte c’eravamo azzuffati? Ci urlavamo cose orrende, ed io tornavo sempre a casa con la sensazione di qualcosa lasciato in sospeso.
E adesso eravamo stesi nello stesso letto, ed io osservavo il suo corpo, per me perfetto, riscuotersi piano dal torpore. Fisicamente ero più grande di lui, solo poco più alto ma con una massa muscolare più consistente, malgrado fossi nella media. In realtà, era lui troppo magro.
Sentii i suoi jeans strusciare contro la pelle delle mie gambe. Sì, perché io dormivo in boxer, ma Daniel si rifiutava di farlo. Come diceva lui, se si fosse coricato in boxer, non si sarebbe limitato a dormire. Si stava svegliando. Gli lasciai lo spazio per il solito sbadiglio a braccia stese.
Finalmente si voltò, per regalarmi il suo sguardo azzurro.
“Buongiorno Andrew”mi disse.
Gli risposi con un bacio. Le labbra erano asciutte, come se avessero atteso tutta la notte le mie.
Da esse scesi al collo, assaporando il gusto di sale della sua pelle. Gli passai una mano sul ventre, sentendo che si contraeva. Scesi più giù, fino al cavallo dei pantaloni, ma lui mi bloccò il polso.
“Se continuiamo così, farò tardi”disse, alzandosi e cercando le sue scarpe.
Con un gomito appoggiato al materasso, lo guardai inforcare i calzini e poi le ritrovate calzature.
“Ma perché devi essere sempre così puntuale?”
Indossò una maglietta e si chinò a baciarmi le labbra.
“Preferiresti un ragazzo ritardatario?”
“Beh, in qualcosa stai ritardando.”
Mi sarei subito dovuto pentire di quella scoccata, ma non ero tipo da provare sensi di colpa. Ovviamente, sapeva che mi riferivo alle sue reticenze nel fare l’amore. Lui mi guardò un attimo, poi si voltò e uscì.
Mi buttai indietro sul copriletto.
Dopo quella sera in cui tutto era cambiato, c’eravamo separati. Privo di vincoli familiari, maggiorenne da qualche mese, ero partito verso Manchester, dove avevo indagato la mia riscoperta sessualità, e l’avevo accettata. L’anno seguente, ero tornato a Londra. Avevo ritrovato Daniel chiuso nel suo mondo perfetto, intento a frequentare l’ultimo anno di liceo. Non aveva fatto altro che riflettere su quello che era accaduto, mi aveva detto. Scoprii che, se io avevo pensato a Daniel ogni notte, lui aveva fatto altrettanto. Decidemmo così di vivere la nostra relazione clandestina.

Nonostante tutto, ero felice. Daniel non voleva parlare agli amici e ai genitori di noi, ed io da parte mia non avevo nessuno così intimo da accettare le mie confessioni. Mi veniva a trovare ogni volta che poteva, il che, tra famiglia, scuola e fama di sciupa femmine da sostenere, costituiva un tempo ristretto.
Qualche divinità gli aveva donato una bellezza eterea. Attraeva forse poche persone, ma quelle uniche rimanevano inevitabilmente nella sua orbita mentre lui, indifferente magnete, sapeva tenerti avvinghiato senza far nulla. Era magro, fragile, gli occhi azzurri perennemente tormentati, i capelli castani con riflessi color miele, pallido come ogni buon londinese. Le sopracciglia sottili formavano archi pensierosi o di aperto stupore. Questa era una delle cose che più mi attraeva: la completa leggibilità del suo volto, che lasciava trasparire ogni emozione. Per non parlare della linea del suo viso, così tenera e fanciullesca. Ciò mi ricordava la differenza di esperienze tra noi.
Infatti, ormai la verginità per me era un ricordo di pudicizia ben celata, ma per lui era ancora un dono prezioso. Non mi aveva mai concesso una notte, ma solo carezze e baci. Attendevo paziente, malgrado ogni volta, quando i suoi sospiri di piacere si fermavano tra le lenzuola e lui si addormentava, rimanevo sveglio a struggermi osservando la sua pelle nuda.
Si era concesso solo a ragazze, fin ora, e intuivo che per lui fosse un grosso passo fare l’amore con un ragazzo.
Ma per lui avrei fatto qualunque cosa: se mi avesse chiesto di non fare mai più sesso con la promessa di rimanermi vicino, mi sarei saziato dei suoi baci; se mi avesse pregato di bruciare nella lava tenendolo tra le braccia, mi sarei cosparso di benzina. Forse ero folle, ma la cosa non m’importava affatto. Finché c’erano i suoi sorrisi, le sue labbra, i suoi occhi, nient’altro per me aveva senso.

Era il mio ventesimo compleanno.
Io e Daniel eravamo sul divanetto del mio appartamento.
Lui stava cavalcioni su di me, e le nostre bocche erano incollate come inevitabilmente attratte in un lungo bacio. Mi posò le palme delle mani sul torace per respingermi dolcemente. Mi accarezzò i capelli con una mano e insinuò l’latra nella camicia, prendendo a giocare con un mio capezzolo. Capii dal suo sguardo che si trovava in uno di quei momenti in cui il peso dei pensieri era troppo grande per rimanere inespresso.
“Credi nel destino?”mi chiese.
“Lo sai che non credo in nulla, se non nel nostro amore”risposi, posando le mani sui suoi fianchi.
“Conti solo su quello che puoi vedere, sentire, provare, ma a me non basta. In fondo, come potei non pensare che il destino esista davvero?”
Sembrava stesse ragionando ad alta voce, mentre con le dita cominciava a torturarmi l’orecchio.
“Pensaci, Andrew. Quella sera, se non ci fossimo ubriacati ognuno per i propri motivi, se i nostri amici non ci avessero lasciati soli per rimorchiare qualche ragazza, se non avessimo trovato quello sgabuzzino aperto, ora non saremmo qui.”
Le mie mani scivolarono sul suo sedere, mentre lui annunciava ciò che entrambi avevamo sempre saputo.
“Io non sarei qui…”affermai.
“Che cosa intendi dire?”
“Lo sai, Dani. Sarei rinchiuso in qualche università, appesantito dai vincoli sociali, frustrato e depresso, pronto a donare il mio affare alla prima ragazza capace di respirare, come ho sempre fatto.”
“Già, ora è meglio: lo dai solo al primo ragazzo con un sedere.”
“No, non più.”
“Vuoi farmi credere che tu non…”
“No, da qualche mese. Adesso l’unico che desidero sei tu.”
Lo attirai a me e lo baciai, ma lui aveva ancora i suoi dubbi da placare.
“Forse il vero destino non esiste, non come assoluto”continuò testardo. “Possiamo scegliere la nostra strada. Ad esempio, quella sera avrei potuto non bere alcolici e non finire a farmi risucchiare il fiato da te. Potevamo rimanere entrambi sobri, o magari non esserci mai conosciuti prima, ma scoprire di amarci solo settimane dopo. Poteva capitare in mille altri modi, no? Ma era destino che, alla fine, qualunque fossero state le circostanze, ci amassimo. Ecco, ho deciso cos’è il destino: è solo l’ultima fermata, ma possiamo decidere quale mezzo prendere per arrivarci e come goderci il viaggio.”
Sì, quella conclusione piaceva anche a me. Rimasi immobile a fissarlo mentre il suo sguardo si illuminava di sicurezza. Riusciva sempre a sorprendermi.
“Io ho scelto come arrivare all’ultima fermata”dichiarai.
“Davvero? Come?”
Mi sporsi e lo baciai con forza, senza permettergli di replicare, mordendogli il labbro inferiore come fosse l’ultima ancora in un mare arido. Era così che volevo giungere ovunque il destino volesse portarmi: incollato alle sue labbra, al suo corpo, al suo cuore. Avrei voluto trattenerlo lì per sempre, contro la furia del tempo che lo trascinava via verso una vita che mi escludeva e ignorava. Mi sbottonò la camicia, ed io gli sfilai la maglia, insistendo con le mani sui suoi fianchi snelli. Affondai le dita nella sua schiena, mentre lui si muoveva lentamente, in modo ipnotico. Sentivo la pressione tra le sue gambe e il suo desiderio. E ancora avvertii la carne cedere sotto le mie mani, e le sue riscaldarmi ogni fibra del corpo. Non era un calore associabile a quello solare o di un fuoco, no, era molto più intenso e indescrivibile: un misto di sofferenza e piacere, che cercavano il loro ideale punto d’equilibrio. Sentivo quel dolore e quella spinta, e desideravo solo che fosse lui a compensarli con quel piacevole senso di appagamento che solo il suo amore poteva donarmi.
Sì, era questo il nostro destino: amarci. Ma ancora non era finita, perché quella non era l’ultima fermata. Lì ci saremmo potuti arrivare in qualunque modo. Eppure, per imprudenza e sfortuna, senza volerlo, avremmo preso la strada più tortuosa.

PARTE II: RITORNO D’INCUBO

DAVID


David ha le mani tremanti, ma sa che deve andare avanti. Il sangue scorre in modo fascinoso e si sente quasi in colpa per provarne attrazione. Ma è anche convinto che non deve struggersi, perché lui non sta commettendo alcun peccato, giusto? Lo amava, adorava quello sguardo nero e ironico, le mani grandi con le dita affusolate, l’eleganza naturale, l’arroganza del sorriso, i capelli un po’ lunghi, neri e lisci. L’altare è pronto. L’incenso brucia e il suo odore lo stordisce. Il corpo nudo è ancora caldo ma addormentato da una buona dose di sonniferi, che David ha rubato al patrigno. Prende la lama e inizia il rito. Fortuna che il ragazzo è legato, perché quando incide il petto, si risveglia.
“Dormi, amor mio. Presto saremo una cosa sola.”
Dopo avrebbe pianto, e le lacrime si sarebbero mischiate al sangue del suo amato. Si sarebbe sentito come prima, anzi più vuoto.
Ha sbagliato qualcosa, si sarebbe ripetuto.
Il primo tentativo è fallito.



A notte fonda, mi svegliai di soprassalto. Ansimavo senza controllo, sollevato da dita invisibili che mi ghiacciavano la pelle. La stanza era un lago nero, come se il buio fosse una sostanza liquida, ed io la sentissi entrare nel petto e impigliarsi in esso. Un fango malefico, ecco cosa respiravo. I polmoni non riuscivano a districarsene. Mi alzai e corsi verso la finestra: la luna, una luce pallida sul vetro. Avvertivo sensazioni irreali.
Acqua che batteva. Spalancai le imposte: non pioveva.
Gocce sulla mia testa. Toccai i capelli: erano asciutti.
Un respiro assordante alle mie spalle. Mi voltai: Daniel dormiva.
C’era ghiaccio nelle ossa, e non riuscivo a muovermi. Poi accadde qualcosa: l’aria divenne un arazzo terribile di fiamme e vento nero che le sferzava. Vidi un volto bianco aleggiare nell’etere e quasi urlai. Mani ossute come rami d’incubo mi afferrarono ogni centimetro di pelle per lacerarmi. Poi cadde il buio assoluto e sentii un dolore che scemava sempre più. Un urlo di bestia ferita, instabile e tremendo, si impose nell’aria. No, erano sirene. Aprii gli occhi: ancora il buio. Voci.
“Non si preoccupi…lo porteremo…”
Sirene.
“Vengo con…”
Metallo che struscia su metallo.
“Tranquillo…bene…”
Un colpo secco di ferro che si schianta.
La sua voce mi giunse come se fossi in apnea. Ma non c’erano dubbi, era lui: Daniel.

Il ricordo di un pianto aprì un varco nella mia mente, una voragine nel cuore: tre notti particolari, un corridoio buio, un ragazzo che piangeva con le spalle al muro e il sangue che scorreva in una delle camere.

Daniel mi stava vicino e, in un primo momento, riuscii a vedere solo lui. Aveva gli occhi rossi, come se avesse pianto. Mi spiegò che mi aveva trovato riverso a terra e l’ambulanza mi aveva portato in ospedale. Disse che avevo avuto un attacco epilettico, con conseguenti allucinazioni.
Dopo una notte in osservazione, mi lasciarono tornare al mio appartamento. Non ero certo di ciò che mi fosse accaduto, ma non mi torturai al pensiero. Daniel, invece, era ansioso.
“E se succedesse di nuovo?”mi chiese mentre mi cambiavo.
Mezzo nudo, mi voltai e gli accarezzai il collo. Mi sporsi per baciarglielo, dandogli un piccolo morso.
“Succhierò da te la vita, così potremmo essere finalmente una cosa sola.”
Mi chiesi perché pronunciare queste parole mi desse uno strano brivido.
“Chi ti dice che io voglia vivere nel tuo corpo?”mi chiese.
“Tu lo ami.”
“E tu non desideri il mio?”
“Sì, ma ti amo troppo per lasciare che tu soffra senza il mio bell’aspetto.”
“Sei un ricattatore.”
Anche lui perdeva la sua normale razionalità quando l’istinto diventava più forte. Si lasciò baciare e mordere, ed io permisi che quegli attimi s’imprimessero nella mia mente.
I suoi sospiri, conservali. Il suo tocco tremante d’eccitazione, conservalo. Queste labbra calde, conservale.
Mi ripetevo questa cantilena, stranamente conscio che la fine fosse qualcosa di concreto, non solo una favola per spaventare creduloni e bambini.


PARTE III: FERITE
Quando scese la notte, rimasi solo.
Improvvisamente mi svegliai, o forse non avevo preso sonno. Sentivo una presenza, non meno concreta di quella di Daniel sotto le mie dita. Tentai di alzarmi, ma ero come inchiodato al materasso. Mi guardai i polsi: erano legati alla testiera del letto. Mi facevano male e sentivo il velo di sudore attecchire sulle membra fredde. La sospensione era troppa.
Immagini che la mente voleva scacciare riaffiorarono dalla massa informe dell’oblio.

ANDREW


Il corridoio è umido, e tu ascolti i rumori sommessi provenienti dalle altre stanze. Oltre una porta senti il cigolio ritmico di un materasso e i gemiti che a esso si accordano. Vai avanti. Ti volti, chiedendoti se ti stia seguendo. Eri sul punto di sentire fuoriuscire il tuo desiderio come lava, ma la porta si è spalancata. Da come lui ha fissato te sopra quel ragazzo, hai capito che dovevi fermarti. Tutto, poi, è avvenuto con velocità…troppa.
Devi allontanarti il più possibile, ma questo posto è un labirinto e tu non hai un cazzo di filo rosso.
Un pianto gela l’aria. Possibile che lo senti solo tu? Un singhiozzare convulso, così secco e imprevedibile. Ti ricorda un animale che muore, come un cavallo che stramazza a terra con il collo proteso e le narici allargate, gli occhi fuori dalle orbite e i denti digrignati. Come può un essere tanto piccolo e fragile soffrire così?


Perché lo ricordavo proprio ora? No! Dovevo ricacciare via quelle immagini. Dovevo dimenticare. Sì, l’oblio è la pena e il dono migliore. Dovevo annegare in buoni ricordi. Ripensai alle mani di Daniel, ma sentii quel ricordo annientarmi, con la forza della sua dolcezza. Non volevo contaminarlo con il peso che stanziava da qualche tempo sulla mia anima.
Mi dibattei, ma non potevo liberarmi dai lacci sempre più stretti che mi avvinghiavano i polsi. Rimasi per tutta la notte a fissare il soffitto nero, che sembrava incombere su di me. Ed era come un ammonimento, simile allo sguardo severo di un padre…no, era il volto stesso della morte. Scorsi con chiarezza ogni amore e passione della mia vita, sorvolando sulla macchia nebulosa di quei ricordi che volevano tornare. Vidi gli affanni e le cure, gli amori e gli odi. E in un istante avvertii il buio più totale che aleggiava sulla mia testa penetrarmi. Cosa ne sarebbe stato alla fine della mia esistenza? Allora la vita era questo? Un’ombra indistinta prima della morte, che era la dissoluzione finale. Vanitas vantatis. Provai un terrore puro e inspiegabile, che come un parassita si attaccò alla nuca e mi scese vertebra dopo vertebra in tutto il corpo. Restai immobile per diverse ore, stupendomi di come il soffitto non si andasse schiarendo. Nessuna luce colorava la stanza.
E ancora fui urtato dall’ululato di una tremenda bestia: sirene.

“Ora non scherzi più?”mi chiese Daniel quando rientrammo nell’appartamento.
“Non farla così tragica, Daniel!”
“Sei tu che sottovaluti la situazione. E stavolta non svierai il discorso buttandola sullo scherzo!”
“Due attacchi non sono nulla, sono ancora vivo e sano”risposi.
“Sano? Su questo avrei dei dubbi…”
“Vedi qualcosa di malato in questo splendido corpo?”
“No, ma in quella bella testolina ci vedo un gomitolo di pazzia.”
“Beh, forse dovresti ospitarmi a casa tua, per tenermi sott’occhio.”
“Certo, e magari chiedo ai miei di farci dormire nel loro letto.”
Sorrisi tra me e me.
“Se non cede, allora sì. Sai, posso essere molto irruento.”
Ero riuscito ancora una volta a farlo desistere, portandolo a quell’imbarazzo che gli colorava le guance in modo irresistibilmente tenero.
Abbassò gli occhi per portarli chissà dove, lontani da me. Ora avevo bisogno di provocarlo solo per vederlo arrossire, di sentirmi rimproverare, di avere su di me quello sguardo da cucciolo. Il terrore e la crisi di quella notte, che ora sapevo non essere mai esistita ma terribile frutto dell’epilessia, erano solo una traccia nel mio animo. O almeno un riflesso troppo opaco perché soppiantasse l’amore che mi saturava. Lo abbracciai, senza dire nulla, e lo strinsi forte. Non volevo lasciarlo andare, non doveva allontanarsi da me, non ora. Sentire il suo corpo esile ma duro contro di me, avvertire le braccia lunghe che mi cingevano, bere il suo profumo con il mio volto che rientrava benissimo nell’incavo del suo collo…non volevo altro. E tutto, almeno per pochi attimi, mi parve semplice. Ero fortunato, mi dissi, perché potevo amare una simile, meravigliosa creatura, che ricambiava il mio sentimento rendendomi ubriaco di felicità.
“Che ne dici se cenassimo insieme?”mi chiese.
Lo scostai guardandolo dubbioso: da dove veniva quell’intraprendenza?
“Chiamo i miei e dico che mi fermo da un amico?”
“E dirai loro che il tuo amico ora ha un desiderio incredibile di scoparti?”
“Come sei romantico…”
“Sì, lo so. Allora esco un attimo.”
“Cosa vuoi portarmi?”
“E’ una sorpresa.”

Forse il cibo cinese non era il massimo del romanticismo, ma Daniel era sempre stato reticente a provarlo. Eppure, forse a causa delle recenti esperienze, qualcosa stava cambiando. Forse, mi dissi, la serata sarebbe andata a finire diversamente dal solito. Avrebbe provato il cibo cinese, e magari dopo anche qualcos’altro.
Con la busta al braccio, entrai nell’appartamento.
“Consegna a domicilio! Il facchino sexy vorrebbe una mancia!”
Non era in cucina: meglio, magari voleva cenare a letto. Entrai pieno di trepidazione nella camera. La busta mi cadde a terra.
Tutto mi sarei atteso, tranne questo.
Daniel era in boxer, steso sul letto e immobilizzato da nastri neri ai polsi e alle caviglie. Sarebbe stato anche eccitante, se non fosse per questi particolari: una benda intrisa di saliva gli impediva di parlare, sul petto spiccavano due tagli a formare una x, insieme a molti altri lacrimanti sangue, e i capelli erano sparsi sul materasso, completamente rasati via dalla testa. Lacrime di rabbia e disperazione gli bagnavano il volto pallido, mentre mugugnava incomprensibilmente. Corsi da lui e lo liberai delicatamente, con il timore di fargli male.
“Cosa è successo?”
“Lui è entrato e… parlava di fatti assurdi…”
“Calmati, amore.”
Mi sedetti accanto a lui e gli presi le mani.
Gli occhi azzurri erano vitrei e fissi sul nulla. Dondolava e farfugliava cose senza ordine né senso.
Lo portai in bagno e gli sfilai i boxer, facendolo entrare nella vasca. Si fece lavare senza opporre resistenza. Fu straziante per me vederlo così indifeso, ferito, scosso. Gli curai come meglio potevo i tagli, che tuttavia non erano profondi. Stavo per rivestirlo, quando ritornò lucido e la sua fierezza predominò. Continuò da solo.
“Allora, te la senti di raccontarmi cosa è successo?”
Mi rimproverò per il mio tono troppo tenero, quasi stessi parlando con un bambino. Dio, com’era orgoglioso!
“Eri appena uscito. Ho sentito un rumore nella stanza da letto. Lui mi ha aggredito e…non capisco quello che ha detto.”
Si trovava ancora in quello stato precario, nel quale la mente cerca un sostituto al buco creato dall’irrazionalità degli eventi. Dovevo insistere ora, prima che la ragione facesse effetto.
“Che vuoi dire? Cosa hai sentito? Dimmelo, ti prego.”
Alzò gli occhi su di me. La bocca era piegata in una strana smorfia.
“Lui diceva che il mio sangue aveva un buon odore, che…doveva essere buono…e che nessuno può impedire alla Sfera Perfetta di ricongiungersi.”

PARTE IV: TI RPOTEGGERO’


ANDREW


Ti è sembrato ridicolo quando ha cominciato a parlare di magia. Tu ti stavi spogliando nella stanza in penombra e lui ha insistito per accendere le candele. Era lugubre e stranamente affascinante la luce rossa che inondava il letto. Ti ha detto che il suo ex non credeva in ciò in cui lui ha piena fede. Anche tu le hai considerate sciocchezze. Ha parlato di anime gemelle, ma tu eri troppo eccitato per farci caso. Intanto lui continuava nel suo sproloquio e tu, alle prime armi, non stavi più nei pantaloni.
Ora guarda l’altare rosso innalzato per il suo amore caduto. Pensi ancora siano sciocchezze?


“Andrew! Mi ascolti?”
“Umm…?”Mi riscossi. “Non preoccuparti, era solo un pazzo.”
Io sapevo, non potevo ingannarmi. I segni che la lama aveva tracciato sul torace del mio amato erano familiari. L’unica altra volta in cui li avevo visti era stato su un cadavere.
Quindi, lui era tornato, e si divertiva a giocare con me: questa era l’unica spiegazione. Gli attacchi epilettici, la visione della morte, l’aggressione a Daniel…era stato lui. Ma come proteggere il mio amore da quest’incubo? Con l’illusione di poterlo lasciare immacolato da questa faccenda, lo pregai di rimanere con me per quella notte. Così avrei potuto proteggerlo.
Sapevo che, se non chiamava la polizia, era solo per custodire l’anonimato e l’orgoglio. Per una volta il silenzio che avvolgeva la nostra relazione mi era d’aiuto.
Sotto le coperte, lo strinsi a me. Lo sentii gemere per il dolore delle ferite, e allentai la presa. Abbandonò il capo al mio petto, e rimasi in ascolto del suo respiro. Non riusciva a dormire e lo comprendevo dai piccoli movimenti che compiva.
A ogni suono trattenevo il respiro, voltandomi a cercarne la causa. Non avevo mai provato la vera paura e quella notte ogni fibra del mio corpo la conobbe. Il terrore puro della fine imminente, non solo mia ma sua, dell’unica cosa che avesse peso. L’amore, quest’eterno gioco di attese, piaceri perduti e ritrovati, mi provocava gioia e timore. Infatti, se ero capace di provare la vera felicità per amore, ero altrettanto soggetto alla reale paura per esso.
Quando al mattino Daniel si svegliò, io mi riscossi semplicemente dal torpore dei sensi.
“Come stai?”gli chiesi.
Per un breve, dolcissimo attimo parve non ricordare lo spiacevole “incidente”. Poi gli occhi si oscurarono come spesso accadeva quando era sovrappensiero. Si portò una mano alla testa rapata e quasi gli venne da piangere. Lo abbracciai, aspirando il suo profumo come per risucchiarne il dolore.
“Vieni, ti sistemo” gli dissi.
Si fece condurre in bagno, dove presi il rasoio e lo feci sedere sul bordo della vasca. Ripulii la sua testa dalle tracce della rasatura rozza. Mi guardò con occhi colmi di sentimento, dopo tanto silenzio.
“Sono orrendo così, vero?”
Gli sorrisi, sperando di infondergli tutto l’amore che provavo per lui. Gli baciai il capo ispido.
“No, sei adorabile.”
Quanta gioia quando alzò il viso per baciarmi! Mi trattenne il volto tra le mani. Era vero: rimaneva bellissimo.
“Come lo spiegherai ai tuoi?”
“Le ferite le posso nascondere...per il resto, dirò che ero stufo dei capelli indisciplinati.”
Mi lasciò sulla soglia, dopo che gli ebbi dato un cappellino. Mi emozionava stranamente vedergli addosso un mio capo d’abbigliamento. La prossima volta me lo sarei fatto ridare, godendo del profumo di salsedine che sarebbe rimasto imprigionato nel tessuto.
Rimasto solo, mi resi conto che mi sentivo colpevole per quello che gli era accaduto. Forse avrei dovuto allontanarlo per salvarlo, ma cosa ci avrei ricavato? Lui avrebbe sofferto senza di me. Penserete che questa sia solo una scusa, perché l’amore è egoistica ricerca della bellezza, ma l’idea di rimanere solo per sempre era impensabile. Soffocare l’amore era assurdo.
Mi stesi sul letto e finalmente, senza la preoccupazione e la paura dell’amore fragile da proteggere, riuscii ad addormentarmi.

PARTE V: LA PROVA DEL NOSTRO AMORE

DAVID


David ha accettato di partecipare al festino, che dovrebbe durare tre giorni. Le regole sono piuttosto semplici: solo ragazzi, quindici camere e la possibilità di entrare in ognuna a tutte le ore. Quando un ragazzo entra in una stanza, l’altro deve accettare le sue voglie. L’avvertenza che la camera è occupata deve essere posta davanti alla porta, un cartellino come se fossero in un negozio.
Un amico glielo ha proposto, aggiungendo: “Non innamorarti di nessuno, lì dentro. Almeno non in quei tre giorni. Se dovessi andare solo nella stanza di uno in particolare, l’organizzatore potrebbe arrabbiarsi, e non ti conviene.”
David vuole cercare una nuova anima gemella. L’ultimo tentativo non si è nemmeno avvicinato alla prova finale.
Quando li presentano, David nota subito un ragazzo che lo attrae. Vuole lui, deve provare, magari sarà quello giusto.
Accende le candele, dopo essere entrato nella sua camera. Lui annuisce a tutto ciò che dice. Davvero crede alle cose che gli racconta? David è felice. L’amore con lui è fantastico. Il suo corpo è perfetto, esattamente come quello che lui ha sempre desiderato: capelli neri, occhi scuri, fisico ben scolpito ma nella norma. La sua arroganza e la naturale superiorità ostentata lo fanno innamorare di lui.
Quanti altri ne ha provati? Il conto è doloroso, ma ben impresso nella sua mente: tre.
Lo trattiene ancora nella camera. Il ragazzo gli fa capire che è d’accordo, perché è piaciuto anche a lui.
Contro le regole, gli dice il suo nome: Andrew.
David prepara nella mente il rituale. La lama è nella giacca che pende dalla sedia, le parole da dire scorrono veloci nella sua mente e lui quasi le può leggere come fossero nero su bianco calcate a fuoco nella sua anima. L’altare sarà quel letto. Il sonnifero è nella tasca dei jeans.


ADREW


Ti piaceva questo ragazzo, forse perché è un sognatore come il tuo amore a Londra. Perciò hai acconsentito a rimanere ancora con lui. Tanto, ti sei detto, chi lo scoprirà che stiamo trasgredendo alle regole? Ma la porta si è spalancata. Quell’uomo, che ora realizzi essere l’ex di David e l’organizzatore del festino, ha cominciato a sbraitare e tu sei fuggito come un codardo. Ma in fondo non sei codardo, perché non avevi nulla da proteggere lì dentro e non t’importa di quel ragazzo. Sono liti che non ti riguardano.
Tuttavia la paura, leggera e ancora inconsistente, ha cominciato a crescere in te, in modo irrazionale.
Ora David ti guarda insanguinato, con quegli occhi innocenti. Ti dice che l’ha ucciso, perché con la sua gelosia quell’uomo avrebbe distrutto il loro amore.
“Voleva ucciderti, dovevo farlo.”
Ma perché non gli credi?
Ti sta spaventando. Forse dovevi prestare più attenzione alle sue parole che al suo affare, non credi? Ormai è tardi. Ti prega di non fuggire, perché sei la sua anima gemella. E allora cosa fai? Lui cerca di agguantarti, ma tu ti liberi e lo colpisci. Sei certo di avergli fatto davvero male. Scappi via. La porta della tua stanza è aperta, l’uomo di prima giace avvolto in un lenzuolo vermiglio. Fuggi da quell’assurdità.
Credi che l’incubo sia finito e lo seppellisci nel tuo inconscio, come se davvero fosse stato solo un brutto sogno. Tanto non riaffiorerà mai più, no?


Un rumore mi destò dal sonno leggero. Vidi un luccichio, e mi ritrovai una lama alla gola. Riconobbi subito il coltello: il manico nero e la punta leggermente smussata. Il volto che mi guardava sogghignando, con un immenso piacere a illuminargli gli occhi e la bocca vermiglia tirata in un sorriso, i capelli biondi e le sopracciglia chiare...tutto era come nei miei ricordi.
“Ciao, amore mio, anima gemella!”
Un nome mi sfiorò le labbra, prima che i sensi mi abbandonassero sotto l’effetto di un sonnifero.
“David...”

Un letto duro in una stanza spoglia, le serrande abbassate e le candele accese, l’incenso a saturare l’aria: non dimenticherò mai quest’immagine. Sembrava vomitata direttamente da un incubo. Mi ritrovai legato, ma stavolta ero conscio che non fosse solo un’allucinazione. Il giovane mago-filosofo-psicopatico mi dava le spalle e parlottava in modo incomprensibile. Preparava un incantesimo? Che assurdità! Pensai. Proprio così doveva finire?!
Si voltò verso di me.
“Spero non ti sia troppo arrabbiato per gli allucinogeni.”
“Cosa?!”
“Le convulsioni che hai avuto…sono entrato nel tuo appartamento e ho sostituito i sonniferi con degli allucinogeni, che io stesso ho modificato.”
Questo spiegava tutto, ma al momento volevo sapere ben altro.
“Che cosa vuoi farmi?”
Battuta da film, irrinunciabile ed essenziale in queste circostanze.
“Non temere, mia anima gemella. Presto saremo riuniti in un unico corpo.”
Ricordai che avevo detto la stessa cosa a Daniel. Oh, amore mio! Se davvero dovevo morire, volevo vederlo per un’ultima volta. Sarei passato oltre con il rimpianto di non essermi mai congiunto a lui.
Un lieve bruciore dilagava sul mio petto, all’altezza del cuore. Abbassai il capo e vidi la x rossa: la stessa di quel cadavere a Manchester, la stessa di Daniel. Era il suo marchio, e lo detestai, perché con questo David voleva intendere che ero suo. A conferma della mia teoria, lui si avvicinò e mi passò la lama sul torace nudo, tracciando una scia biancastra fino all’inguine. Si fermò e mi guardò, quasi a provocarmi. Rimasi fermo e sostenni il suo sguardo.
“Hai un corpo magnifico...”
“Guardalo quanto vuoi, non sarà mai tuo!”lo sfidai.
“Tu credi?”
Sentii la sua mano calda prendere il posto della lama, carezzarmi l’addome descrivendo cerchi sempre più stretti. Le dita si insinuarono sotto il lembo dei boxer. Mi morsi il labbro sperando non se ne rendesse conto. Sfiorò appena l’interno coscia.
“Sarai mio, per sempre”mi disse ritraendo la mano.
“Sbagli! Non sono tuo, ne mai lo sarò”mi fermai prima di dirgli ciò che volevo urlare: io ero di Daniel, e solo suo.
“Stai pensando ancora a lui? Capisco perché ci tieni tanto, sai? E’ davvero tenero, pensa che mi ha minacciato di morte se non lo avessi portato da te.”
“Lui...dov’è?”
Solo allora sentii mugugnare, come quella terribile volta in cui lo aveva torturato. Mi sollevai per quanto mi fosse possibile. Daniel era legato a una sedia, con una benda sulla bocca. Cercavo di catturare ogni suo particolare un’ultima volta, mentre lui mi guardava speranzoso. No, non potevo arrendermi così, non se condannavo lui e il nostro amore.
“Sei un fottuto bastardo!”sibilai a David.
Sorrise maligno.
“Parli così perché sei ancora appestato dal suo amore. Presto cambierai idea e amerai solo me. Deve essere così, perché diventeremo una sola cosa.”
“Che cazzo dici?”
“Non capisci?”si chinò su di me e in quel momento non ne sopportai né la vista né l’odore. “Mangerò le tue carni, il tuo corpo perfetto, e tu entrerai in me.”
“Sei impazzito!”
Sentii Daniel agitarsi facendo scricchiolare la sedia.
“No. Fin ora tutti i miei tentativi sono andati a vuoto. Dopo il banchetto, mi sentivo uguale a prima. Ma ora so che sei tu la mia metà perfetta.”
“Non ti è venuto in mente che se non funziona vuol dire che sei impazzito?”
“Ecco perché mi piaci: non temi nulla. O quasi.”
Indicò Daniel, ed io lo odiai per la sottile allusione.
“Non ti permetterò di ucciderlo!”
“No, infatti sarai tu a farlo.”
“Cosa?! No!”
Urlai e mi dimenai, ma non potevo liberarmi da quella terribile e assurda realtà. Il terrore puro era tornato, in una forma viscerale che attaccava ogni cellula del mio sistema organico.
“Sì, invece. Se non lo farai tu, sarà costretto a vedere il nostro ultimo atto sessuale, la tua morte e me che ti divoro. Poi spirerà in modo atroce. Vuoi farlo soffrire così solo per alleggerirti la coscienza?”
Guardai Daniel, che m’implorava con lo sguardo. Era terrorizzato. Dalla notte dopo la tortura potevo capire la profondità della sua paura, e del suo amore per me. Tutto ciò non era concepibile! Se lo avessi ucciso, sarei morto due volte, perché con il suo sangue addosso mi sarei lasciato possedere da un altro. Se invece lo avessi lasciato assistere al mio massacro, lui sarebbe morto con quell’incubo negli occhi. Ci scambiammo uno sguardo d’intesa.
“D’accordo” dissi con un filo di voce. “Lasciaci soli, ti prego.”
David sospirò.
“Sappiate che non potete né fuggire né ingannarmi in alcun modo.”
“Sì, lo sappiamo” dissi per entrambi.
Estrasse una pistola e mi slegò, lasciandomi il coltello per compiere il mio destino.
Poi uscì e chiuse la porta.

EPILOGO: LA SFERA PERFETTA
Quando ti ho slegato, amore mio, mi hai guardato negli occhi: piangevi. Ti ho calmato con un bacio. E’ stata tua l’iniziativa di coricarci insieme. Ed è stato vero amore. Ho sentito la tua carne fremere, contrarsi e distendersi in un unico spasmo di piacere. Le ultime sensazioni del nostro sentimento. Siamo venuti insieme, senza trattenere i nostri gemiti. Non ci siamo risparmiati nulla.

Eccoci qui, alla fine. Ti stringo tra le braccia, su questo letto. I nostri corpi nudi hanno smesso di ansimare. Ti bacio la testa rasata, gli occhi socchiusi, le labbra. Dio, quanto vorrei rimanere per sempre così!
Ma il folle attende, e questa è l’ultima prova del nostro amore.
“Andrew, alla fine vinci sempre tu.”
“Di cosa parli?”
“Sei riuscito a scoparmi.”
Mi strappi una risata, mentre ti cullo come fossi un bambino. Sei fragile ora, e lo sono anch’io.
Davanti alla morte del mio amore, non ho parole o pensieri. Mi rimane il cuore che batte. Avrò coraggio a sufficienza per entrambi, e sei tu a darmelo.
“Non mi sembra ti sia dispiaciuto.”
“No, per niente.”
“Ora mi dirai perché non hai voluto farlo prima?”
“Perché? Pensavo ci saresti arrivato! Ti amo troppo, ecco la ragione. Temevo che dopo niente ti avrebbe trattenuto con me...volevo continuare a eccitarti e a tenerti in attesa, per non lasciarti andare.”
“Che stupido che sei! Non mi sarei mai potuto separare da te. Ti amo.”
Ricominci a piangere. No, non devi, amore mio. Ci sono io con te. Ti prego, lascia aperti i tuoi occhi per offrirmi un ultimo porto sicuro.
Ti asciugo le lacrime con le labbra, e il sapore di sale m’inonda la testa.
“E’ ora.”
“Sì.”
“E’ questa la nostra ultima fermata.”
Impugno il coltello e ti sollevo delicatamente un polso. Accarezzo le vene che escono in superficie: anche quelle sono attraenti, in questo momento. Poggio la lama sulla pelle bianca e tesa. Ti afferri il braccio, lasciandomi libero di voltarti la testa dall’altra parte, verso la mia. Com’è fermo il tuo sguardo!
Baciami: il definitivo incontro delle nostre labbra. Non chiudere gli occhi, voglio che siano l’ultima cosa che ricordo di te. Abbasso la lama. Addio, amore mio.

Il tuo corpo è mollemente adagiato sul mio, e pesante. Il cuore non batte più, il sangue è sparso ovunque. La fronte è distesa, come nel sonno che tante volte ho osservato rapito. Gli occhi azzurri mi guardano privi di luce, e so che tu non sei più in essi. Le labbra sono leggermente piegate in un sorriso e schiuse, come a volermi donare un ultimo sospiro. Sei bello anche nella morte, amore mio.
Adesso tocca a me. Non temere, nessuno ci separerà. La lama m’incide il polso e il mio sangue si mischia al tuo.
Non ho lacrime, no...sono felice. Il cuore perde battiti, ogni secondo mi avvicina a te.
Mi accascio sul tuo petto freddo.
Le labbra sono dolci. Le accarezzo.
Scorri, sangue, galoppa verso il nulla.
Stringi il mio corpo, amore.
Chissà come sei da angelo?
Non sento più nulla. Ho gli occhi aperti ma ora c’è solo il buio. Sorrido e con le ultime forze cerco la tua mano. Restituisci la presa. No, è solo fantasia.
Abbiamo vinto entrambi: i nostri corpi sono uniti, le nostre anime indivisibili.

Ora guardiamo le nubi e il sole non ci tocca.
Ora ci amiamo senza separarci.
Ora siamo due e uno insieme.
La Sfera Perfetta.
 
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