Mo co parlot tì?, [25/03/09] Home sweet Home

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PuCChyko_GiRl
view post Posted on 24/3/2009, 17:43




Titolo: Mo co pärlot tì?
Rating: Per tutti
Tipologia: One-Shot
Lunghezza:
Avvertimenti:
Genere: generale, commedia, sovrannaturale, comico
Disclaimer: il personaggio di questa fanfiction appartiene a me, me medesima e sempre me stessa. Luoghi e racconti si ispirano a fatti realmente accaduti.
Credits:
Alessandro Manzoni è realmente esistito, ogni sua citazione gli appartiene.
Crasso e Pompeo sono realmente esistiti, ogni loro citazione gli appartiene.
Il Teatro Farnese è un patrimonio artistico della città di Parma.
Tutti i luoghi della città di Parma (mia città) sono realmente esistenti.
Note dell'Autore: ogni fatto qui narrato è stato inserito solo dopo una dettagliata ricerca di informazioni, pertanto spero di non aver fatto errori di incongruenze a livello di spazio e tempo.
La maggior parte degli onorevolissimi personaggi citati sono uomini storici realmente esistiti.
Chiaro è che il personaggio che 'dialoga' con i muri è una cosa quantomeno irreale, ma mi diverto parecchio a scrivere queste idiozie.
Introduzione alla Storia:
Chyko ha sedici anni, un soprannome buffo e frequenta la seconda superiore al Liceo Classico.
Il Lunedì si presume esca da scuola ad un orario proponibile, eppure arriva a casa con sempre un'ora di ritardo...
Ma che cosa fa durante tutto quel tempo? Se dicesse la verità - forse - nessuno le crederebbe...
In quanto in quell'ora e mezza, la cara ragazza intreccia lunghi e profondi dialoghi con i muri e i monumenti della propria città!





Il Liceo Classico G. D. Romagnosi era quel classico edificio che racchiudeva nel suo stile l'insieme di vecchio e nuovo inteso in termini architettonici.
I residui di muratura ottocentesca erano stati presto ricoperti dalla moderna e compatta architettura fascista al tempo del ventennio e ora come ora, l'edificio si presentava come un blocco rettangolare dalla piatta tinta monocromatica.
Gli scalini dell'entrata (cinque se si contava anche quello che portava una considerevole crepa nel mezzo) erano quel che di più consunto e rovinato si poteva trovare in tutta la costruzione... Ma ormai gli studenti v'avevano fatto l'abitudine e si guardavano bene dall'incespicare una volta di più in quelle infauste scale.
Le grandi porte in legno d'ebano - portanti i segni e gli sfregi del tempo - s'ergevano in tutta la loro maestosità incutendo un certo timore ai poveri martiri costretti al massacrante studio del Greco e del Latino.
Chyko stava comodamente seduta al fianco della fidata fotocopiatrice, poco lontano dalla presidenza, attendendo l'agognato suono della campanella.
Spostò lo sguardo al proprio fianco, incontrando i contorni netti dei mattoni a vista della parete. Li squadrò, finché non udì un lungo e lento sospiro.
-Allora, Beni, come state?- Domandò la ragazza, rivolgendosi al muro che - come i soffitti della sala di chimica - era l'apoteosi del cattivo gusto e i suoi mattoni erano ciò che di più logorroico si potesse trovare nell'arco di kilometri.
Il mattone roteò gli occhi che non aveva... -Non molto bene, voi invece, cara?- Fu la sua garbata risposta.
La "cara" nominata dal povero pezzo di muratura era il rappresentate di consulta più inutile che si potesse trovare in tutta la città: Chyko era l'osceno soprannome che le avevano dato, Agilulfo si chiamava il suo ego smisurato.
-Ah, guardate...- Un rantolo soffocato uscì dalle labbra della donzella, che s'accasciò sulle mattonelle cesellate del pavimento. -Un incubo!
Il mattone storse il naso grugnendo: -E come mai? Sempre che mi sia concesso chiederlo...
Chyko alzò le spalle, inforcando le mani in tasca.
-Nah,- Ne uscì un suono nasale e non meglio definito -una verifica andata male.
-Mh.- Fu la semplice constatazione del pezzo di muro. -E voi, invece?- Incitò ancora la ragazza, legandosi i lunghi capelli neri. Ci fu silenzio a lungo e per qualche minuto, l'unico rumore in tutto il corridoio fu il battere degli stivali di un'ignara bidella.
-Ah...- Esclamò con aria sprezzante, lui. -Guardate! Guardate qui attorno!- Proseguì. La bella fece come l'era stato detto, senza contenere una certa perplessità a quella richiesta: cos'avrebbe dovuto vedere? Alzando stancamente le spalle, si disse che in fondo non le costava nulla...
-Mattoni d'importazione.
-Mattoni d'importazione...- Ripeté Chyko.
-Qui c'è solo vero sangue italiano!
-Vero sangue italiano...- Fu nuovamente l'eco della studentessa.
Il mattone sbuffò, lei lo imitò. -Ah, sti' uomini d'oggi!- Chyko inarcò un sopracciglio a quell'uscita. -Non capiscono che l'unica cosa davvero importante è preservare quel che di poco Italiano rimane ancora qui nel nostro paese...
E a quell'affermazione, lei roteò gli occhi al cielo, ben consapevole che, quando Beni iniziava, non finiva più di parlare.
Ponderando su chi altro dovesse visitare quel giorno, si strinse nelle spalle, dando una breve scorta all'orologio. Pochi minuti e sarebbe suonata la fine dell'ultima ora... Lei aveva spudoratamente saltato la lezione d'inglese, ma la cosa pareva non toccarla minimamente.
Si sistemò la felpa, calcando il cappuccio sulla testa, dopodiché s'alzò. -Guardate, ora temo di dovervi lasciare...- La solita stupida scusa per non ascoltare gli interminabili sproloqui d'un veterano della "vecchia guardia".
-Oh.- Sussurrò appena il mattone, prima di salutare la ragazza con uno dei suoi sorrisi che racchiudevano - in quella solita aria contrita e ferrea - una singolare nota di dolcezza.
Chyko s'avviò per le scale e scendendo il penultimo scalino, incontrò lo sguardo vitreo del capretto bicefalo impagliato, orgoglio della scuola.
L'animale - ironico scherzo di natura - faceva sfoggio di sé al di là del vetro d'una teca, sul primo pianerottolo della scala principale, cosicché chiunque fosse costretto a salire dal pianterreno se lo ritrovasse di fronte.
Dire che lo strano trofeo suscitava lo sconcerto di non poche persone era un eufemismo...
Lei l'osservò e il capretto la bisquadrò.
C'era da dire, poi, che - contrariamente ai suoi 'vicini' - la teca degli animali impagliati (perché la sfortunata capra non era sola!) era tutto fuorché loquace. Tra lo stupido armadio e Chyko intercorreva un'adorabile rapporto di disgusto reciproco e quindi, la ragazza si vedeva bene dall'avvicinarsi a quella.
Passò oltre, scotendo la testa in segno di compatimento... Al seguito del capretto, toccava all'ornitorinco disornitorincato, causa barbarie et vicissitudini scolastiche ad operam di ex studenti che altro non sapevano fare se non devastare l'edificio nei giorni di chiusura...
Al povero mammifero dal becco era toccato il ridicolo soprannome perché, i giovani delinquenti sopracitati s'erano arrogati il diritto di deturpare il povero esserino impagliato, privandolo di coda e zampe, aggiungendovi una decisamente antiestetica bottiglia incastrata nel retto dell'animale (motivo per cui l'ornitorinco, oltre che disornitorincato era detto "rotto in culo").
Alzando gli occhi al cielo in una muta preghiera per l'ornitorinco trapassato, intercedette con passo deciso, giungendo - finalmente - all'agognata uscita.
Aria di libertà, oh, quanto aveva pregato per sentirla ancora?
Per quanto cinque ore fossero relativamente poco nell'arco di un'intera giornata, stare chiusi in una stanza di m2 6x6 era un vero e proprio tugurio per una personalità impetuosa ed esuberante come quella della cara Chyko... E proprio per questo motivo, arrivati alla fine della giornata scolastica, la ragazza poteva concedersi un lungo e lento sospiro!
Usciti dai cancelli del cortile, si arrivava alla "strada dei licei", così chiamata perché alla sua destra, stava la lunga schiera di istituti superiori; alla sinistra v'era il caratteristico torrente della cittadina, fonte di frescura e di salutare divertimento palustre per gli studenti di tutta la provincia (e non solo)...
Una delle tante particolarità di Parma erano - come Roma aveva i sette colli - gli otto ponti della città, che si snodavano dalla parte più vecchia, risalente alla centuriazione Romana, fino alla nuova zona della Ferrovia.
La Parma (poiché il torrente voleva l'articolo femminile, anche se a noi non è concesso saperne il perché) divideva perfettamente quella ch'era la città vecchia, da quella 'nuova' detta dell'Oltretorrente, al secolo - e parliamo, in realtà, della seconda guerra mondiale - punto di forza della resistenza Parmigiana.
La nostra eroina - se così vogliamo chiamarla – s’apprestava ad intraprendere il lungo tragitto fino alla biblioteca comunale del centro storico che, per quanto fosse distante appena un quarto d’ora a piedi, sembrava veramente troppo troppo lontana.
Sì, troppo lontana, quando c’era un sole da spaccare le pietre, il caldo era soffocante e la Parma – che lentamente s’apprestava alla secca – evaporava addensando una consistente dose d’afa che contribuiva alla calura assassina!
In ogni caso, Chyko giunse all’agognata meta (seppur grondando sudore e con una maglietta talmente fradicia che se l’avesse strizzata, avrebbe riempito una bottiglia da un litro).
La biblioteca si trovava in una delle trasversali della via principale risalente alla centuriazione Romana; difianco alla questura, di un colore giallo spento, sarebbe passata inosservata – considerando le modeste dimensioni dell’entrata – se non fosse stato per quei due Marcantoni (cogliete la mia ironia…) delle statue di Crasso e Pompeo davanti alla porta d’ingresso che, più che invitare la gente ad entrare, metteva in fuga un considerevole numero di clienti.
La nostra intrepida Chyko – prode guerriera della cultura ed instancabile esteta della narrativa – s’accinse a mettere piede dentro l’agognata meta…
Le statue la salutarono con un leggera riverenza che lei ricambiò con un profondo inchino. Stette ferma qualche istante ancora, scrutando le due figure di marmo con attenzione: -Guarda, - soggiunse, poi, tirando fuori un fazzoletto di carta. –ti hanno appiccicato l’ennesimo chewingum sui piedi!
Proseguì rivolta all’imponente Crasso, che sorrise in un muto ringraziamento.
Il dialogo tra lei e i 2/3 del Triumvirato era decisamente complicato, in quanto – nonostante frequentasse il Liceo Classico – la donzella non era molto ferrata nel Latino e dall’altra parte, i due Consoli sapevano poco o nulla d’Italiano!
Un po’ a gesti, un po’ per parole dette a casaccio[1], alla fine, riuscivano a capirsi; Chyko, poi, s’accontentava – spesso e volentieri – anche di un semplice sorriso di cortesia, senza dover imbastire discorsi dal lessico aulico o infinite lezioni di retorica…
Entrambi gli uomini erano stati ritratti agli albori della loro carriera politica, quand’ancora erano giovani virgulti e possenti: il primo (Pompeo) era stato scolpito con un’aria arcigna e sgrusa in volto, l’altro (Crasso, quindi) con un volto decisamente più rilassato.
-Ma guarda…!- Berciò ancora, pulendo la povera statua dal residuo di chewingum masticata. –Nessuno ha più rispetto per l’arte per la storia!- Alzò le braccia al cielo. –Eh, vorrei vedere come si sentirebbero se qualcuno attaccasse loro qualcosa in faccia!- E proseguendo nel suo lanciar improperi, intercedette all’interno dell’edificio, sotto gli sguardi perplessi degli altri due.
Pompeo osservò Crasso con aria corrucciata e sussurrò: -Quid?
La biblioteca aveva librerie che arrivavano al soffitto, sezioni che sembravano estendersi per metri e metri, scaffali stracolmi di libri… Una volta entrati, ad accogliere il visitatore v’era un lungo – quanto polveroso – tappeto rosso, alla cui fine si trovava la cattedra della bibliotecaria e la segreteria dell’edificio.
Dal punto dov’era situato il tavolo, la biblioteca si biforcava in due lunghi corridoi, suddivisi a loro volta in tante sezioni orizzontali.
Chyko salutò l’anziana addetta con un gesto del capo e quella tolse gli occhiali, mostrando gli occhietti da talpa per poter ricambiare il saluto. Fatto ciò, la giovane si diresse verso la solita e sempiterna strada: corridoio di destra e ultima sezioni a sinistra…
Lì stava una piccolissima stanzetta delimitata da armadi, dove il busto in pietra nera di un distinto uomo dalle lunghe basette vegliava sui libri.
-Buongiorno.- E nel dirlo, lei sorrise calorosamente.
Amava chiacchierare con lui e l’era anche d’aiuto, quando ne necessitava. Lui scosse appena la nuca, dipingendosi le labbra di un sorriso di gioia: -È sempre un piacere rivedervi, signorina…
Chyko s’avvicinò di un passo, giocando con un ciuffo di capelli. –Come state, signor Manzoni?- L’uomo sospirò sommessamente, chinando la testa: -Quante volte v’ho detto di chiamarmi per nome?- Scherzò, ridendo con voce profonda e arrochita dal tempo.
Lei ridacchiò, imitandolo; non tanto perché il buon Manzoni avesse fatto chissà quale sagace battuta, quanto più per quel suo sorriso così caldo ed una gioia contagiosa. Lei era sempre così felice quando lo andava a trovare…
-Allora anche voi, signor Manzoni! Chiamatemi per nome!- Si lamentò la donzella fintamente arrabbiata.
Cercarono di contenere le risa, giusto perché si trovavano in un biblioteca…
-Ma ditemi,- Soggiunse l’uomo dopo qualche istante. –non avevate, forse, un esame proprio sul mio ameno racconto?- Se avesse avuto le braccia, il buon Alessandro si sarebbe sicuramente portato un mano al mento, con aria leggermente divertita.
Lei si grattò la guancia, alzando gli occhi al cielo. Avrebbe dovuto trovare un modo per sviare il discorso…
-Ecco, vedete…- Tossicchiò. –Temo di aver travisato ciò che volevate intendere nel XXIII capitolo dei vostri Promessi Sposi.- Manzoni inarcò un sopracciglio, corrugando la fronte.
-In che senso? Solo se posso chiedere, eh…- Sussurrò perplesso.
Chyko tossì più forte: -No, guardate, è meglio se non ve lo spiego.- L’illustre autore seguitò ad osservarla senza capire, ma presto rinunciò ad ogni proposito d’estrapolare qualunque informazione. Sapeva che non avrebbe parlato, la conosceva troppo bene, ormai.
Gli sproloqui sulle opere Manzoniane – e sulle eventuali delucidazioni in merito – si protrassero per un’altra ora, finché la ragazze non s’accorse con orrore di quanto fosse tardi!
Si congedò con un flebile saluto, come faceva ogni volta. Uscendo dall’edificio, rivolse un sorriso pacato alle due statue latine, avviandosi per la propria strada.
Chi le mancava ancora da visitare? Fece mente locale… Rabbrividì.
Prossima tappa: teatro Farnese.
La settimana precedente aveva dimenticato di fargli visita e sapeva bene quanto il caro vecchio teatro fosse permaloso.
Il sole – in compenso – non aveva smesso di spaccare le pietre, né lei aveva smesso di patire quella calura insostenibile, ma intrepida e inarrestabile, la nostra Chyko proseguì per la strada principale della città.
Come al solito, le vie del centro erano piene di gente, ma tra spintoni – e anche calci e pugni, purtroppo. – la nostra “eroina” giunse a destinazione! Sospirò esasperata.
Piazzale della Pace (questa l’agognata meta) era un’enorme distesa di verde nel bel mezzo della città; recintata dalla strada in pietra risalente al periodo Romano, decorata da una bella zona pedonale con tanto di fontanelle artistiche ed aiuole e con una bel percorso sterrato che conduceva alla Pilotta, famoso edificio di Parma appartenuto alla famiglia Farnese.
Era un vecchio edificio in pietra e muratura, recentemente restaurato; per entrare nel cortile interno, partendo dal piazzale, era necessario attraversare le grande arcate risalente al ‘500… Il pavimento era interamente composto da pietre interrate e ghiaia in superficie, qualche cespuglio agli angoli e, verso l’estremità opposta del cortile, la scala principale che conduceva all’interno della costruzione.
Gli scalini – ormai reduci di tempi immemori – erano, oltre che smussati, decisamente crepati in più punti ed era soprattutto per questo che l’attenzione doveva sempre essere a livelli altissimi, quando si saliva al piano superiore…
Arrivati al primo grandissimo pianerottolo – per intenderci, un campo da calcio per il largo – la scala si divideva in due parti, senza una reale differenza, poiché, entrambe le scalinate – sia di destra, che di sinistra – conducevano allo stesso identico lungo corridoio…!
Sulla sinistra l’entrata alla biblioteca Palatina, la cui derivazione onomastica era ancora dubbia, seppur fosse risaputo che suddetta biblioteca fosse stata costruita dai duchi di Borbone. Chyko era una fan di quella biblioteca. La adorava, la venerava, la osannava…
Una tra le più importanti d’Italia, piena di tanti di quei libri e di quei tomi, che neanche dopo anni, qualcuno sarebbe riuscito a leggerli tutti!
L’unica fregatura – perché, sì, Chyko era famosa anche per la sua immane sfiga – era che l’accesso fosse consentito solo ai maggiorenni! V’erano libri così antichi, così importanti, così rari che l’ingresso era severamente vietato ai minori e – per tanti, troppi trattati di saggistica – erano necessari i ventun’anni!
Una sofferenza, ecco cosa significava avere il paradiso (letterario) a due passi e non poterlo toccare…
Ritornando a parlare dell’edificio: sulla destra v’era, invece, l’entrata per il tanto citato teatro!
Custodito all’interno del palazzo più importante di Parma, stava il teatro più antico, ora in disuso… “Farnese” dal nome della famosa famiglia che lo fece costruire; passato il corridoio delle statue – perché in realtà quell’ala della Pilotta era un museo – e soffermatasi ad osservare un attimo di più la miglior copia dell’Antinoo del Belvedere, Chyko proseguì fino alla sua meta ultima…
Il legno del pavimento scricchiolò sotto i suoi piedi e un lungo e lento boato le riempì le orecchie: il teatro non sembrava troppo felice di vederla.
Due grandi finestre illuminavano la costruzione, creando strani giochi tra luce e ombra, come avrebbero fatto le arcate di Notre Dame sulle campane della torre; il color ebano del legno, ora scheggiato, prevaleva su ogni altra tinta. Il grande palco d’assi vissute, le tribune opache del vernice ormai rovinata… Il teatro s’ergeva in tutta la sua bellezza: passavano gli anni, i materiali sentivano l’usura del tempo, ma quell’opera d’arte seguitava a mostrare il suo splendore.
Chyko s’avvicinò alla prima fila di tribune, alzando gli occhi alla terza (e ultima): -Farny.
Le assi scricchiolarono più forte in risposta.
-Dai, Farny…- Sussurrò la ragazza, carezzando il legno del corrimano. –Non mi tenere il broncio.
S’udì un profondo sbuffo: - Mo co vòt? Mì ang pärla miga con tì![2]- Una voce gracchiante e strascicata e quel dialetto che in città era comune agli anziani.
Lei mise su un finto muso lungo, che non lo impietosì affatto, poi, la donzella sospirò affranta… Non poteva accusarlo di nulla, dopotutto era mancata al solito appuntamento settimanale e lui era sempre chiuso là dentro da solo; era il minimo che fosse arrabbiato! Lei, poi, non era neanche venuta a scusarsi…
Ok, doveva ammettere d’essere stata piuttosto maleducata, ma la scuola l’aveva costretta ad una lunga e tormentata giornata di studio.
-Farny…- Uscì un suono terribilmente simile al guaito di un cane. –Dai, davvero… Mi dispiace!
Tutto tacque per parecchi istanti, finché Chyko non decise di sedersi in terra, alzando gli occhi al cielo. Non volle fissare il teatro per parecchio, ma dopo una considerevole manciata di minuti, riportò lo sguardo alla costruzione di legno: -Stavo studiando il futurismo…
Il teatro inarcò le sue sopracciglia inesistenti. –Futurismo?- Ne venne un’eco perplesso.
-Sì, è per questo che non sono potuta venire.- E nel dirlo, Chyko alzò le spalle. Il “Farnese” parve illuminarsi a giorno, in perfetto stile Ungaretti, quando venne a sapere che materia stesse studiando la sua interlocutrice.
-Mo dit da bò?[3]- La ragazzina sorrise sibillina, rispondendo: –Certo…- E lui tossicchiò appena, fintamente disinteressato. –Sai,- Cominciò Chyko, rialzandosi, prendendo a camminare per la stanza. Faceva finta di nulla, lei, ben consapevole che – invece – la cosa lo interessasse parecchio.
-Parlava di te, il mio libro.- Gli si rivolse, tamburellando due dita al mento.
-Ah, sì?- L’ultimo monosillabo suonò così civettuolo che la bella si dovette trattenere dal ridere divertita. Pendeva dalle sue labbra, ah! Non le avrebbe più tenuto il muso…
-Ecco, mi chiedevo…- Disegnò cerchi nell’aria con l’indice destro. –Se tu mi potessi aiutare.
Sapeva di aver vinto quella sfida con quella sua ultima richiesta… Che il caro teatro fosse logorroico era cosa risaputa ormai da tempo che Chyko aveva subito capito che per convincerlo di qualcosa, doveva necessariamente fargli credere d’essere interessata ad uno dei suoi tanti monologhi e soliloqui.
-Oh,- Fu il primo commento del “Farnese”. –Oh!- Ne seguì uno più acuto. –Ma certo!- Ed esplose con un’esclamazione decisamente troppo eccitata.
-Certo c’al tì dag na man! Certo![4]- A quelle parole, Chyko ghignò, ben consapevole d’aver raggiunto il suo fine ultimo. Si concesse qualche minuto di autocompiacimento per quella sua ennesima epica impresa portata a termine!
-Un pär d’anni fa, al vinor chì sti’ futuristi… Ah, col stupid ed Marinetti![5]- Lei sorrise, riconoscendo le parole del suo solito vecchio amico Farny. –Mo to dit col ghe fis collì?[6]- Chyko alzò gli occhi, conscia del fatto che – per almeno altre due ore buone – il buon teatro avrebbe sproloquiato su mille argomenti diversi, ma dopotutto… Lei si divertiva così.
Infondo… Aveva sempre pensato che ogni parte di quella città avesse qualcosa importante da raccontare.
E poi, bhe, - nel pensarlo, le sue labbra si piegarono in un sorriso solare – era pur sempre la sua bella Parma.
Anche se, sistematicamente, arrivava a casa ad un orario indecente, con tanto di urla incavolate da parte di suoi padre… E anche qualche mestolata in fronte, quando capitava.
Anche se si chiedeva più di una volta se ne valesse davvero la pena, arrivava sempre alla stessa conclusione: sì, sarebbe arrivata in ritardo altre cento volte, pur di ascoltare ancora quei pezzi di storia che aveva imparato ad amare.


Note:
[1] … a casaccio… : tipico modo di dire Parmigiano. Lo riferiamo a qualunque cosa XD
[2] … Mo co vòt tì… : “Ma cosa vuoi? Io non ci parlo con te!”
[3] … Mo dit da bò… : “Ma dici davvero?”
[4] … C’al tì dag… : “Certo che ti do una mano!”
[5] … Un pär d’anni fa… : “Un po’ d’anni fa, vennero questi futuristi… Ah, quello stupido di Marinetti!”
[6] … Mo to dit… : “Ma ti ho detto cosa fece quello lì?”
Note random: i Futuristi fecero davvero visita al teatro Farnese nei primi del Novecento e, no, il busto del Manzoni e le statue di Pompeo e Crasso non parlano davvero XD
Il “Quid?” in Latino di Pompeo può essere tradotto con “Cosa?”
Il titolo significa: <i>“Ma cosa parli a fare?” Il tutto in dialetto parmigiano – anche la parte del teatro – se non si fosse capito…
 
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