YOM-KIPPUR

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balakov
view post Posted on 5/6/2009, 14:45




Rating: 16 anni.
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 1675 parole
Avvertimenti: Violenza, Linguaggio Colorito
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Introduzione alla Storia: "Che sensazione spiacevole e a dir poco conveniente ritrovarsi le mani insanguinate ed una bella ragazza a terra, riversa in una pozza di sangue. Sarò stato io?"




YOM-KIPPUR

Che sensazione spiacevole e a dir poco conveniente ritrovarsi le mani insanguinate ed una bella ragazza a terra, riversa in una pozza di sangue. Sarò stato io?
Tutto ebbe inizio ieri pomeriggio: un giorno anonimo, di quelli che esistono solo perchè compaiono sui calendari affiancati dal nome (spesso improbabile) di un qualche Santo.
Stavo tornando placidamente a casa, dopo aver fatto quattro passi da solo per rinvigorire un poco la mente oramai prossima al nulla totale. Quella strana sensazione di leggerezza, ma anche di inspiegabile vuoto, mi aveva corroborato l’esistenza oramai da qualche mese, e più precisamente da quando io e Sara ci eravamo lasciati. Facevamo proprio la nostra porca figura, assieme: una coppietta – si diceva – che il tempo non avrebbe mai e poi mai potuto scalfire. E invece…
Sapete com’è, sono sempre tre le possibile cause scatenanti lo sfaldamento di una storia. In primis c’è l’eventualità di un evento scatenante, tipo un litigio, che altera in maniera irreversibile il sempre precario equilibrio su cui si regge un rapporto di coppia. Poi c’è l’eventualità “dell’otre” (così la definisco io…), e cioè la possibilità che ci sia qualcosa del partner che non ti sia mai andata a genio e, giorno dopo giorno, anno dopo anno, il livello di saturazione diviene tale che lasciarsi non può che essere fisiologico. Dulcis in fundo, c’è il cosiddetto “terzo incomodo”: e qui credo proprio che non ci sia alcuna necessità di dover spiegare (al massimo potrei citarvi il Charles Aznavour di “Ed io tra di voi”)…
E così, ieri pomeriggio, senza badare troppo alla razionalità che tende sempre ad animare troppo le povere menti umane, me ne vagavo solo solo, senza pensare a niente, con la mente sgombera da tutto e da tutti. Quando, all’improvviso, chi mi ritrovo davanti?
Non sforzatevi di rispondere, lo so che lo sapete: Sara. Era ovvio. Non voleva certo essere un coupe de théâtre… Insomma ci ritrovammo l’uno dinanzi all’altra, fissi ognuno negli occhi dell’altro.
Da quando ci eravamo lasciati non ci eravamo più parlati né sentiti: ovvio la curiosità – che è quanto di più terribilmente umano e terreno esista – ci aveva portato, tramite “fonti indirette” (amici, dunque), a continuare ad informarci l’uno dell’altro, magari anche un po’ gelosamente (perché è sempre difficile accettare la fine di una storia…) su chi l’altro frequentasse e se per caso avesse iniziato una nuova relazione. Eravamo soli, invece: nessuno aveva avuto il coraggio di cominciare qualcosa di nuovo o di costruire un nuovo amore, assediate come ancora erano le nostre menti dalle ragnatele della vecchia storia che tanto ci aveva presi.
Non un fugace saluto, non uno stiracchiato “ciao” o un dimesso abbassare lo sguardo riuscì a fendere il silenzio tremendo che ci divideva. Sembravamo due soldatini di stagno posti l’uno innanzi all’altro, ed incapaci di palesare anche la più benché minima emozione. Alla fine fu lei a prendere l’iniziativa, ed improvvisamente – senza avvertimento alcuno che avesse potuto farmelo pensare – mi si avvinghiò contro stampandomi uno di quei baci alla francese che per intensità, passionalità e durata si avvicinano ai vecchi record in apnea di Jacques Mayol.
Io, senz’altro stupito, recitai volentieri il mio ruolo di sparring-partner: del resto, quanto a baci, modesti a parte ci so fare. Poi, però, anch’io dovetti abbandonare la mia parte di “assecondatore di baci”, e le pulsioni che trasmette il cuore impressero anche al resto del corpo la cosciente necessità dell’accoppiamento.
Così, come due ladri che devono nascondersi per non essere presi, noi ci infilammo furtivamente (e senza ancora aver scambiato alcuna parola) nel parchetto più vicino, solitamente idoneo ad ospitare solo cani randagi, zingari e drogati. Noi non eravamo nulla di tutto questo: noi eravamo solo l’amore giovanile che si fa violenza cosciente ad accettata da entrambi.
Dopo esserci dedicati sufficientemente (non ce la facevamo più!) alla ginnastica del sesso, senza alcun bisogno di rivestirci completamente, ci sdraiammo, in mezzo ai cespugli, a rimirare da alto il tramonto. Il sole che sorge ogni giorno, tramonta e poi puntualmente torna ad illuminarci, non si può spiegare così facilmente come vogliono farci credere: c’è sempre qualcos’altro sotto… E così era stato quel rapido quanto incisivo incontro e contatto fra noi due: senza neanche una parola pronunciata per fornire spiegazioni, si era realizzato un qualcosa di molto più significativo di qualsiasi altra parola che si sarebbe potuta dire in merito.
La fisicità dice molto più delle parole, ma è anche l’ incombente fardello che ci ricorda la nostra animalità.
Alla fine, quando la prima stella della sera iniziò a bucare l’immenso sfondo cromato del cielo, lei – come in precedenza aveva rotto gli indugi – ruppe il silenzio: “Oggi è la seconda volta che scopo. E forse la prima è stata migliore”
Silenzio. Lei allargò le sue labbra in un feroce e mefistofelico sorriso (un ghigno, direi), mentre io non riuscivo più neanche a battere le ciglia tanto mi avevano turbato quelle parole.
“La seconda volta? E con chi avresti scopato prima?” chiesi quasi balbettando.
“Luca: il tuo migliore amico non ti ha ancora detto nulla? Strano: eppure non mi sembra un vigliacco…però va capito, del resto sei il suo migliore amico” aggiunse lei con un fare di naturalezza e superficialità agghiacciante.
Luca era davvero il mio migliore amico. Ed era anche un compagno di Sara all’università. Era l’unico che continuava ancora a frequentare – pur se separatamente – entrambi: ma soprattutto, era lui la mia fonte privilegiata da cui attingevo informazioni su Sara. E mi aveva giurato su Dio che non si era rimessa con nessun altro dopo di me. Carogna! Ma ancor più carogna lei! Sgualdrina maledetta!
Ed in pochi secondi, giusto il tempo di tramutare la poca razionalità che mi anima in istinto animale, non feci cosa poi tanto diversa da quella che avevo fatto sino a poco prima con Sara: le afferrai la gola con estrema violenza, tanto da farle emettere dei suoni strozzati ed animaleschi. Suoni non dissimili da quelli che avevano animato il coito di pochi minuti prima: del resto, come ho già detto, sempre di violenza si tratta…Ora, però, era venuto meno il requisito della cosciente reciprocità. E non è poco…
Mollai poi di getto la presa attorno al suo collo, e presi la cintura dei miei pantaloni abbandonati sull’erba. Iniziai, con violenza inaspettata, a frustarla a sangue con quella cinta: le sue laceranti urla di dolore non trovavano eco alcuna nelle omertose ed ovattate orecchie dei presunti “abitanti del parco”: è difficile se non impossibile udire il dolore mentre ci si inietta morte nelle vene.
Quando la luna fu alta, e la notte portatrice di ombre sinistre ebbe il suo rituale sopravvento sul giorno, la mia violenza scemò in un sofferto ansimare: a terra Sara, riversa in una pozza di sangue, senza poter più offrire alcun segno di vita.
Che ho combinato? Che posso fare adesso? Occulto il cadavere, o gli do fuoco? Mio Dio! Cosa ho combinato!
Questi pensieri così retorici, banali e puntuali in situazioni del genere (pur se, grazie al cielo, non è che io sia così solito a viverne!), affollavano la testa di un giovane assassino. Il gusto che si prova ad uccidere non è cosa che mi è appartenuta: il mio raptus di follia non è giustificabile in alcun modo con la seriale perversione che attanaglia le menti di taluni assassini. Io sono soltanto uno che ha amato troppo per poter avere anche la pretesa di viverlo il proprio amore.
Adesso sto trascinando per le gambe il deturpato corpo di Sara: la sua schiena gratta sulla terra e sull’erba, e lascia dietro di sé, al suo passare, un’impietosa scia di sangue.
Posato dietro ad un grosso albero il cadavere, raccolgo rami, ramoscelli e legni di qualsiasi tipo (alcuni dei quali presi gentilmente “in prestito” dalle staccionate malridotte) per preparare un gran falò. Nell’antichità con la luna piena come stanotte si facevano transfert di questo genere, si bruciavano vittime sacrificali per auspicio di fertilità: chissà che con queste fiamme non si lavi via anche il mio peccato. Il giorno dello Yom-Kippur, del resto, appartiene alla nostra etica veterotestamentaria di buoni cristiani, e non è cosa dissimile da quella che io sto or ora preparando.
Sento passi: passi nella notte, passi sinistri forse di drogati. Mi volto furtivo, ed il corpo di Sara non c’è più. Ma dove diamine è sparita? Era morta, lo giuro! Non posso essermi sbagliato in alcun modo. Sento freddo, e ho tanta voglia di piangere. Non capisco più nulla: il suo corpo era qui, ed ora non c’è più. Ho la testa che mi pesa, che mi fa tremendamente male. Lo sento, sta per scoppiare, e poi davvero non ci sarà più nulla. Come sarebbe bello, talvolta, poter morire: potersi lasciare andare come in un morbido abbraccio materno, senza necessità più di pensare ad alcunché. Come sarebbe bello, certe volte, poter raccontare di non esserci mai stati…

Mi ritrovò Sara la mattina seguente sdraiato su una panchina del parchetto: sembravo addormentato, per una volta almeno felice e con un sorriso autentico impresso sul mio volto affaticato. Sara non volle credere in alcun modo che io fossi davvero morto: mi abbracciata con impeto, mi urlava all’orecchio (oramai non più capace di ascoltarla) frasi del tipo “Non mi lasciare” o “Amore mio, non puoi abbandonarmi”. Ma purtroppo, da un sonno così pesante non si può dare alcuna risposta.
Sara è sempre stata la mia ragazza. Ed ancora non capisco come abbia potuto non lasciarmi mai: mi è stata sempre vicina, e ha sempre cercato di aiutarmi a venirne fuori. Ma oramai il mio destino era segnato: la mente di un drogato come me non era più capace di distinguere la verità dal sogno, e l’ultima dose mi è stata letale. E pensare che la notte che sono morto ho perfino sognato di ucciderla…credevo mi avesse lasciato…
In realtà sono io che mi sono lasciato da un sacco di tempo, ed è difficile, troppo difficile amare un altro angelo se prima non si ama se stessi. Che Dio mi perdoni per il male che le ho fatto, lasciandola sola in vita così come in morte.

 
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°__Virou
view post Posted on 16/6/2009, 11:04




Veramente uno splendido racconto, macabro e ricco di suspance.
Il protagonista è un personaggio molto ben caratterizzato, nella sua ambiguità e nel suo stato di semi follia, e il finale mi ha colta davvero di sorpresa.
Complimenti ^^
 
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balakov
view post Posted on 16/6/2009, 13:15




Troppo gentile! *Me onorato*
 
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Vampire_Ebony
view post Posted on 28/9/2009, 17:10




Mi è piaciuta molto, bravo!
Mi sa che ti è sfuggito un errore di battitura ;)
 
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3 replies since 5/6/2009, 14:45   136 views
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