Capelli Rosso Fuoco, [09/05/09]Memories

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 6/6/2009, 23:21
Avatar

Member

Group:
Writers
Posts:
114

Status:


Rating: 16 anni
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 8146 parole, titolo incluso. Capitolo unico
Avvertimenti: Angst, Violenza, Linguaggio Colorito
Genere: Drammatico, Psicologico, Thriller, Horror
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: Il personaggio di Freddie Krueger viene solo menzionato, e appartiene a chi ne detiene i diritti d’autore.
Note dell'Autore: La persona di David Letterman viene solo menzionata, questa storia non tratta in alcun modo di essa. Le città di Boston e New York fungono solo da ambientazioni, e non sono teatro di nessuno degli eventi narrati, i quali sono frutto di fantasia. Tengo a precisare che questa storia non intende in alcun modo offendere o discriminare gli irlandesi, ogni elemento riferito ad essi è da considerarsi a fini puramente stilistici.
Introduzione alla Storia: A volte l’inconscio racconta ciò che la ragione ha da tempo cancellato. E la realtà può rivelarsi più squallida del peggiore degli incubi. Charles Martini ha un sogno ricorrente…


Capelli Rosso Fuoco





E’ una mattina del gennaio 200*, quando lo psichiatra Alan Sanders riceve il suo paziente. Getta un’occhiata veloce alle carte che lo riguardano, prima di invitarlo a coricarsi sul lettino per cominciare la seduta.
Quello si siede.
Qualche ora più tardi, il dottor Sanders sta sottoponendo a Ted, studente che fa praticantato nel suo studio da psichiatra, il filmato della seduta.

“Charles J. Martini… Prego, si stenda sul lettino alle sue spalle”
L’uomo si siede, lasciando le gambe a penzoloni da una sponda del lettino.
“E’ meglio se si stende, signor Martini, l’aiuterà a rilassarsi…”
“No… voglio stare così. Apra la finestra, ho caldo”
“Magari spengo la pompa di calore…”
“No! Sì… spenga il riscaldamento e apra pure la finestra. Ho caldo”
Il paziente gronda di sudore; addosso ha solo una camicia di cotone, della quale s’è per giunta tirato su le maniche. Sanders acconsente alle richieste, indossando una giacca per difendersi dalle folate gelide dell’inverno del New England
“Bene, con cosa vuole cominciare, signor Martini?” Lo vede pensare bene, prima di rispondere.
“Vediamo un po’… Con i miei sogni”


A questo punto, lo psichiatra blocca il tape.
“Adesso devi dirmi cosa hai visto finora, Ted. Prima ancora di sentire il contenuto della seduta, è importante che tu riesca a carpire dal paziente informazioni preziose; il linguaggio del corpo è una componente della complessità umana praticamente incontrollabile”
Il ragazzo ci riflette su Non riesce a togliersi dalla testa la faccia di quel tizio: ha il volto deformato da un’espressione rabbiosa; a tratti mostra perfino i denti, come se ringhiasse. Suda tanto da sembrare appena uscito da una sauna.
“Beh… innanzitutto ha la pressione alta – cerca di assumere il tono più professionale possibile – poi, secondo me il soggetto non ha amici; trascorre in solitudine tutte le feste comandate, da chissà quanti anni. E’ completamente solo, perché è uno che si fa odiare”
Sul volto del dottor Sanders compare un sorriso di approvazione. Quindi, riavvia il filmato.

***



Come ogni pomeriggio, dopo la pausa pranzo, Charles Martini ha il turno delle tre nel suo ufficio. Che non può definirsi propriamente “suo”, quello stanzone con sessanta impiegati curvi sui computer aziendali, più una fiumana di gente che entra ed esce da quando si apre a quando si chiude; ma, come lo si voglia chiamare, è il suo posto di lavoro. In vent’anni non ha mai avuto una promozione, non si è nemmeno guadagnato il diritto ad avere pareti divisorie in plastica, per godere di uno straccio di privacy; la sua scrivania è la più vicina alla porta del primo piano - quello che ospita il grado più infimo della categoria impiegatizia – ed è collocata al limitare del “sentiero” che divide il centro dell’ufficio. Così ogni giorno deve sopportare gli scossoni involontari alla sua scrivania, il parlottare, la porta che sbatte, e tutte le grane causate dal continuo andirivieni nel corso della giornata lavorativa.
Il suo ingresso nell’ufficio è probabilmente l’unico a non passare inosservato.
“Ehi, Martini! Bella giornata come sempre!”
“E’ arrivato mister simpatia!”
Charles incassa l’accoglienza accentuando ancora di più la sua espressione perennemente incazzata, sollevando un angolo del labbro a scoprire alcuni denti laterali, come i personaggi dei fumetti quando vogliono fare i duri. Invece, ha il potere di suscitare l’ilarità dei colleghi che hanno alzato la testa dal computer per incontrare la sua faccia, come al solito solcata da gocce di sudore che scendono dalla fronte; qualcuno si tappa il naso e strizza gli occhi. Unto e bisunto pure d’inverno, l’odore che emana è terribile.
Charles Martini poggia la ventiquattrore e la giacca del completo, portata per pura etichetta, prima di lanciare un ultimo sguardo di sfida alla massa di codardi che continua a ridergli in faccia e a fare commenti sul suo fetore; quindi si siede.
Ora deve solo archiviare su file i dati della pila di documenti che ha sulla scrivania, cercando di dimenticare di possedere il senso dell’udito, per non farsi distrarre dal concerto di voci che riempie l’ufficio. Rimane incantato solo un istante, di fronte alla griglia piena di numeri sullo schermo del computer.
Stanotte ne ha fatto un altro. Un altro di quei sogni.

La sera stessa è disteso sul lettino dello strizzacervelli a cui ha deciso di affidare il suo tribolato ammasso di neuroni, per quaranta dollari l’ora.
Non è ancora molto convinto del suo nuovo passatempo serale – però i telefilm gli hanno rotto le palle e David Letterman è sul punto di unirsi a loro - quando l’uomo barbuto che ha davanti lo esorta a dare un senso al loro incontro.
“Ha detto che fa degli strani sogni… bene, me ne parli”
E qua ti volevo! Apri la bocca e parla, vecchio mio, ora non puoi più tirarti indietro. Vuota il sacco senza pensarci troppo e vedrai che ti sblocchi.
Ma la lingua non gli è mai sembrata così pesante. Dopo un lungo silenzio imbarazzato, lo psichiatra riprende la parola.
“Vuole prima parlarmi un po’ di lei? Mi racconti della sua famiglia, ad esempio”
Ecco, ora è più facile.
“La mia famiglia è composta da me, mia madre e mia nonna materna. Mio padre è morto quando avevo solo tre anni, sa com’è… un incidente in una di quelle stramaledettissime fabbriche. Vivevamo in un modesto appartamento a Boston”
“E’ tutto?” Il dottore solleva entrambe le sopracciglia, con fare indagatore.
“Che altro devo dire? Beh… frequentavo la parrocchia vicino casa: da bravi italoamericani, eravamo cattolici praticanti. A me non è mai fregato un granchè della religione, ma andavo molto d’accordo con il mio confessore, padre James Fontana, un giovane prete che abitava nel mio stesso condominio” Sperando che questo gli possa bastare.
Ma non ha ancora parlato di ciò che gli preme veramente. Non ci riesce.
“Allora, signor Martini. Adesso si sente pronto a parlarmi di quei sogni che la disturbano tanto?”
Charles riempie i polmoni d’aria: è ora di vuotare il sacco.
“Dunque… Ha presente i sogni ricorrenti? Ecco, io ne faccio uno più o meno uguale da troppo tempo. C’è della gente… che mi guarda… Io sono bloccato… in un punto… Non riesco a muovermi…” Già gli manca l’ossigeno. E suda parecchio.
Annaspa miseramente, cercando un modo qualsiasi per esprimersi.
“Gente che sento di odiare…” Più di così, non riesce a dire.
“Può fornirmi ulteriori dettagli? Chi sono queste persone, le conosce?”
Basta così. E’ troppo.
Charles adopera entrambe le mani per togliersi dalla faccia l’abbondante liquido dall’odore pungente, spostandolo dal mento ai capelli; inutile tentate di asciugarsi col fazzoletto di stoffa, ormai è da strizzare.
“Io... Non me la sento di andare avanti. La seduta è finita”

Di ritorno al suo misero appartamento, Charles viene accolto dall’aria gelida dell’inverno newyorkese che entra dalle finestre spalancate; è l’unico del suo condominio a non voler usufruire del riscaldamento centralizzato. Controlla le tende, lasciate chiuse per evitare che la neve gli entrasse in casa: bagnate fradice. Le stacca tutte e le stende sulle sedie ad asciugare, lasciando le finestre aperte. Tolta la pioggia e la neve, l’inverno è sicuramente la sua stagione preferita.
Guarda la confezione di sonniferi che lo specialista gli ha prescritto prima di fissare un altro appuntamento e saldare: l’unica cosa buona che è riuscito ad ottenere da quella cavolo di seduta, per avergli detto che fa fatica ad addormentarsi. Si è praticamente catapultato nella più vicina farmacia che fa il turno di notte, prima di rincasare.
Così adesso potrà dormire, e sfornare incubi freschi freschi per lo strizzacervelli.
Senza pensarci troppo, ne prende una e va a coricarsi.

E voi chi diavolo siete?
Che avete da guardare?
“Mamma, è vero che Charlie boy adesso starà con noi per sempre?”
Morite, facce di merda!


Il suono della sveglia lo riscuote puntuale alle sette meno un quarto.
Charles si alza con l’umore più nero del solito, stamattina sarà dura affrontare la giornata lavorativa. Tutto merito delle balordaggini che vede durante il sonno; roba che ha il potere, da circa un anno, di irritarlo a morte.
Ma, in un certo senso, è pure inquietante.
Da quando li ha visti, non riesce a darsi pace: sono in tre, madre padre e figlio, data la somiglianza. Tre facce lentigginose, tipiche irlandesi, coi capelli un di rosso particolare; se ne stanno seduti su un divano verde, sorridendo in maniera talmente fastidiosa, che li prenderebbe volentieri a ginocchiate sulle gengive, se potesse. Stanno seduti e lo guardano, come se lui fosse dentro il televisore…
Ha passato giornate intere a rifletterci sopra: sta diventando pazzo?
Si chiede ancora come sia riuscito ad addormentarsi, da un anno a questa parte.
Questa notte poi, ha fatto il salto di qualità: gli hanno parlato. O meglio, quel bambinetto odioso ha parlato, guardandolo come se fosse il suo giocattolo nuovo.
Charlie boy…
Gli dà letteralmente il voltastomaco.

Il giovedì sera della settimana successiva, lo vede steso nuovamente sul lettino dello psichiatra. Prima che quello abbia il tempo di aprir bocca, Charles comincia a parlare.
“Stanotte ho fatto un incubo… C’era il mio confessore, padre James Fontana: camminava, e ad un certo punto si squagliava tutto, come un budino lasciato sotto il sole” Ma che diavolo! Non è questo che gli preme raccontare.
Quel maledetto trio di idioti ha preso a parlargli praticamente ogni notte per tutta la settimana; l’unica volta in cui lo hanno lasciato in pace, ecco che ha fatto uno di quegli incubi stile film dell’orrore.
“E si è sentito turbato. Ma non è il sogno di ricorrente di cui mi parlava, giusto?”
“Sì, è vero – sospira - Io… non faccio altro che sognare della gente che non conosco, che mi guarda in modo fastidioso. Da una settimana hanno cominciato pure a parlarmi!” Charles incamera un gran quantitativo d’aria, prima di continuare.
“Sono una famiglia di tre persone: madre, padre e figlio di circa sette anni, con delle facce da irlandesi, ha presente cosa intendo? Stanno seduti su un divano verde e mi guardano come se fossi il loro show TV preferito. Le sembrerà una fesseria, ma io li sogno quasi tutte le notti da un anno intero, e ci sto perdendo la salute” Finalmente può riprendere a respirare.
“Ha detto che non li conosce… e adesso le parlano pure. Cosa le dicono?”
“Roba del tipo: ‘Vuoi una caramella?’, ‘Giochiamo insieme?’; a quanto pare sono bambino, nel sogno… E non hanno solo le facce da irlandesi, ma pure l’accento”
Non gli passa neanche per l’anticamera del cervello di riferirgli che lo chiamano tutti ‘Charlie boy’: troppo umiliante.
“Lei è originario di Boston. Ci sono tantissimi irlandesi laggiù, ha per caso avuto problemi con qualcuno di loro, durante la permanenza nella sua città natale?”
“No. A scuola spesso c’erano delle risse, ma io non ho mai partecipato, anche perché mia madre mi avrebbe fatto una mazzo tanto… Santa donna, mi ha risparmiato un mare di guai… Per il resto i rapporti erano freddi, con noi italiani; frequentavamo pure chiese separate” Guarda l’orologio: in un’ora è riuscito a sputare il rospo, grande conquista, e adesso si sente più leggero.
“Bene, ne riparleremo la prossima settimana, stesso giorno, stessa ora”
Charles fa per andarsene, ma di fronte la porta si blocca; sente di aver omesso un particolare fondamentale.
“Ah, dottore, mi sono dimenticato una cosa: i tre del sogno hanno tutti i capelli rossi”

“Charlieeeeee! I biscotti sono pronti!”
L’anziana fa appena in tempo a sistemare su un vassoio i biscotti fumanti appena sfornati, che il nipote undicenne irrompe di corsa in cucina.
“Ti sei lavato le mani, prima di piombare qui come un razzo?” Il ragazzino le fa odorare le mani: ma certo che se l’è ricordato, dopo tutte le volte che gli è stato ripetuto!
Charlie comincia ad addentare i biscotti, senza neanche sedersi, divorandoli letteralmente uno dopo l’altro.
“Piano, piano! Ti andranno di traverso!”
Lui vuole ribatterle che sono troppo buoni per mangiarli piano, cercando di masticare prima quelli che ha in bocca, perché non si parla mentre si mangia. Ma, quando sposta gli occhi su sua nonna, si accorge che qualcosa non va: dietro di lei, una gigantesca chiazza nera si sta allargando, prendendo il posto dell’intera cucina.
“Nonna! Attenta, dietro di te! Scappa!” L’anziana continua a sorridere e sembra non sentirlo urlare.
“Nonnaaaaaaaaa!”
La “cosa” si stacca dal muro, prendendo le fattezze di una nebulosa compatta, e si avvicina lentamente alla donna, fino a lambirne il volto. Adesso se n’è accorta.
Comincia a sbracciarsi convulsamente e si porta le mani al collo, ansando penosamente; quindi si accascia a terra.
E’ ancora viva e si muove, ma Charlie non può aiutarla, non riesce a muoversi.
Si accorge, inorridito, che quella nube nera sta penetrando nelle narici della nonna, nella bocca, nelle orecchie… La vede muoversi ancora, sempre più lentamente.
No! Nonna! Nonnaaaaaaaaa!


“NOOOOOOOO!”
Charles si sveglia con uno scatto laterale, cade dalla sponda destra del letto e si schianta malamente sul comodino, travolgendo tutto ciò che ci sta sopra; il bicchiere colmo d’acqua riesce a frantumarsi senza ferirlo, ma l’abat-jour gli finisce proprio sotto la schiena, e spezzandosi in due gli provoca due tagli alla schiena.
Alzandosi dolorante da terra, Charles impreca quando si accorge di sanguinare.
Quando esce dal bagno, dove è riuscito a medicarsi da solo le ferite, dà un’occhiata al casino che ha fatto cadendo dal letto, prima di fare pulizia; ma tu guarda che macello!
E questo è tutto merito di quell’incubo maledetto… Che diavolo ti prende per ora, stupido cervello? Ti mancano le vitamine!?
Mentre pulisce, tiene il conto dei danni: bicchiere rotto, abat-jour da buttare, lampadina in frantumi, comodino ammaccato, radiosveglia ancora intera…
Vicino all’armadio, dov’è schizzata a causa dell’impatto, rinviene la foto di famiglia: lui, sua madre e sua nonna.
Il vetro della cornicetta è crepato.

“Insomma, lei ha sognato la morte di sua nonna. L’esperienza vissuta in questo sogno le ricorda qualche evento, un episodio di quel periodo della sua vita?”
Ora che lo guardava bene, quello psichiatra aveva un che di familiare; era sicuro di averlo visto da qualche altra parte…
Charles rimane imbambolato per qualche secondo, prima di decidersi a rispondere.
“Io ho detto che mia nonna ha ingoiato un fantasma nero, non che è morta… Cioè, sembrava stare malissimo, ma il sogno non è finito con la sua dipartita. Io avevo undici anni, e non riuscivo a schiodarmi da dove stavo per andare ad aiutarla” Ormai ne è sicuro: c’è qualcuno o qualcosa che lo terrorizza, che lo vuole far star male.
E poi, sì, quell’uomo barbuto con gli occhiali e l’aria rassicurante, gli ricorda qualcuno… E’ una bella sensazione.
“Secondo lei, esperienze oniriche di questo tipo, possono essere ricondotte a qualcosa in particolare?”
Il vecchio sembrava aver afferrato il succo del discorso.
“Credo che qualcosa… non so cosa, voglia farmela fare sotto dalla paura… Prima il mio confessore e ora pure mia nonna… Per giunta dormivo pure pochissimo, prima che cominciassi a prendere i sonniferi. La mia vita sta andando in malora!
E poi ci sono quelli, sempre loro, ogni notte…” Si blocca, completamente madido di sudore.
“La famiglia di irlandesi, intende? Ha avuto altri incontri con loro, di cui mi vuole parlare?”
Oh, sì che li aveva visti, come no. Dopo l’incubo con sua nonna, aveva giurato di volere dormire più per il resto della sua vita; ma andare a lavoro senza almeno tre ore di sonno, è da suicidio. Così, contro ogni suo volontà, aveva continuato a prendere quei dannati sonniferi. Ormai dormiva solo grazie a loro.
Adesso la prospettiva era diversa: quelli non se ne stavano più seduti sul divano a guardarlo, e lui non era più fermo in un punto del soggiorno; il suo sguardo girava per la loro casetta da allegra famigliola delle pubblicità, vedeva ogni particolare. Compreso una copia del Boston Times, sul tavolino del soggiorno.
Charlie boy, vieni a giocare? Charlie boy andiamo al cinema? Charlie boy, vuoi vedere le diapositive… Quanto li odia.
“Ah, sì… Ho scoperto che sono di Boston”

Steso sul suo letto, alla luce della lampada da notte nuova – comprata in saldo ai grandi magazzini – Charles non ha ancora preso le sue pilloline; di conseguenza, non gli viene sonno. E’ che la voglia di dormire gli è passata, come ha confidato al suo psichiatra appena due ore prima. Il sonno è ormai, per lui, solo una scomoda necessità, la medicina amara che devi prendere se vuoi vivere.
La sua vita fa sempre più schifo.
Basti pensare al suo letto: quand’è stata l’ultima volta che ha visto una donna? Ah, già, quella volta: quando s’è portato una battona in casa. Il tempo di accomodarsi sul letto, e cosa fa? Si accende una sigaretta! Si è messo ad urlare con tutto il fiato che aveva in corpo, l’ha sbattuta fuori dal suo appartamento lanciandole dietro dieci dollari, dato che strillava dandogli del pazzo; hanno svegliato tutto il condominio.
L’indomani ha attaccato dietro la sua porta il cartello ‘Vietato fumare’, di quelli che sono obbligatori nei luoghi pubblici; il giorno stesso, l’ha trovato per terra, tirato via insieme allo scotch . Era stato di sicuro lo stronzetto del quinto piano, quello che grida sempre ‘Paaapaaaaaaà!’. Allora lui l’aveva incollato con la colla superforte, non si fa certo mettere i piedi in testa da un moccioso. Tempo niente, e trovò – sempre di certo ad opera dello stronzetto del quinto piano - una testa di porco scarabocchiata sul cartello, con tanto di ondine che salivano verso l’alto, rappresentanti il suo fetore.
Oggi quel cartello è pieno di disegnini offensivi, non ci fa neanche più caso.
Prende le sue pillole e spegne la luce.
Passano pochi secondi, e sente squillare il telefono; s’incammina barcollando e imprecando: chi cavolo è, a quest’ora della notte?
Quando alza la cornetta, non capisce nemmeno chi gli sta parlando, i sedativi stanno cominciando a sortire i loro peggiori effetti. Ma riesce ad afferrare il contenuto della telefonata.
Sua nonna è morta.

La giornata lavorativa termina senza che nemmeno se ne accorga; sbriga le sue mansioni con gesti automatici, le sue mani si muovono da sole. Il tremore alla palpebra superiore destra e il volto tirato, privo della solita espressione rancorosa, sono le prove più evidenti del suo stato.
La notte prima s’è addormentato, suo malgrado. O per meglio dire è caduto, vittima dei sonniferi; solo questa mattina ha realizzato di aver dormito sullo scendiletto.
Solo che lui non voleva dormire. Voleva stare sveglio, come tributo al lutto per sua nonna; soprattutto, voleva riflettere.
Proviamo a fare un collegamento fra due eventi, per quanto illogico possa sembrare: prima, la nonna muore nel sogno. Poi muore per davvero.
Più ci pensava e più se ne convinceva.
Ma ha anche sognato il suo confessore fare una brutta fine, e a lui non è successo nulla. Per ora.
Sua nonna, poi, che possa trovare la pace, era terribilmente avanti con gli anni, non è tanto strano che se ne sia andata per vecchiaia.
A dire il vero, però, ha solo sentito che è stata trovata morta in casa… Potrebbero essere giunti a conclusioni sbagliate…
Quando arriva l’ora di staccare, un collega gli tira un foglio di carta appallottolato. Nessuna reazione.
“Che ti prende, Martini? Hai avuto la tua prima volta, ieri sera??”

“Le porgo le mie condoglianze, per sua nonna” Lo strizzacervelli stasera è in vena di sentimentalismi.
“Lei è realmente convinto che vi sia una correlazione fra la morte di sua nonna, e l’incubo che fece giorni addietro?”
In silenzio, Charles non lo ascolta nemmeno. Sta riflettendo su qualcosa che si è ricordato.
Sua nonna… Si vestiva sempre di nero… Da quando è morto il nonno, diceva.
Ma certo, suo nonno! Non l’ha mai conosciuto, è morto in un incidente aereo, poco prima che lui nascesse. Però ha visto molte sue foto: un uomo barbuto, dall’aria seria e tranquilla…
Ecco cos’è che non riusciva a ricordarsi: lo psichiatra che ha di fronte gli somiglia in maniera a dir poco mostruosa. Ora capisce perché la sua faccia gli era familiare!
Si è tolto un peso enorme.
Considerando che suo nonno è stato dato per morto, senza che ne fosse mai ritrovato il cadavere, c’è una minuscola possibilità che sia sopravvissuto; forse, ha perso la memoria, ed è vissuto sotto un altro nome. Poi si è trasferito a New York e si è laureato psichiatra…
Nonno!
“Signor Martini, mi sta ascoltando?”
Charles si riscuote, il sorrisetto beato gli muore sulla labbra in un istante.
“Le ho chiesto se ha avuto altri incontri con la famiglia di irlandesi”
Eccome, maledizione. Della tenue sensazione di serenità, ora non rimane più nulla.
Proprio la notte in cui ha saputo della morte di sua nonna, proprio quando manco voleva dormire…
A dire il vero non ha visto quelli lì, le loro facce lentigginose e i loro capelli, questo almeno gli è stato risparmiato; però ha visto la loro casa. Dall’esterno.
“So dove abitano e come si chiamano. Hanno una villetta bianca all’angolo della settima strada a Boston. Famiglia O’Connor” Aveva fatto attenzione a leggere il nome sulla cassetta della posta, prima di svegliarsi.
“E’ mai stato da quelle parti?”
“No. Forse ci sono passato, non ricordo. Io ho vissuto in un piccolo appartamento nel quartiere proletario, mentre in quella strada ci vive la media borghesia. Tutta gente che non ho mai sopportato…”
“Secondo lei, queste persone, la loro casa e tutto ciò che lei vede durante i suoi sogni, esistono veramente?” La domanda decisiva.
“Non lo so… Forse sì. Non ricordo…”
“E allora perché non torna nella sua città natale, e non va a dare un’occhiata di persona?”

Dopo la solita cena frugale, Charles accende la TV; non presta la minima attenzione alla programmazione serale, perso com’è nella sua riflessione su ciò che gli ha appena suggerito lo psichiatra.
Tornare a Boston…
Lo squillo del telefono ha il potere di farlo schizzare dal divano con un balzo, come se della dinamite gli fosse esplosa sotto il sedere.
Quel dannato apparecchio continua ad emettere il suo richiamo, ma un senso di angoscia gli impedisce di alzare la cornetta e rispondere.
In genere non lo chiama mai nessuno… L’ultima volta, gli sono arrivate cattive notizie…
Il monotono e ossessivo squillare gli sta mandando i nervi in frantumi; prende coraggio e alza cornetta, senza dire nulla.
“Pronto, Charlie?” Una voce conosciuta.
“Padre Fontana?”
“Sì. Ti ho disturbato? Pensavo che non fossi in casa, stavo per riattaccare”
Charles è moderatamente contento di sentire l’uomo che, per lunghi anni, ha rappresentato quello che più si avvicina ad una figura paterna, oltre che l’unico modello maschile adulto. Avrebbe potuto imbottirgli la testa di sortite sulla fine del mondo, sul peccato, sull’inferno, come tanti altri preti fanatici; e invece ha sempre tenuto un atteggiamento comprensivo verso chiunque. Frequentava la sua parrocchia, ed erano condomini. Gli è mancato.
Dopo avergli fatto le condoglianze per sua nonna, padre Fontana lo mette al corrente dei suoi progetti: partirà per l’Africa, andrà a fare il missionario.
Alla fine della conversazione, Charles è senza parole. Quell’uomo è incredibile…
Vuole andare ad aiutare i bambini che muoiono di fame. In Africa!
Il solo pensare al caldo che fa in quel posto, gli fa sudare tutta l’acqua che in corpo; lui che non riesce a concepire una temperatura superiore ai ventotto gradi, e che quando ha le ferie estive scappa in montagna.
Il caldo… Cosa c’è di peggio che sentire caldo? Peggio della puzza di fumo delle sigarette. Ti senti soffocare, squagliare, morire…
Charles ha un sussulto improvviso.
I pensieri appena concepiti si dissolvono come una scritta sulla sabbia al passaggio della risacca, prima che ne possano partorirne degli altri.
Prende le sue pillole e va coricarsi.

“Charlie boy, perché non vieni a tavola? Sei triste?”
La donna dai capelli rossi lo guarda con il suo sorriso più fastidioso.
“Vieni, dai. Adesso, prima di mangiare, recitiamo una preghiera per tua madre”
Guarda verso salotto. Seduti a tavola ci sono il padre e il bambino, pronti per il pranzo, tutti e due con una paresi facciale simile ad un sorriso. Che dementi!
Quanto li odia. Li odia tutti. Soprattutto quel mocciosetto.
Ma che vogliono da lui?


Quella mattina si presenta a lavoro con una faccia peggiore del solito. Non si sarebbe addormentato, se avesse saputo che gli toccava di nuovo vedere e sentire quei tre imbecilli; questa volta hanno fatto anche di peggio.
Hanno menzionato sua madre.
La rabbia gli sta facendo salire la pressione a livelli da infarto, con il suo sudore potrebbe riempire una piscina alta cinque metri.
Che cavolo c’entra sua madre, adesso? Pregare per lei? Al diavolo!
Alcune scrivanie più avanti, l’impiegato Ethan Doyle sta freneticamente cercando di sbrigare in un giorno, il lavoro accumulato in una settimana; per tenersi su, ha già bevuto sei caffè lunghi. Il settimo, ancora nel bicchiere, viene accidentalmente urtato dal suo braccio grassoccio, andando a riversarsi sulla tastiera del computer.
In un attimo, è il disastro. L’apparecchio comincia a schizzare scintille, poi prende fuoco; Doyle si mette a distanza di sicurezza giusto in tempo, e solo grazie alle rotelle di cui è munita la sedia aziendale.
Le carte sulla sua scrivania prendono fuoco, si sollevano e raggiungono le altre postazioni, nel frattempo abbandonate dai propri occupanti; così s’incendiano altri documenti. Due computer scoppiano. Un fumo nero invade l’intero locale.
Tra gli impiegati è il panico: chi fugge, chi cerca di azionare gli estintori, chi invita alla calma; uno di loro si gira, e vede Charles Martini in piedi, immobile davanti alla propria scrivania.
“Martini! Ma cazzo fai!? Levati di lì!!”
Non ricevendo risposta, si lancia nella sua direzione, maledicendolo in tutti modi che conosce; lo afferra per la camicia e lo tira via, fuori dall’ufficio ormai saturo di fumo.
Nel frattempo sono arrivati pompieri e ambulanze. Alcuni lamentano malesseri e si fanno visitare.
Charles ha lo sguardo fisso su un punto indefinito davanti a sé.
Un passo dopo l’altro, si allontana, camminando come un automa; l’impiegato che gli ha salvato la vita, gli urla dietro una valanga di male parole, per non avergli reso neanche un ‘Grazie’.

Quando raggiunge il suo appartamento, Charles è scosso da potenti colpi di tosse, gli sanguina il naso; ma, soprattutto, suda.
Senza riuscire ad arginare uno stato che lo sta annientando fisicamente, decide di infilarsi dentro la doccia con tutti i vestiti; l’acqua ghiacciata ha l’effetto di abbassargli la temperatura corporea e il livello di sudorazione, ma la tosse permane.
Tenendo la testa indietro, riesce a fermare il sanguinamento dalla narice.
Passa il resto della giornata seduto sul divano, le braccia appoggiate allo schienale, con lo sguardo perso nel vuoto, fino a sera. Non accende la TV
Nella sua testa, i pensieri si alternano, indefiniti.
Fuoco. Sogno. Fumo. Urla. Sirene. Pompieri. Ambulanze.
Probabilmente, quel giorno della sua vita, è stato l’unico in cui non ha pronunciato neanche una parola.
Non mangia né a pranzo, né a cena.
Quando la luna è alta in cielo, prende i sonniferi e va a dormire.

L’indomani mattina si reca al lavoro puntuale, scoprendo che l’ufficio del suo piano è stato temporaneamente chiuso per sistemare il casino scoppiato il giorno prima; tutto sommato, gli impiegati hanno tratto vantaggio da questa disavventura: le ferie natalizie sono anticipate di ben quattro giorni. Che bel regalo!
A Charles non resta che girare i tacchi e tornarsene a casa; ancora tossisce, di tanto in tanto, sente la gola raschiare e gli bruciano un po’ gli occhi.
Almeno, questa notte, non ha sognato nulla. Un sonno senza sogni come non ne faceva da tempo.
Purtroppo, la notte successiva non gli va così bene.

“Entravo nel soggiorno della casa dove sono nato. Là c’era mia madre, ed era… era diventata nera!” Charles parla ansimando sul lettino dello strizzacervelli, in seduta pomeridiana, dato che ha tutta la giornata a disposizione.
“In che senso, ‘nera’?”
“Non nera nel senso di razza… Nel senso che aveva cambiato completamente colore. Era tutta nera, senza vestiti… Faceva impressione” Ormai gli mancava solo Freddy Krueger.
“E lei ha paura che ciò possa accadere realmente?” Quell’uomo sembra quasi leggergli nel pensiero. Forse un giorno gli confiderà della somiglianza con suo nonno, e magari scoprirà che sono la stessa persona; sarebbe una bella sorpresa.
“Io… temo che le possa succedere qualcosa di brutto”
“Charles – è la prima volta che lo chiama per nome – ha valutato il consiglio che le ho suggerito tempo addietro?”
Ma certo che ci aveva pensato; se non fosse stato per i sedativi, ci avrebbe pure perso il sonno. Il che, gli avrebbe probabilmente sortito più vantaggi che altro.
“Sì… Lo sto seriamente prendendo in considerazione”

Al terzo giorno chiuso in casa, è talmente annoiato da sintonizzarsi, per disperazione, su un telegiornale. Inutile dire che lui odia i Tg; sono buoni solo a terrorizzare la gente ignorante.
In studio, una signorina bionda, dall’aria inappuntabile.
“C’è una notizia appena battuta dalle agenzie. E’ finita in tragedia la spedizione della missione cattolica, diretta verso un’oasi nel deserto sahariano: sono stati infatti ritrovati i corpi privi di vita di tutti i suoi componenti. Stando alle indiscrezioni, sarebbero morti per disidratazione.
Da cinque giorni non si avevano più notizie dei missionari: dispersi nel deserto, hanno perso ogni contatto radio; vane le ricerche, terminate con il tragico ritrovamento”
Cosa!?... Charles ha gli occhi fuori dalle orbite.
“Adesso vi proponiamo un’intervista rilasciata, poco prima della partenza, dal capo della missione, il prete bostoniano James Fontana”
“…No, non ho paura di ammalarmi. Per me ciò che conta è raggiungere quell’oasi nel Sahara: c’è un intero accampamento che ha bisogno di acqua, cibo e medicine; molti sono bambini, non possiamo lasciarli al loro destino.
Saluto i fedeli della mia ex parrocchia: pregate per me e per questa missione. In particolare, mando un abbraccio affettuoso a Charlie, che da tempo non vedo, perché lavora a New York: spero di rincontrarti, in questa vita, Charlie. Se puoi, torna a Boston, tua madre ha bisogno di te”
Il collegamento ritorna alla signorina in studio.
“Avete sentito il commuovente discorso di padre Fontana, non ci sono parole, davvero un uomo coraggioso. Non possiamo che condividere il dolore per la sua perdita, e lo stesso vale per tutti i componenti della missione; a nome mio, invito la persona chiamata in causa, ad esaudire l’ultimo volere del suo confessore: torna a Boston, Charlie”
Charles Martini non è mai stato sul punto piangere, da quando è diventato adulto, come in questo momento; si passa le dita delle mani fra i capelli unti, preda dell’angoscia. C’è cresciuto, con quell’uomo, abitava un piano sotto al suo!
Padre Fontana…
Questa non può essere una coincidenza… Quel sogno… E’ vero, è passato del tempo da quando lo ha fatto. Ma non fa differenza.
Gli incubi sono come profezie: si realizzano, maledettamente.
Adesso dovrebbe tornare… Tornare a Boston… Cosa glielo impedisce?
Non lo sa nemmeno lui.

“Charlie boy, devi prepararti” L’uomo dai capelli rossi cerca di dissuaderlo a schiodarsi dal quel letto - un letto che non è il suo, quello su cui aveva dormito da sempre – e a togliersi il pigiama; pronto per lui, c’è un completo elegante per bambino, un ridicolo mini-gessato mai visto in vita sua.
“Dobbiamo andare al cimitero, abbiamo molti cari cui fare visita. Soprattutto tu… Mi capisci, vero?”
No! Non voglio ascoltare niente di tutto ciò che esce da quella tua boccaccia da idiota, perennemente atteggiata ad un sorrisino fasullo!
Quelle labbra sottili si aprono a scoprire un fila perfetta di denti bianchissimi, nel tentativo di risultare rassicurante, amabile; ottenendo, però, l’effetto contrario.
Ti odio! Vi odio tutti! E’ colpa vostra!!


Charles esce di casa solo per fare la spesa: il suo frigo è vuoto. Compra una scorta di cibo capace di riempire abbondantemente ben quattro sacchi formato maxi; trasportarli fino a casa gli costa una fatica del diavolo, ma ne vale la pena.
Ha di che mangiare per un mese. Nel frattempo, sarà cessato ogni festeggiamento, verranno tolte tutte quelle ridicole lucine che infestano la città, spariranno quegli imbecilli vestiti da Babbo Natale… non ha mai sopportato le loro campane, e meno che mai gli squallidi ‘Oh oh oh!’, il tutto per racimolare qualche elemosina.
Ma soprattutto, non ci saranno più mocciosi per strada, che saltellano felici da una vetrina all’altra. Mi compri questo? Questo mi piace!
Tutto ciò è buono a provocargli l’acidità di stomaco.
A maggior ragione, dopo il sogno fatto quella notte. Che siano stramaledetti i sonniferi: non li prenderà più fino alla fine delle ferie, tanto l’indomani non deve neanche alzarsi presto.
Di ritorno a casa, tira un sospiro di sollievo; se ne starà rintanato dentro, ha comprato dei libri da leggere, non si annoierà.
Con un gesto del tutto meccanico, accende la TV. Ormai c’è talmente abituato, che si rende conto troppo tardi di essere sintonizzato sullo stesso canale della sera prima, quello che trasmette solo telegiornali.
Vorrebbe spegnere, ma la scritta evidenziata in sovrimpressione, lo blocca.
Tragedia a Boston: donna assassinata in casa.
In studio, la solita elegante giornalista bionda.
“Una donna, Elisabeth Martini, è stata ritrovata senza vita nella sua abitazione, un appartamento sulla diciassettesima strada, a Boston; non è ancora chiara la causa del decesso, ma stando agli inquirenti si tratterebbe di omicidio. Secondo alcune testimonianze, un uomo sulla quarantina si aggirava nei dintorni del condominio con fare sospetto, e una vicina l’avrebbe addirittura visto uscire dall’appartamento della vittima.
La polizia ha diramato un identikit dell’uomo: chi pensa di riconoscerlo, è pregato di chiamare immediatamente le forze dell’ordine.
Elisabeth Martini viveva sola in casa: vedova del marito, aveva recentemente perso l’anziana madre, spirata per cause naturali. L’unico familiare rimastole, sembra essere il figlio Charles, che vive a New York ormai da diversi anni; gli investigatori stanno cercando di mettersi in contatto con lui, per conoscere eventuali dettagli utili all’inchiesta. Se ci sta ascoltando, il signor Charles Martini è invitato a recarsi a Boston, per aiutare la polizia locale a risolvere il caso, e rendere così giustizia alla sua povera madre”
Il vecchio televisore viene colpito in pieno da un cuscino e cade all’indietro dal carrello; si spegne per sempre.
“UUAAAAAAHHHH!!!”
Le lacrime scorrono sul volto di Charles, mescolandosi alle gocce di sudore.
No. Mamma. Perché? E’ tutta colpa mia!
Già, è tutta colpa sua. Se fosse tornato da lei prima, quando lo psichiatra gli aveva suggerito di fare un salto nella sua città natale, forse avrebbe potuto salvarla. Forse, adesso, sarebbe ancora viva.
Digrigna i denti e li stringe, fin quasi a romperli, mentre la rabbia sale di pari passo con la temperatura del suo corpo.
Ora ha negli occhi solo l’identikit dell’assassino di sua madre: il disegno della faccia di un uomo coi capelli rossi.
Sembrava l’incrocio delle facce di quei tre…
Ma certo! Sono stati loro. Bastardi! La devono pagare cara!
Fosse l’ultima cosa che fa in vita sua.

Quando fa irruzione nel suo studio, lo psichiatra non batte ciglio, malgrado non fosse prevista alcuna seduta per quel giorno; anzi, sembra quasi che lo stesse aspettando.
Tutto trafelato, Charles si siede sul lettino, cercando di riprendere fiato.
“So perché è qui, Charles. Ho sentito il telegiornale. Era sua madre quella, vero?”
Lui si limita ad annuire, continuando ad ansimare per la corsa fatta da casa sua; a dire il vero, non sa neanche perché è andato lì. Forse vuole trovare un po’ di conforto, magari un consiglio. Da qualcuno con un volto familiare e rassicurante.
“Sono stati quelli! Ho visto il ritratto, è identico!” Sbotta all’improvviso.
“Si calmi. Adesso ascolterà il mio consiglio? Non è mai troppo tardi”
“E invece sì! La mia famiglia non c’è più!” Quanto vorrebbe avergli dato retta prima.
“Ma è ancora in tempo per fare loro giustizia. Mi pare che lo comprenda anche lei, Charles. Non ha senso star qui a macerarsi nel rimorso” E’ così paterno e comprensivo…
Adesso ne ha certezza.
“Sì, lo farò”
“Fai quello che devi fare, Charles. Non ho altro da dirti” Gli sorride benevolo, come per sostenerlo.
Si volta a guardarlo, poco prima di uscire per da quello studio per l’ultima volta. Abbozza anche lui un mezzo sorriso, amaro ma sincero.
“Grazie, nonno”

Dopo aver trovato ciò che gli serve, Charles prende il primo pullman disponibile per la tratta New York - Boston. Passa l’intero viaggio a ripassare mentalmente il da farsi; il tragitto dura tutta la notte. Quando il mezzo arriva a destinazione, è mezzogiorno del venticinque dicembre.
Da quanti anni passa il Natale completamente solo? Non li ha contati.
Prende un taxi, evitando di guardare fuori dal finestrino; rivedere Boston, dopo tanto tempo, gli fa male, peggio di un pugno nello stomaco.
Sa dove andare. Ha visto in sogno l’ubicazione della casa di quei bastardi: settima strada, villetta bianca, famiglia O’Connor.
Ed eccola, finalmente, la fonte di tutti i suoi incubi; la recinzione è una semplice staccionata bianca, il cui cancelletto è aperto.
Si incammina quatto quatto attraverso il giardinetto leziosamente curato, cercando di calpestare più fiori possibili, finchè non giunge a ridosso dell’abitazione.
Tenendosi basso, si accosta il minimo indispensabile dalla finestra, quanto basta per guardare all’interno. Eccoli.
Rosse chiome intorno ad una tavola. Ci sono tutti: il paparino, la mammina e quell’odioso marmocchio sui sette anni, intenti a consumare il pranzo natalizio.
Vede anche due vecchi dai capelli grigi; quelli non gli interessano.
Davanti alla porta, prende un bel respiro, poi suona il campanello.
“Sì, chi è?”
“Charles” Risponde solo.
Quando la porta si apre, si ritrova faccia a faccia con il padre di famiglia.
“Charlie boy!”
Sta allargare l’odioso sorrisetto tipico della sua specie, ma Charles non gliene dà il tempo. Estrae il revolver che ha comprato da un contrabbandiere a Central Park, lo punta verso di lui e preme il grilletto.
Il colpo gli apre un buco in gola talmente grosso, a causa della distanza ravvicinata, che la testa rimane attaccata al collo per non si sa quale miracolo.
Non appena l’uomo stramazza a terra, Charles si accorge della presenza della mogliettina, rimasta paralizzata di fronte alla scena.
Una pallottola in pieno petto la manda all’altro mondo sul colpo, come il maritino.
A passo spedito, Charles Martini si fa strada all’interno della villa, quando il vecchio gli si para di fronte; nel frattempo, sente urla di terrore del bambino e della vecchia.
“Ma che stai facendo!? Patricia! Chiama la polizia!”
“Levati di mezzo!!”
Gli spara senza neanche prendere la mira, centrandolo in piena faccia. Vuole quel dannato moccioso.
Per irrompere in cucina, deve prima sparare sulla serratura: quei due si sono chiusi dentro. Quando riesce ad entrare, trova la vecchia accucciata in un angolo, nel tentativo di proteggere il bambino col proprio corpo; lei lo guarda, in lacrime, poi si alza e gli si avvicina tremando.
“Ti prego… Che ti abbiamo fatto, Charlie boy?” Ha appena firmato la sua condanna.
Una revolverata al centro del petto, fa letteralmente volare indietro il suo fisico minuto. Il moccioso urla come una femminuccia.
“Aaaaahhh!! Nonnaaaaaaa!”
Comincia a correre di qua e di là, continuando a gridare e a versare fiumi di lacrime e muco per tutta la cucina.
Charles riesce ad afferrarlo per i capelli. Quei maledetti capelli rossi… Gli solleva la testa e lo obbliga a guardarlo negli occhi.
“Piccolo bastardo. Ti sei divertito a fare il cretino mentre dormivo? Bene, se permetti, adesso mi diverto io!” Gli punta la canna della pistola in fronte.
Un colpo dritto in mezzo agli occhi.
Sangue e cervello schizzano sulla sua faccia; un miscuglio viscido e caldo…
Caldo?
Caldo! Caldo!

Tenta di fuggire, ma davanti alla porta ci sono i cadaveri dei genitori. E i loro capelli si muovono; sembrano trasfigurarsi in qualcosa…
Si stanno trasformando in lingue di fuoco. In un attimo, le fiamme sono alte, altissime.
Charles caccia un urlo e ritorna precipitosamente verso l’interno della casa; ma si ritrova di nuovo in cucina, di fronte al corpo di quel moccioso coi bulbi oculari esplosi, che colano fuori dalle orbite. Anche i suoi capelli stanno diventando fuoco puro.
Alla fine sono venuti allo scoperto. Lo sapeva che erano stati loro! Lo ha sempre saputo!
Corre nuovamente verso l’atrio; soggiorno e salotto sono divorati da fiamme, che emettono un suono simile alla voce di un vecchio con la raucedine.
Si lancia contro la finestra più vicina, senza neanche aprirla; la sfonda. Atterra in giardino insieme ad una pioggia scintillante di frammenti di vetro.
Allontanatosi di qualche passo, resta immobile a guardare la casa bruciare, incurante dell’enorme coccio di vetro che gli si è conficcato dentro la guancia, fino a raggiungere l’arcata dentale superiore.
Non sente dolore.
Avverte solo il fresco dell’inverno di Boston, sta cominciando a nevicare.
E adesso sente le sirene avvicinarsi sempre di più. Finalmente.
Era ora che arrivassero…

***



“…Avevo capito che era colpa loro, l’hanno visto tutti cosa erano capaci di fare”
“Quindi, lei mi sta dicendo che quelle persone erano in grado di scatenare incendi grazie ai loro capelli?”
Charles Martini si tocca nervosamente, per l’ennesima volta, la linea dei punti che ha sulla faccia; la ferita gli è stata suturata dopo il suo arresto.
“Sì! Quante volte lo devo ripetere!? Tranne quelli dei vecchi, però… Ma adesso non faranno più male a nessuno” Ridacchia.
“La capacità di creare fuoco era data dal fatto che i capelli fossero di colore rosso?”
A quel punto, Charles caccia fuori un sospiro seccato.
“Ne ho abbastanza! Lei non capisce niente! Ho già detto che voglio parlare con il MIO psichiatra. Fatemi tornare a New York o mandate lui qui!”
“Ha ragione, così può bastare. Prego…” Il dottor Sanders fa un cenno della testa all’agente di custodia, che porta il paziente fuori dalla stanza.


La registrazione è terminata.
Ted sente di dover dire qualcosa, ma è senza parole. Mai vista roba del genere.
Il tribunale vuol dare l’infermità mentale a questo qui? Uno che ha massacrato a revolverate l’intera famiglia di una brava persona come Peter O’Connor? Lui, sua moglie, il suo bambino e i suoi anziani genitori; per poi dar fuoco alla casa in cui è nato e vissuto. E farneticare che sono stati i loro capelli ad appiccare l’incendio!
“Non fare quella faccia, Ted. Se vuoi diventare uno psichiatra forense, devi farci il callo a casi come questo. Pensa che, almeno, ti sei risparmiato il freddo di quella stanza; anche se, devo dire che le finestre aperte sono state utili a combattere il tanfo che emanava. Per non parlare del suo alito…” La butta sul ridere, vedendo che il ragazzo sta arrossendo, imbarazzato.
A quel punto, Ted prende coraggio e mostra al dottor Sanders le carte che ha con sé.
“Le hanno faxate stamattina, proprio mentre lei era in seduta con l’assassino. Sono testimonianze varie: secondo i vicini, è insopportabile. I colleghi lo odiano. Un senzatetto di New York riferisce di averlo visto molte sere coricarsi sulla neve a Central Park, vestito leggero; e parlare con un albero. Dice che avrebbe chiamato un’ambulanza, se avesse avuto un cellulare o un telefono pubblico a portata di mano. Magari era convinto di parlare con lo psichiatra che ha nominato per tutto il tempo; quello che, poi, sarebbe anche il suo nonno disperso…” Gli viene quasi da ridere.
Senza commentare, Alan Sanders tende allo studente un fascicolo.
“Leggi questa: è la relazione fatta dal capo della polizia di Boston, ai tempi in cui un vasto incendio distrusse una palazzina”
Ted scorre velocemente gli occhi sul testo del verbale; ad un certo punto, impallidisce. Quando termina la lettura, è quanto mai turbato.
“Ma è pazzesco!”
Il dottor Sanders annuisce, mentre apre la copia del giorno del Boston Times.
STRAGE DEL GIORNO DI NATALE: NUOVE, INQUIETANTI RIVELAZIONI
Secondo gli investigatori, il folle omicida sarebbe stato adottato dalla famiglia O’Connor diversi anni prima. Tutti i dettagli in questa edizione.

***



Giugno 197*, Boston.
E’ suonata la campanella dell’ultimo giorno di scuola. I ragazzi erompono dai cancelli e si riversano fuori, festanti, sotto il sole del primo caldo estivo.
Anche l’undicenne Charles, detto Charlie, è felice; saluta i compagni di fretta, poi imbocca la strada di casa correndo a perdifiato. Non vede l’ora di sapere cosa hanno cucinato la mamma e la nonna per pranzo!
Mentre percorre la diciassettesima strada, sente un concerto di sirene farsi sempre più rumoroso, mano a mano che si avvicina a casa sua.
Quando arriva a destinazione, si rende conto che le sirene sono di ambulanze, polizia e pompieri; tutte davanti al suo condominio.
Che sta andando a fuoco.
Fiammate gigantesche ruggiscono, fuoriuscendo dalle finestre del primo e secondo piano. Il loro alito rovente è come una coperta che lo avviluppa in un bozzolo di caldo soffocante; si sente scottare da capo a piedi, soprattutto sul volto.
Un denso fumo nero si solleva verso l’alto, mentre le pompe dei vigili del fuoco sono al lavoro per spegnere l’incendio.
Mamma! Nonna!
Charlie fa per lanciarsi verso il portone dell’edificio, ma la mano di un soccorritore lo afferra per la maglietta, bloccandolo.
“Dove vai, ragazzino? Non vedi che va tutto a fuoco?”
Lui grida disperato che là dentro ci sono sua madre e sua nonna, ottenendo solo di essere allontanato a forza verso l’altro lato della strada. Immobile, può solo guardare bruciare la palazzina che lo ha visto crescere.
‘Ci pensiamo noi’. Gli dicono. ‘Andrà tutto bene’. Gli assicurano.
Quando le fiamme vengono domate, nessuno si è salvato.
E’ sopravvissuto solo chi si trovava fuori casa, cioè cinque persone in tutto, dato che era l’ora di pranzo.
Un poliziotto si accorge di lui solo tre ore e mezza dopo, chiedendogli perché se ne sta imbambolato di fronte i resti anneriti dell’edificio.
Viene portato in caserma, perché non c’è altro posto dove alloggiarlo; passa la notte lì, sulle poltroncine della sala d’attesa.
L’indomani, il capo della polizia gli dice che l’incendio si è originato al secondo piano; la causa sarebbe un mozzicone di sigaretta, magari qualcuno s’è addormentato fumando.
Charlie intende perfettamente. L’ubriacone del secondo piano fumava come un turco; c’erano state lamentele per la puzza delle sue sigarette, che appestava l’intero pianerottolo.
Poi viene condotto in obitorio.
Dispiace a tutti, ma bisogna identificare i corpi, e le persone a disposizione si contano sulle dita di una mano; diciamo che sono tante quanto il numero dei sopravvissuti.
“Ti tocca, figliolo. Ricorda che sei un uomo” Il capo della polizia gli fa l’occhiolino.
Viene aperto il primo sacco per cadaveri. La riconosce subito: è sua nonna. Ha gli occhi chiusi, ma non sembra che stia dormendo; la bocca è spalancata, come se cercasse disperatamente di urlare. Gli spiegano che morta intossicata dal fumo.
Aprono anche il secondo sacco. Charlie non capisce chi o cosa abbia davanti: sembra un manichino tutto nero. Allora gli mostrano un anello che portava il cadavere, quando l’hanno rinvenuto carbonizzato sulle scale; reca incisi i nomi e la data di nozze dei suoi genitori. Quella cosa nera, senza capelli né connotati, è sua madre.
Ancora uno, l’ultimo: è un qualcosa di sciolto e informe. Ovvero, tutto ciò che resta del corpo di padre James Fontana. Vogliono sapere se riconosce il crocefisso di metallo semi- fuso, diventato un tutt’uno col suo cadavere squagliato.
Mentre il ragazzo fa ‘Sì’ con la testa e risponde a monosillabi, il capo della polizia prende nota, per compilare il verbale di rito: che non vengano a prendersela con lui e con i suoi uomini. La colpa è dei pompieri, non sanno fare nulla!
Charlie ha fatto il suo dovere. Infine, dopo una pacca sulla spalla, gli offrono un succo di frutta all’arancia. Lo rifiuta.

Dopo qualche mese trascorso in un istituto minorile, chiuso nel mutismo più assoluto, arriva la buona notizia: è stato adottato.
Una famiglia dei quartieri alti è disposta a prendersi cura di lui; l’ha spuntata su molte altre famiglie, in corsa per accaparrarsi ‘L’orfano della diciassettesima strada’, l’unico bambino fra i sopravvissuti all’incendio.
All’uscita dall’istituto, le educatrici si sono radunate vicino a lui sorridenti; si dicono contentissime per questo lieto fine, mentre rispondono alle interviste di una serie di giornalisti, radunatisi lì per l’evento.
“Come ti senti, Charles? Sei felice?” Gli chiede una signorina bionda dall’aria inappuntabile, senza ottenere risposta.
Di fronte all’istituto, messi in posa per telecamere e fotografi, i coniugi O’Connor sorridono, sospingendo il loro unico figlio verso quello adottivo.
“Ciao, io sono Peter, tuo fratello” Si presenta il bambino di circa sette anni, per poi girarsi a cercare il consenso della madre.
“Io e mia moglie Patricia siamo più che lieti di dare una casa a questo ragazzo sfortunato” Dichiara ai giornalisti il capofamiglia O’Connor.

Da quanto è arrivato nella loro casa, una villetta bianca sulla settima strada, Charlie si ostina a non voler parlare; soprattutto con quelli là.
Verso di loro ha sviluppato un’antipatia, che sfocia nel disprezzo, per cementarsi in un odio inveterato; un sentimento che non ha mai provato in vita sua.
I loro capelli… Rossi… Il fuoco…
La signora O’Connor e il piccolo Peter vengono a chiamarlo: il pranzo è pronto.
“Vieni, Charlie boy! Oggi ti siedi a tavola vicino a me!”
“E’ pronto, vieni? Oh, Charlie boy, ma perché te ne stai sempre rintanato in camera e non parli mai? E chiudi quella finestra: ormai è autunno, non hai freddo?”
 
Top
0 replies since 6/6/2009, 23:21   94 views
  Share