La canzone che cantavi per lei, Generale, Fluff | 16+

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Vampire_Ebony
view post Posted on 28/9/2009, 21:36




Rating:16 anni
Tipologia: One-Shot,
Lunghezza: 1156
Avvertimenti: Slash (accennato)
Genere: Generale, Fluff
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits:il titolo viene dalla canzone di Ivri Lider "Hashir shesharta lach (la canzone che cantavi per lei); la canzone citata nel testo (nella versione inglese) è Ha-keva Haze (My aching heart) di Ofra Haza.
Note dell'Autore: Originalriamente scritta per il Fluffathlon fi Fanficitalia (lj)
Introduzione alla Storia: Una madre può fare di tutto, anche tirare fuori una vecchia canzone, per consolare il figlio dal cuore infranto.

Le lacrime scivolano via dal viso di lui, veloci come acque di un wadi in piena. Bambino mio, non piangere, qui c’è la tua mamma. Vorrei che tu fossi sempre felice questo pensa Leyla, limitandosi a tenere stretto il suo bambino al seno.
Le sembra così strano veder piangere suo figlio ormai trentenne con la stessa disperata foga di quando era un neoonato e l’unico modo per farlo calmare era stringerlo ap petto florido, perchè respirasse l’odore di rose e di latte.
Quando è cresciuto, ha serrato nelle rughe del volto le sue emozioni e ha smesso di piangere. Anche quando suo fratello gli allungava un calcio o uno scapaccione, lui non piangeva mai.
Fra i suoi quattro figli, Rami è sempre stato il suo preferito.
Si dice che le madri dei mammiferi abbiano una predilezione per l’elemento più debole della loro prole, quello piccolo e con meno possibilità di farcela degli altri.
O forse semplicemente perchè quel bimbo naspettato, nato tardi, quando il suo matrimonio era già al collasso, se lo è cresciuto tutto da sola, tenendolo sempre accanto a sè.
A volte crede di averlo quasi soffocato per troppo amore. A voler fare della filosofia da cortile si direbbe che lei è la colpa dell’omosessualità di lui.
Ma Leyla non pensa sia giusto parlare di colpe, è sempre stata convinta che ogni essere uman sia come Dio lo vuole, anche se non sempre ne capiamo la ragione, e l’importante è che ognuno trovi la strda per la sua felicità, rispettando se stesso e il mondo attorno.
Per lei l’omossessualità del figlio non è mai stata un problema, anzi in qualche modo le ha evitato il trauma di vedersi sostituita da un’altra donna nel cuore di lui.
L’unica cosa che adesso la preoccupa davvero è vederlo così abbattuto, tremante e infinitamente indifeso. Un piccolo pulcino rimasto solo nel temporale che non ha neppure la forza di aprire il becco e pigolare.
“Bambino mio.” Gli accarezza ancora una volta il viso deturpato dalle lacrime e gli asciuga gli occhi con un fazzolettino a fiori gialli.
“Fa male quando un amore finisce.” Gli sussurra. E fa male anche di più per te, amore della mamma, perchè lo so che hai un cuore troppo buono. Ogni pensiero le sembra stupido di fronte a quel dolore, anche se potrebbe raccontargli cos’ha provato lei quando decise-secoli fa- di chiedere il divorzio. Ma quel dolore remoto sembra un nulla di fronte alla soferenza dell’uomo che lei amma più di tutti.
Lo stringe ancora una volta, gli tocca le guance. Poi si alza, girovagando per la cucina.
“Ti preparo un tè?” gli chiede, sentendosi stupida. Avrebbe voglia di rompere il silenzio di lui, ma il legame speciale che c’è tra loro non ha mai avuto bisogno di tante parole: lei sola riesce ad oltrepassare facilmente il muro che il suo bambino ha posto fra sé e il mondo.
“No mamma...non importa.” Tira su col naso e a Leyla vengono in mente tutte le volte in cui gli raccomandava di togliersi quel vizio.”Ho sbagliato. Non dovevo lasciarlo. Non ero più felice con lui, non sono felice adesso.” Non le è mai sembrato più tenero, con la voce rotta e arrochita dal pianto. Ed è orgogliosa di lui, orgogliosa di quella tenerezza che il mondo non ha lacerato. Mette comunque a bollire un po’ d’acqua e apre il barattolo del tè alla menta-quello che lui preferisce.
“Ho anche il miele rosato, quello che fa bene alla gola.” Gli sussurra. Dalla vetrina prende le due tazze con i loro nomi che ha dipinto al corso di ceramica pomeridiano. Accanto ai caretteri precisi ci sono delle margheritine rosa.
“Stai attento al tè, per favore.” Gli dice, con un tono forse troppo autoritario. Ma lui saprà perdonarla.
“Mamma, dove vai?” le chiede, inseguendola con gli occhi sgranati e rossi.
“Non ti preoccupare.” Gli sorride”torno subito.”
Ma Rami si preoccupa appena sente un rumore di oggetti violentemente spostati provenire dalla camera.
“Mamma, va tutto bene? Hai bisogno di una mano?” La stanza sembra agli occhi di lui una porta verso il passato: nulla è cambiato da quando abitava lì con lei.
Sul cassettone in legno c’è ancora incorniciata una foto sbiadita che lo ritrae insieme ai fratelli, tutti e quattro vestiti a festa per qualche remota occasione importante.
Si lascia trasportare per un attimo dalla tenerezza.
da bambini è tutto così semplice e cristallino...no, è la bugia che ci raccontiamo crescendo.
“renditi utile, prendimi questa.” Leyla gli consegna uno scatolone molto pesante, chiuso con del nastro adesivo marrone.
!”Vieni.” gli dice, tenendo in mano una scatola da scarpe polverosa “o il nostro tè si raffredderà. Appoggia pure la scatola sul tavolo.” Lei lo stringe di nuovo forte, poi si concetra di nuovo sul te.”Apri la scatola.” Gli suggerisce.
“Hai ancora il mio mangianastri?” si stupisce lui, aprendo la scatola. Leyla si volta e gli bacia la testa.
“Come potevi dubitarne, piccolo? Ora lo mettiamo in funzione.” Gli propone, sfregando l’apparecchio giallo limone con uno straccio.”Qui” gli dice, aprendo l’altra scatola”ci sono ancora tutte le tue cassette. Quelle che ti compravo quando andavamo in centro insieme.” Ramy attacca il riproduttore alla corrente e quello con un leggero fruscia accende una spia rossa.
Leyla tira fuori alcune cassette, l’odore della polvere si mischia a quello del tè tenuto in infusione per troppo tempo, lasciando nella stanza un odore di vissuto. Lei toglie con cura una musicassetta dalla copertina di plastica ingiallita, lo posa con lentezza nel mangianastri e comincia a scorrerlo. Rami si alza, andando alla finestra.
“Piove. Anche l’estate se ne sta andando.”. L’indice di lei fa partire una voce tra i frusci:
“I thought by now I’d forget/ give me a sign/ I wanted more than the pain you left...”
“Ti ricordi quanto ci piaceva ascoltare insieme questa canzone?” Lui si volta, si asciuga le lacrime e la prende per mano, cominciando a ballare un valzer sgraziato e senza accenti.
“Sono troppo vecchia per ballare.” Ride a denti scoperti, sfiorandogli la guancia coperta da una barbetta ispida. Lui si ferma baciandole premurosamente la mano ed inizia a cantare:
“We’ve turned the page and the summer’s gone, turning to fall, memories point the pcitures like dreams..” la sua voce le ricorda quella cn cui da bambino cantava, seguendo la cassetta per farle tornare il sorriso che lei aveva perduto nell’ennesima lite con suo marito. E anche adesso il cuore le si stringe e non può fare a meno di guardarlo con incondizionato amore.
“And you filled my soul, made me whole, and watched me cry...my aching heart.” Lui continua a cantare, le lacrime che diventano stelle e lei si aggiunge con la sua voce segnata dagli anni:
“..and I’ve got nothing, no strenght left to watch you fall, nothing left at all.” Lei lo guarda negli occhi, pensando che sì, suo figlio è proprio un angelo. Si avvicina e gli dà un bacio tenero a fior di labbra perchè io ti amerò sempre, bambino mio.
 
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