Corrispondenza, [19/09/09] Forgive me

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Alaide
view post Posted on 6/11/2009, 14:40




Rating: Per tutti
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 4.293 parole, 8 pagine (Times new roman 12), capitolo unico
Avvertimenti: nessuno
Genere: Generale, Introspettivo
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: la frase ad inizio del racconto è di Andrew Greeley
Note dell'Autore: La storia è scritta secondo lo stile epistolare, riportando le lettere dei due protagonisti nell'arco di un anno.
Nonostante la scelta di porre ad inizio della storia la frase di Greeley proposta nell'elenco delle frasi ispiratrici, anche altre hanno portato alla riflessione che ha dato vita al racconto. Faccio riferimento in particolar modo alle citazioni di Schopenhauer e Gandhi.
L'ambientazione ottocentesca è dovuta ad una fascinazione personale per la Francia fin de siècle, ma la vicenda in sé potrebbe ambientarsi in qualsiasi altro tempo e luogo.
Il tempo del processo a Jean è volutamente accelerato per poter avere la prima e l'ultima lettera scritte ad un anno esatto di distanza.
Introduzione alla Storia:Anelo solo al perdono di Sophie, ma lei è morta, uccisa dalla mia stessa mano e non può più pronunciare verbo. Eppure vi sono momenti in cui credo che voi possiate parlarmi con la sua voce. Voi avete vissuto il tormento in questo anno, anche se ben diverso dal mio. Voi avete sofferto, sebbene di una sofferenza santa. Voi dovete aver provato angoscia, sebbene fosse l’angoscia di chi ha perso qualcuno a causa della mia mano omicida e non di chi ha perso qualcuno perché l’ha ucciso.
Come vi dicevo, cara cugina, - ma forse inorridite ogni qual volta leggete questa parola - anelo al perdono, un perdono che solo voi, nella vostra immensa bontà potete donarmi e che forse non mi donerete mai.




Corrispondenza

Il perdono è l'essenza dell'amore. Amare è perdonare, perdonare è amare. (Andrew Greeley)


Orléans, 24 marzo 1892


Carissima Claire,
immagino non vi aspettiate una lettera da me, non dopo quello che è accaduto un anno fa. Non pretendo nemmeno che rispondiate a questa mia, ma non potevo continuare a vivere senza prima avervi parlato, per quanto non direttamente.
Forse sono solamente troppo vigliacco per avere a che fare direttamente con voi.
Sono certo che voi ricorderete ogni singolo istante dei primi mesi dell’anno 1891, quando ci ritrovammo entrambi a Chantilly. Credo che per voi, Claire, sarebbe soltanto incredibilmente doloroso rivivere quei momenti, così come lo è per me.
Forse vi direte che per me non v’è nulla di difficoltoso nel ricordare, essendo io la causa del vostro dolore.
Se mai penserete questo, sappiate che vi state sbagliato.
Non è passato giorno, da allora, durante il quale non mi sia interrogato e tormentato ripensando al male che vi avevo fatto, che, può essere, vi sto facendo ancora.
So perfettamente che i ricordi - ed i ricordi dolorosi più degli altri - possono essere terribili e lo sono sia per colui che fu vittima, sia per chi fu colpevole. Io fui colpevole ed il cielo sa che non smetto di biasimarmi per il mio delitto. Desidero ad ogni istante poter tornare indietro, non fare più quello che ho fatto, ma non v’è nulla di rimediabile, perché è impossibile riportare in vita i morti.
Può essere che, giunta a questo punto della mia lettera, voi, carissima cugina, cesserete la lettura e brucerete questa mia e di certo non posso biasimarvi se agirete in questo modo. Vi ho privata di un bene prezioso e ve n’ho privata per sempre.
Ed è per questo che non mi do pace e non me ne darò mai. Forse sarebbe stato meglio se vostro padre avesse deciso di affidarmi alla giustizia, mandando al diavolo il buon nome della famiglia, ma così non è stato. Ed io, omicida, sono libero di calcare la terra di coloro che sono innocenti, quando poveracci, che hanno avuto molte più ragioni di me per compiere peccati ben più veniali, marciscono nei bagni penali.
Spero perdonerete queste mie parole che, con ogni probabilità, vi sembreranno false e costruite. Invece, carissima cugina, le credo davvero e con tutto il cuore.
Se chiederete a vostro padre, vi dirà che gli ho inviato più volte la richiesta di potermi consegnare alla giustizia, anche se questo avrebbe significato, quasi sicuramente, il mio salire i gradini che conducono alla ghigliottina.
Ma egli ha sempre rifiutato.
Ed ora mi trovo, nella casa della mia infanzia, a portare il fardello del sangue di vostra sorella, della mia prima cugina, così come lo siete voi, sangue versato in nome di un amore che nulla aveva di santo.
Vi ho tolto l’amica più cara, Claire, e credetemi quando vi dico che la sua immagine mi tormenta tutte le notti. Vorrei non aver mai calato il pugnale su di lei, vorrei non aver mai pensato di poter amare Sophie. Vorrei molte cose, ma tutte queste sono impossibili.
Se state ancora leggendo, sono certo che la vostra dolce sensibilità vi abbia fatto comprendere, Claire, che il mio cuore vive nel tormento, nell’angoscia e nel senso di colpa. Vi sono giorni in cui vorrei porre termine alla mia vita, ma non ho la forza, né il coraggio per farlo. Forse, tutto ciò che mi serve è poter pregare, ma mi sento troppo indegno per farlo.
Anelo solo al perdono di Sophie, ma lei è morta, uccisa dalla mia stessa mano e non può più pronunciare verbo. Eppure vi sono momenti in cui credo che voi possiate parlarmi con la sua voce. Voi avete vissuto il tormento in questo anno, anche se ben diverso dal mio. Voi avete sofferto, sebbene di una sofferenza santa. Voi dovete aver provato angoscia, sebbene fosse l’angoscia di chi ha perso qualcuno a causa della mia mano omicida e non di chi ha perso qualcuno perché l’ha ucciso.
Come vi dicevo, cara cugina, - ma forse inorridite ogni qual volta leggete questa parola - anelo al perdono, un perdono che solo voi, nella vostra immensa bontà potete donarmi e che forse non mi donerete mai.
Il vostro affezionato cugino,
Jean.


Chantilly, 17 maggio 1892


Jean,
ho atteso lungo tempo prima di riuscire a rispondere alla vostra lettera.
Immagino ne capirete benissimo il motivo.
La vostra lettera mi ha stupita e sconvolta. Mai mi sarei aspettata di ricevere una vostra, dopo quella notte del tredici febbraio. Voi avete ucciso la mia adorata sorella maggiore e non posso, nemmeno se il mio cuore volesse con tutto se stesso, perdonarvi. Mi avete privata della mia amica più cara, della dolce compagna della mia infanzia.
Voi dite che vorreste pagare il fio per le vostre azioni. Ebbene è quello che desidero anch’io, ma mio padre ha deciso in maniera differente. Ed io non posso nulla contro di lui. Egli decide per la mia vita, per la vostra e avrebbe deciso anche per la vita di Sophie, se voi non l’aveste privata del respiro.
Voi sostenete di essere tormentato ed angosciato, ma mai potrete provare la mia stessa angoscia ed il mio stesso tormento.
Vi prego, Jean, di non scrivermi più.
Claire.


Orléans, 20 luglio 1892


Carissima Claire,
so che mi avete pregato di non scrivervi più, ma non posso fare altrimenti e come noterete ho tentato, per il più lungo tempo possibile, di non vergare una sola riga di risposta alla vostra lettera del diciassette maggio.
Invece non posso fare a meno di scrivervi, per quanto possa comprendere perfettamente che questa mia lettera non vi possa essere gradita. Non ho mai preteso che così fosse. Forse avrete già distrutto da tempo questo foglio e non starete leggendo queste poche righe.
Non posso di certo biasimarvi per questo.
Se invece state leggendo, vi prego di prestarmi attenzione.
So perfettamente che non proverò mai la vostra angoscia ed il vostro tormento, né tantomeno il vostro dolore. Voi avete perso, per mano mia, la vostra amica più cara. Io ho perso, a causa del mio gesto, la pace, come è giusto che sia.
Il tormento di chi causa la perdita è di certo dissimile dal tormento di chi questa perdita la subisce. Eppure è pur sempre un tormento estremo.
Vi pregherei di considerare questo punto.
Il tormento.
Da che ho privato Sophie della vita, non vivo più. Non dormo e, quando questo accade, la mia notte è popolata di incubi. Fatico a mangiare e la vita stessa pare priva di senso, eppure non riesco a porre fine ai miei giorni.
Sono sicuramente tutti fenomeni che mi sono meritato.
Io devo soffrire e tormentarmi, perché ho portato sofferenza e tormento.
Se soltanto avessi compreso tutto questo per tempo... ma è inutile pensare a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
Non vi rinnoverò nemmeno la richiesta di perdono, per quanto il sapermi perdonato potrebbe permettermi di ritornare, se non a vivere, per lo meno a considerare la mia vita più sensata. Ma forse la mia esistenza non deve avere un senso, o meglio, è necessario che io provi unicamente il dolore più atroce ed il tormento più estremo.
Devo sentire tutto questo nel mio animo perché io ho compiuto qualcosa di atroce.
Vi prego di perdonarmi, almeno, l’aver ceduto a scrivervi questa mia lettera.
Il vostro affezionato cugino,
Jean


Chantilly, 15 agosto 1892


Jean,
come potete notare rispondo ben prima della volta scorsa.
Contrariamente a quanto io stessa credevo, ho letto tutta la vostra lettera ed ho meditato su ogni sua parola.
Forse non metto in dubbio il fatto che voi possiate provare tormento o dolore. Quello che non capisco è con quale coraggio osiate rivolgervi a me che avete privato di un bene prezioso.
Il vostro pentimento - perché di pentimento deve trattarsi - è sicuramente lodevole, ma il mio cuore non riesce a trovare parole di lode.
Se volete veramente fare qualcosa che possa ridonarvi la pace, andate presso le autorità e denunciatevi, qualsiasi cosa possa dire mio padre.
Egli decide il destino di tutti, come vi ho detto nella mia scorsa lettera, ma non è Dio e non può scegliere sempre per gli altri.
Forse allora potrò perdonarvi.
Claire.


Orléans, 8 ottobre 1892


Carissima Claire,
ho fatto quello che mi avete chiesto.
Ed il motivo del ritardo nella mia risposta è proprio questo. Non è facile avere carta e penna nel carcere di Orléans.
Per una qualche ragione che io non riesco a spiegarmi, non mi hanno condannato a morte, come avrei forse preferito. Vivrò perpetuamente insieme ad altri disgraziati al par mio. Ma forse è giusto così.
Credo che la mia pena segua un qualche disegno divino che mi possa portare a riflettere veramente sul mio crimine.
Ogni istante che è trascorso dal mio arresto e dal mio breve processo, ho sentito aumentare il tormento e la consapevolezza della gravità di quanto ho compiuto. Sono un assassino della peggior specie e non lo nego. Ho le mani lorde di sangue e non lo nego. Ho il cuore ingombro di peccati e non lo nego.
Con quale coraggio potrei fingere di non aver mai fatto quello che ho fatto?
Nessuno.
Anzi l’immagine del corpo insanguinato di Sophie è sempre più fissa nella mia mente e, con essa, il tormento e l’angoscia.
Io, che mi definivo un tempo cristiano, ho tolto la vita ad un mio simile. Solo ora che è troppo tardi mi rendo conto del male che ho fatto. Ed ho la presunzione di chiedervi di perdonarmi.
Al contrario di quanto voi sostenete, non credo che il perdono possa donarmi realmente pace. Forse, semplicemente, potrà farmi sentire di nuovo un uomo.
Se c’è qualcosa che ho compreso da questa mia fatale azione, è che, nel momento stesso in cui ho pensato di alzare la mano contro un mio simile, ho cessato di essere realmente un uomo, diventando unicamente un essere assetato di sangue. Ho smarrito la mia umanità, per obbedire a leggi che di umano avevano ben poco.
Ed ora, che la mia umanità è persa, la rimpiango e mi dispero al pensiero della vita che ho tolto.
Sarà questo un pensiero che non mi abbandonerà mai.
Vi sono momenti in cui prego Dio di concedermi il suo perdono, momenti in cui penso che non esista alcun Dio, momenti in cui mi abbandono, durante la notte, al pianto più disperato, momenti in cui vorrei iniziare improvvisamente a ridere.
Sono forse un pazzo.
O semplicemente un uomo che ha dimenticato cosa voglia dire essere un uomo, perché io stesso ho ucciso la mia umanità.
E, per quanto il tormento, la colpa e l’angoscia non cesseranno mai, credo che il vostro perdono potrà riportarmi il ricordo di cosa voglia dire essere un uomo.
Nel momento stesso in cui scrivo queste parole, mi sento profondamente egoista. Penso che aver perso la mia umanità, sia la giusta punizione - ancor più giusta che trovarmi in una prigione - per aver tolto una vita.
Eppure non posso fare a meno di anelare al perdono.
Il vostro affezionato cugino,
Jean


Chantilly, 25 ottobre 1892


Jean,
ammetto che la vostra lettera mi ha stupita.
Non mi sarei mai veramente aspettata che, alla fine, decideste di consegnarvi alla giustizia e forse, questo vostro gesto, mi fa comprendere, finalmente, che le vostre parole sono assolutamente sincere.
Voi provate realmente tormento ed angoscia.
Sebbene il mio cuore non riesca ancora ad accordarvi il perdono, - troppo è l’odio che ho provato per voi - posso dirvi apertamente che ammiro la vostra presa di coscienza. Vi sono assassini che continuano per la loro strada, pensando, al contrario di quanto fate voi, di aver commesso qualcosa di sacrosanto. Vi sono omicidi che non vengono nemmeno sfiorati dal pentimento.
Voi, invece, soffrite e vorreste tornare indietro ed il cielo sa quanto anch’io vorrei che il tempo possa improvvisamente scorrere in senso contrario.
Ma servirebbe veramente?
Voi non commettereste forse lo stesso gesto?
Non accadrebbero gli stessi fatti?
Sophie vi rifiuterebbe sdegnosamente, come ha fatto a gennaio dell’anno scorso. Voi la tormentereste, tentando di convincerla del suo errore, di quanto si sbagli, di quanto siate fatti l’uno per l’altra. Sophie vi direbbe nuovamente che, anche se lei vi amasse, non avreste speranze, perché la vostra parentela vi impedirebbe di unirvi di fronte a Dio e di fronte agli uomini. E voi persistereste, fino al momento in cui la vostra mente vi porterebbe a credere che Sophie non può essere che vostra. E allora calereste il pugnale su di lei, perché in tal modo mia sorella non avrebbe potuto essere di altri.
Mio padre, come allora, farebbe in modo di nascondere l’omicidio agli occhi del mondo, preferendo far credere a tutti che la dolce Sophie sia morta di malattia. E voi tornereste a Orléans e vi tormentereste.
La vita non è fatta per essere rivissuta, Jean, perché, anche se si potesse tornare indietro, la mente perderebbe la memoria del tormento futuro e si compirebbero le stesse scelte di fronte agli stessi fatti.
Oppure sono io che non voglio credere che, donandovi una nuova possibilità nel passato, voi vi comportereste diversamente.
Tutto quello che posso comprendere è che credo, cosa che prima mi era a tratti impossibile, alle vostre parole e al vostro pentimento. Vi sono stati momenti, nel leggere le vostre precedenti lettere, che pensavo che voleste semplicemente irridermi. Ora so che non mentivate.
Considerate già questa mia accettazione, come un passo decisivo.
Forse con il tempo potrò, se non perdonarvi, per lo meno considerarvi ancora degno di tornare ad essere mio cugino.
Claire


Orléans, 15 dicembre 1892


Carissima Claire,
non pensiate che non abbia ricevuto la vostra lettera o che non voglia rispondere a quest’ultima. Come già vi ho detto nella mia ultima, è difficile avere carta e penna nel carcere.
Le vostre parole, per quanto non portatrici del perdono che la mia anima anela, mi hanno riscaldato un poco il cuore. Almeno mi credete e non giudicate oltraggioso il mio scrivervi.
Non so se voi abbiate ragione riguardo al tornare indietro nel tempo. In fondo nessuno potrà mai comprenderlo. È solo un desiderio del cuore di un uomo che vorrebbe rimediare all’irrimediabile.
Se avessi rubato, avrei potuto riconsegnare la refurtiva. Se avessi commesso uno sgarbo, avrei potuto trovare il modo di cancellarne il ricordo.
Ma io ho ucciso e un morto non può essere riportato in vita. Ho assassinato vostra sorella e voi non potete cancellare il ricordo di questo fatto. E nemmeno voglio che lo facciate.
Forse riderete di fronte a questa mia frase.
Come mai potreste dimenticare?
Eppure l’animo umano è volubile e vi sono promesse che si fanno a se stessi che non si mantengono.
Io ne sono l’esempio più esplicito.
Avevo giurato, quando mi sono reso conto di amare vostra sorella, che mai le avrei fatto del male. Avevo promesso a me stesso che, qualsiasi parole lei mi avesse detto, avrei accettato un suo più che giusto rifiuto.
Invece ho fatto l’esatto contrario.
Sono certo che voi abbiate giurato a voi stessa di non scordare mai vostra sorella ed il male che le ho fatto. Invece forse lo farete, per quanto vi sembri inverosimile.
O forse mi perdonerete e poi dimenticherete di averlo fatto. O della strada che vi ha portata al perdono.
Forse troverete quello che vi scrivo un delirio senza fine.
Può essere che la prigione mi stia facendo lentamente impazzire. Eppure credo che vi sia lucidità nelle mie parole. Semplicemente ho molto tempo per riflettere e molto tempo per tentare di comprendere cosa mi abbia spinto a compiere quel gesto terribile. Ed il tormento mi soffoca senza tregua e, con esso, la consapevolezza di aver volontariamente ucciso non solo Sophie, ma la mia umanità e la mia capacità di essere realmente un uomo, un uomo libero.
Quando ho ucciso vostra sorella, l’ho fatto deliberatamente e non pensiate che le parole che seguono vogliano essere un modo per assolvermi. Al contrario, voglio rendermi ancora più colpevole, perché sono infinitamente colpevole.
Calando il pugnale su Sophie non ho obbedito alla voce saggia e benevola della mia razionalità, ma piuttosto alla voce prepotente e tiranna del mio cuore e sono divenuto schiavo della passione e come uno schiavo ho agito. Eppure questo mio agire in schiavitù non mi scagiona. Al contrario, rende ancora più evidente che, uccidendo Sophie, ho perso per sempre me stesso.
Sono questi pensieri che mi accompagnano durante tutte le mie giornate, che non mi abbandonano per un solo istante. Ed è giusto che sia così.
Spero, in tutta sincerità, di leggere ancora le vostre parole, cara cugina.
Pur non perdonandomi - e non pretendo nemmeno che lo facciate - mi donate molto, forse una parvenza di amore, non di quell’amore colpevole di cui volevo macchiarmi e che forse non era nemmeno reale amore, ma solo infimo desiderio di possesso.
E già, solo scrivendomi, Claire, mi ridate una parvenza di umanità. Forse posso sperare di tornare ad essere un uomo, nonostante la mia colpa e la mia pena. Non vivrò più tra gli uomini, ma continuerò ad essere un uomo. O forse, gli altri colpevoli con cui scorro il tempo, provano i miei stessi sentimenti ed il mio stesso tormento ed anch’essi conoscono una donna od un uomo che ha la capacità se non di perdonare, per lo meno di non gettare nel fuoco le loro parole. C’è chi riceve lettere, chi è circondato dal mutismo. Vi sono forse altri esseri fortunati quanto lo sono io?
Voi mi fate un dono, di cui non sono sicuramente degno, scrivendomi e di questo vi ringrazierò fino a quando la morte non verrà a reclamarmi.
Il vostro affezionato cugino,
Jean.

Chantilly, 2 gennaio 1893


Jean,
ho letto e meditato a lungo sulla vostra ultima lettera.
Non credo che voi deliriate. Dimenticare fa parte della mente umana e a volte ci si dimentica troppo in fretta delle questioni più importanti.
Pochi giorni fa ho captato una conversazione tra mio padre e un suo amico ed ho compreso che il mio genitore sta dimenticando - forse perché vuole dimenticare - la sorte di Sophie. Sembra quasi che abbia cancellato dalla sua vita tutto quello che può rammentargli la mia cara sorella oppure è arrivato a credere alle sue stesse menzogne.
Il più delle volte, cugino, si sceglie di dimenticare, perché è più facile far cadere certi ricordi nell’oblio, piuttosto che averli ben presenti nella propria mente.
Anche voi avreste potuto decidere di dimenticare, invece non l’avete fatto ed è questo qualcosa di assolutamente fondamentale per me.
Non so se un giorno anch’io giungerò a dimenticare. Come dite voi, l’animo dell’uomo è volubile. Eppure so che non voglio dimenticare, né la morte di Sophie, né la mia decisione di rispondere alla vostra prima lettera.
Nella mia del diciassette maggio dello scorso anno, non ho fatto alcun cenno a quanto mi sia dibattuta sul da farsi. Ho cominciato più volte a scrivere nero su bianco alcune parole. Alle volte brusche e colme di disprezzo, altre volte più pacate, ma poi ho sempre stracciato quei fogli in preda all’ira.
Credo che fosse qualcosa di assolutamente naturale.
Voi avete ucciso mia sorella e questo è un fatto che non potrò dimenticare.
Voi mi avete scritto per chiedermi di perdonarvi ed anche questo è qualcosa che non potrò dimenticare, perché la vostra prima lettera è stata per me fonte di tormento, d’ira e di incredulità. Eppure vi ho risposto, forse perché non potevo fare diversamente, in quanto voi siete pur sempre mio cugino.
Non so se potrò mai perdonarvi il male che avete fatto a Sophie ed il dolore che mi avete provocato.
Così come non so cosa accadrebbe realmente tornando indietro nel passato, così non posso divinare cosa accadrà in futuro. Sono certa che voi non abbiate mai pensato di uccidere mia sorella, se non poche ore prima di prendere la decisione. Così io non ho mai pensato di poter ancora aver a che fare con voi, invece ho risposto alla vostra prima lettera e sono giunta a credervi.
Nella mia scorsa lettera vi ho detto che tornando indietro nel tempo, avreste compiuto le stesse identiche azioni. Adesso non lo credo più. Forse avreste scelto diversamente. Forse no. Ma l’uomo non può rivivere il tempo, può unicamente proseguire lungo la strada tracciata dalle sue libere scelte.
Voi dite che, uccidendo mia sorella, avete agito schiavo della passione. Io dico che, uccidendo mia sorella, voi abbiate scelto di agire schiavo della passione.
Se c’è qualcosa che mi appare strano, in tutto questo, è il poter parlare con tale naturalezza della morte di Sophie, per quanto il dolore sia sempre presente in me, lancinante. E parlarne proprio con voi che l’avete uccisa.
Non comprendo cosa mai possa significare, ma forse è inutile cercare sempre e ovunque un significato.
Claire


Orléans, 19 febbraio 1893


Carissima Claire,
ogni vostra lettera è una grazia per la mia anima sofferente ed in ogni vostro scritto mi donate, sempre più, un barlume della mia umanità perduta e un infinto amore.
Leggendo queste vostre lettere ho imparato ad apprezzare la vostra forza, cara cugina. Soltanto una donna sommamente forte, può riuscire a scrivere a colui che l’ha privata volutamente - non avete per nulla torto. Ho scelto di agire schiavo della passione - della sorella e dell’amica più cara.
Date prova, Claire, di un animo raro e colmo della più vera umanità. Forse è per questo che ogni vostra lettera mi mostra parte dell’umanità perduta, dell’umanità che io ho ucciso.
Nemmeno io conosco cosa accadrà in futuro, ma so per certo, nonostante la volubilità dell’animo umano, che non dimenticherò mai il mio delitto, perché il pensiero di quello che ho fatto è diventato parte della mia vita. E non dimenticherò mai le vostre lettere, perché esse sono il dono più grande che un altro essere umano possa fare ad un omicida.
Voi siete degna di lode, Claire.
Vi prego di accettare queste parole di stima, per quanto pronunciate da chi è assolutamente privo della dignità di poterlo fare.
Il vostro affezionato cugino,
Jean.


Chantilly, 24 marzo 1893


Jean,
vi scrivo casualmente lo stesso giorno in cui, un anno fa, voi mi avete scritto per la prima volta. Ma forse questo non è unicamente un caso, ma un simbolo.
Vi sono giorni che, per motivi diversi, assumono per ognuno di noi significati diversi. Ed il ventiquattro marzo diventerà uno di questi, forse perché entrambi abbiamo compiuto un cammino inimmaginabile dopo quel tragico giorno in cui voi avete ucciso ed io vi ho odiato.
Ho imparato a conoscervi realmente, leggendo queste vostre lettere. Forse mai vi ho conosciuto come in questi lunghi mesi, in cui, seppur con lentezza, ci siamo scambiati le nostre opinioni. Ho riletto tutte le vostre lettere e ho notato in voi, cugino, una lucidità che pochi hanno ed una presa di coscienza di sé assai rara in questo mondo.
Immagino sarete stupito nell’apprendere che ho conservato le vostre lettere e ne sono rimasta stupita anch’io.
Ma forse era la cosa più naturale.
Voi avete parlato più volte di dimenticare. Ebbene avevo dimenticato qualcosa di importante. O forse non ero ancora preparata a poter prendere coscienza di quanto il mio affetto per voi non sia mai scemato, nemmeno dopo l’omicidio di mia sorella.
Era molto più semplice odiarvi che non accettare di considerarvi ancora mio cugino e di nutrire per voi l’amore che si nutre per un cugino.
Forse se non mi aveste scritto, avrei continuato ad odiarvi o a credere di farlo. Capirete perfettamente da solo che ripetermi che vi odiavo era un modo per essere in pace con me stessa. Voi avete ucciso mia sorella e mi avete privato della mia più cara amica, di qualcuno che amavo. E non posso dimenticarlo. Voi sarete sempre l’omicida di mia sorella. Voi sarete sempre qualcuno che ha commesso qualcosa di terribile, il carnefice di Sophie e del mio cuore.
Eppure allo stesso tempo, voi sarete sempre mio cugino. Il bambino con cui io e Sophie giocavamo da piccole. Il giovane affascinante che discorreva di arte e letteratura. L’uomo che ha avuto il coraggio di scrivermi e di chiedermi perdono, che ha avuto il coraggio di ammettere le proprie colpe e di accettare quello che il suo delitto significava. Voi dite che io ho un animo forte, ma anche in voi v’è forza, perché ci vuole forza per prendere coscienza così lucidamente della propria condizione e delle proprie colpe.
L’animo umano è contradditorio, Jean, ed in esso possono convivere sentimenti così terribilmente opposti.
Forse vi odio veramente ancora. E allo stesso tempo non posso far altro che considerarvi mio cugino.
Se non avessi provato per voi una parvenza d’affetto, non vi avrei mai risposto nel maggio dell’anno scorso. Se non provassi per voi anche una minima parte d’amore, non potrei donarvelo. E se non vi amassi non potrei mai concedervi il mio perdono.
Forse la mia anima era già giunta da tempo a perdonarvi, ma doveva essere la mia mente a comprenderlo.
Di certo non potrò dimenticare che voi siete l’assassino di Sophie, ma non potrò nemmeno dimenticare di essere arrivata a perdonarvi.
Non mi sento né particolarmente buona, né ammirevole per questo.
Mi sento semplicemente una donna che ha preso liberamente una scelta e spero sinceramente che voi, caro cugino, possiate giungere a sentirvi nuovamente un uomo, a riappropriarvi dell’umanità smarrita il giorno in cui avete ucciso Sophie. Forse anch’io avevo perso parte della mia umanità per strada, quando desideravo di vedere il vostro capo toccare il suolo, dopo che la lama della ghigliottina l’aveva reciso dal corpo.
Ed ora, che vi perdono, mi sento realmente una donna, con tutta la mia umanità contraddittoria.
Spero di riuscire, grazie all’influenza del nome di mio padre, a potervi fare visita un giorno.
La vostra affezionata cugina,
Claire.

 
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