Sucre, #5, Cioccolato/Caffè/Tè

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Lely1441
view post Posted on 17/1/2010, 14:04




Titolo: Sucre
Autore: Lely1441
Fandom: Bleach
Genere: Commedia
Tipologia: One-shot
Avvertimenti: Nessuno
Introduzione: E poi, cosa se ne faceva del sapore? La cosa fondamentale era che la tenesse sveglia, che asservisse al suo compito. Un po' come lei: non doveva interessare il suo aspetto, di che umore si svegliasse alla mattina oppure se fosse preoccupata per qualcosa. L'importante era che svolgesse al meglio i suoi doveri.
Note dell'Autore: La mia prima fic su Bleach e sul mio pair preferito del manga... Mah XD Spero di non essere andata troppo OoC ç_ç
Disclaimers e Crediti: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Tite Kubo che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti nella saga di Bleach, appartengono solo a me. Soprattutto Beije (nome che dubito fortemente esista in Giappone, ma che ha una lunga storia alle spalle...) è di mia esclusiva proprietà. Oh ù_ù
La frase iniziale è presa da una canzone (Le cose che piacciono a me) di un musical (Tutti insieme appassionatamente).


Sucre





Più che il sapore il colore del tè,
ecco le cose che piacciono a me...
[Le cose che piacciono a me – Tutti insieme appassionatamente]



«Il suo tè ormai è freddo», disse Nanao con il solito tono indifferente. «Gelato. Ghiacciato. Talmente gelido che credo abbia mutato il proprio stato di aggregazione da liquido a solido. Un cilindro a forma di tazza, praticamente». Corrugò appena un sopracciglio, quando non sentì nessun mugolio e/o strano verso in risposta.
«Capitano...»
Si guardò intorno, e si accorse che era di nuovo sparito. Si alzò con uno sbuffo, prese la tazza e ne versò il contenuto ormai imbevibile nel vaso di un sempreverde, che giaceva immobile nell'angolo della stanza. La innervosiva immensamente sapere che il suo Capitano evitava accuratamente di trovarsi nelle vicinanze del suo tè quotidiano quando era lei a prepararglielo – ovvero, praticamente sempre –.
Le veniva troppo amaro. E non riusciva a capire nemmeno il perché: insomma, il procedimento era semplice, non è che ci fosse nulla di tanto complicato nel miscelare delle foglie triturate con dell'acqua calda; eppure, il suo sembrava più acqua sporca che altro... E soprattutto: cos'era quella strana patina scura che galleggiava in superficie? Non riusciva a farla sparire, ma era convinta che fosse quella a rendere il tè così imbevibile. Sì, sicuramente era colpa di quella cosa, della provenienza della scatola. Oppure era un fattore genetico nel suo dna, una malattia di carattere recessivo come il daltonismo... O ancora, molto più semplicemente, non era affatto portata per quel genere di cose. Un po' come per il pollice verde: c'era chi riusciva a fare di un seme una magnifica magnolia, lei, invece...
Lei, invece, era costretta ad osservare in silenzio l'unica pianta viva di quella stanza ingiallirsi pian piano, vedere le foglie accartocciarsi e ripiegarsi su sé stesse, quasi fossero intimidite dalla sua presenza. Molto più che probabilmente, era solamente colpa di ciò che era obbligata ad assorbire, con tutto quello che quei due le buttavano nel vaso. Calcolando funereamente il conto alla rovescia della futura dipartita della pianta, si alzò per preparare altro tè, per lei, notando quanto le mancasse prima di poter dichiarare concluso il suo lavoro d'ufficio.
Tornò alla sua scrivania e si sedette in ginocchio, aspettando che il liquido si raffreddasse un po', almeno un po'. Anche a lei faceva schifo, ma non lo avrebbe mai ammesso. Soprattutto, non al suo Capitano. Aveva il suo orgoglio da difendere, e una cosa di poco conto come il sapore era superflua, dopotutto. E poi, cosa se ne faceva del sapore? La cosa fondamentale era che la tenesse sveglia, che asservisse al suo compito. Un po' come lei: non doveva interessare il suo aspetto, di che umore si svegliasse alla mattina oppure se fosse preoccupata per qualcosa. L'importante era che svolgesse al meglio i suoi doveri.
Sospirò, osservando il colore scuro della bevanda, prima di posarla sul tavolo irritata. Passi il sapore, ma quando persino il colore era tutto ciò che non avrebbe mai dovuto essere, era costretta ad ammettere che la cosa si faceva leggermente snervante.

Quando il Capitano Kyoraku rientrò nella stanza – tenuta come sempre nella penombra, nonostante le continue lamentele da parte del suo Tenente che si proclamava prossima alla cecità, con tutto quel buio – emise un breve sospiro rassegnato e piroettò su sé stesso, trovando subito ciò che stava cercando.
«Nanao-chaaan!», ululò, avvicinandosi alla giovane donna seduta davanti ad uno dei due bassi tavolini della stanza. Questa non sprecò nemmeno un secondo per guardarlo, limitandosi a far parlare eloquentemente il suo sopracciglio per lei. «Mia adorabile Nanao-chan, dov'è il tè che avevi preparato con tanta cura solo per me?»
Nanao Ise lo guardò con quella che lui identificò come glaciale ferocia, prima di ritornare ai suoi documenti.
«Pianta. Vaso», sibilò, senza darsi cura di dare alla sua voce un tono meno acido. Shunsui Kyoraku fissò spaesato il sempreverde dietro di sé, inclinando appena il capo.
«Ma mio piccolo bocciolo in fiore, dubito che a Beije sia venuta così tanta sete da alzarsi da sola ed arrivare fino alla mia scrivania, far sparire la tazza e poi tornare indietro...»
La donna fremette, spazientita; ora si era messo persino a dar nomi alle piante?
«Magari lo dubita perché è fisicamente impossibile che un vegetale agisca di sua sponte, visto che non possiede nemmeno un intellet-»
«Shhh! Lei può sentirci!», gesticolò il suo Capitano in preda al panico, indicando la pianta. Nanao sentì fisicamente la sua palpebra contrarsi e distendersi in veloci sequenze ritmate, e corse con le dita a massaggiare l'occhio, per fermare il tic nervoso che l'aveva colpita.
E quello sarebbe stato uno dei Capitani più potenti dell'intero Gotei 13?
Ah be', allora...
«Si era freddato, ormai era diventato disgustoso. Ho preferito buttarlo», riassunse velocemente lei a capo chino, con la mano davanti agli occhi per non far vedere la delusione che si agitava nel suo sguardo. Udì distintamente un rumore che sembrava quasi un sospiro dispiaciuto, prima di vedere, seduta in ginocchio davanti a sé, l'enorme figura dell'uomo. Come al solito, i suoi movimenti erano tanto silenziosi che non era riuscita nemmeno a distinguere il fruscio del suo haori.
«Avanti, Nanao-chan, cosa c'è che non va?», domandò lui, con il suo solito sorriso a mezza bocca che era quanto di più sincero e doloroso lei avesse mai provato in vita sua. Prese fiato una, due, tre volte, iniziando a giocherellare con il manico della sua tazza personale, quella che aveva abbandonato infastidita dopo due sorsi lì sopra. Non le andava di parlare, ma dubitava potesse fare altrimenti. Dopotutto era il suo Capitano, e lei non poteva mentirgli.
«Penso solo che se il mio tè fa davvero così schifo, be'... Basterebbe dirmelo. Sul serio, non me la prenderei, ma è quest'assenza di chiarezza che mi indispettisce», si decise a buttar fuori infine, sperando solo di non udire una risata in risposta, perché non credeva sarebbe riuscita a tollerarla.
Visto il silenzio, si arrischiò ad alzare il volto, per vedere il suo Capitano fissare pensieroso il cielo che si intravedeva dall'unica finestra sull'altro lato della stanza. All'improvviso si sentì terribilmente sciocca e desiderò non aver agito d'impulso, per una volta tanto. Certi lati del suo carattere non riusciva proprio a controllarli.
«Nanao-chan, cosa credi abbia cercato in questi giorni?», la sorprese lui. Nanao rifletté per qualche istante.
«Un modo per sfuggire dal mio tè quotidiano?», sbuffò, sistemandosi una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio.
Shunsui ridacchiò divertito, e la giovane donna riuscì a sentire, abbastanza terrorizzata, un qualcosa come “Che carina la mia Nanao-chan quando si preoccupa per me e non lo vuole dare a vedere!” uscire dalle labbra del suo Capitano.
«Ma no. Cercavo Yachiru-chan», rispose lui, come se cercare il Tenente di un'altra brigata invece di svolgere il proprio lavoro – che consisteva nel firmare due fogli e dormire per il resto della giornata – fosse la cosa più normale al mondo.
«Yachiru-san», ripeté lei, con lentezza. L'altro si illuminò e annuì vigorosamente.
«Esatto, lei!», confermò, battendo le mani entusiasta.
Nanao tirò lievemente su con il naso, e si alzò in piedi. Con lui ancora inginocchiato, riusciva a sovrastarlo, anche se non di moltissimo.
«Ho capito», disse, con una calma quasi sovrannaturale. Passarono alcuni istanti in cui nemmeno un alito di vento osò disturbare l'aura demoniaca proveniente dalla donna.
«Mi sta dicendo che mentre io ero qui a lavorare lei era in giro a passeggiare in giro, cercando un Tenente che non c'entra niente con la nostra brigata?», urlò a pieni polmoni, scaraventandogli contro l'intero plico di documenti così che lui cadde all'indietro, colpito alla testa proprio da uno degli angoli di quel blocco enorme.
«Ma Nanao-chaaan, si può sapere cosa ti prende, ora?», si lagnò dal pavimento, mentre lei faceva il giro della scrivania per guardarlo in faccia, riuscendo a svettare minacciosamente persino con la sua piccola statura.
«E cosa aveva da chiedere di così urgente al Tenente, Capitano?», domandò con una flemma che contrastava drammaticamente con le fiamme dentro lo sguardo.
Shunsui ridacchiò, tirando fuori da una delle enormi maniche del suo kimono un piccolo sacchetto di carta marrone, chiuso da un nastro blu.
«Per te. Non sapevo come fare a procurarmelo, quindi ho domandato al Tenente, che infatti è riuscita a trovarmelo in pochissimo tempo».
Nanao osservò sospettosa il pacchetto, prima di afferrarlo con due dita.
«Cos'è?», chiese, assottigliando gli occhi.
«Aprilo», disse il suo Capitano, ridacchiando e continuando a borbottare frasi sconclusionate che avevano sempre un “Nanao-chan”, un “adorabile” e un qualcos'altro su cui preferì non indagare di mezzo.
Il sacchettino era pesante, aveva scoperto presto, e totalmente inodore. Al suo interno vi era una sostanza bianca che sembrava rilucere nella penombra.
«Zucchero?», domandò, stupita. Shunsui ridacchiò più forte in risposta.
«Ma sì, ma sì, mi ero accorto che il tè troppo amaro non ti piaceva, solo che non hai mai riflettuto su come addolcirlo... Così ci ho pensato io!», disse, rimettendosi a sedere più o meno composto.
La donna aprì più volte la bocca, senza sapere bene cosa dire.
«Mmh, grazie...», sussurrò infine, continuando a tenere quel sacchetto in mano. Il suo Capitano si illuminò e si alzò, cercando di abbracciarla di slancio.
Troppo lento.
«Nanao-chaaan! Almeno un bacino come ricompensa potresti darmelo, però!», protestò, portandosi una mano alla guancia colpita.
«E perché mai?», domandò imperturbabile lei. «A me il tè piace esattamente così com'è, la verità è che ha preso questo zucchero solo per lei, Capitano», concluse, distaccata, prima di voltarsi con un piccolo sorriso.
Dopotutto, il suo Capitano non era così male come spesso appariva. Per lui, avrebbe anche potuto accettare di metter da parte il suo orgoglio e usare la sostanza dolcificante, a volte...
«Però non so proprio cosa fare per il colore, mia piccola Nanao-chan. Temo proprio che quello resterà orribile comunque!»

La piccola Beije rimase a fissare impotente la morte lenta e dolorosa del suo Capitano preferito.
 
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