| Fandom: Medea di Euripide, Argonautiche di Appollonio Rodio, I miti legati a Giasone Rating: Per tutti Personaggi: Giasone Tipologia: flashfiction Lunghezza: 5 parole Avvertimenti: nessuno Spoiler: nessuno Genere: Generale, Introspettivo Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di chi ha pubblicato drammi e miti della Grecia antica che ne detengono tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, appartengono solo a me. Credits: nessuno Note dell’autore: La prima cosa che ho pensato quando ho letto il prompt è stata la nave Argo e, dopo lungo dibattere, ho deciso di concentrarmi sugli ultimi momenti di vita della nave e di Giasone che, secondo alcune versioni del mito, muore schiacciato dall’albero di maestra della nave stessa. Introduzione alla Fan’s Fiction: V’era stato un tempo in cui, giovane, aveva attraversato acque turbolente a bordo di quel naviglio. Invece, in quel momento era solo un vecchio stanco che fissava l’orizzonte e che pensava alla sua vita.
Ultimo viaggio
L’uomo osservava il mare calmo e tranquillo, oltre il parapetto della nave. L’odore del legno, vecchio e familiare, gli arrivava alle narici. V’era stato un tempo in cui, giovane, aveva attraversato acque turbolente a bordo di quel naviglio. Invece, in quel momento, era solo un vecchio stanco che fissava l’orizzonte e che pensava alla sua vita. Cosa n’era stata della sua gloria? Inghiottita nel nulla. Cosa n’era stato delle sue imprese? Dimenticate. Un tempo era stato un giovane pieno di sogni, desideroso di successo. Prima della tragedia aveva desiderato il potere. L’aveva quasi raggiunto, in effetti. L’uomo sospirò. Aveva trovato la sposa adatta, una sposa greca, dolce e remissiva, ma era morta. D’altronde l’errore l’aveva commesso lui stesso, tempo prima, quando si era lasciato incantare dalla strega, dalla straniera. Da Medea. L’uomo si spostò dal parapetto della nave, facendo un gesto di stizza. Ancora, a distanza di anni, quel nome lo perseguitava. Ancora, a distanza di anni, ripensava ai figli che quella maledetta donna aveva ucciso. Maledetto il giorno in cui aveva ceduto al suo fascino, alle sue stregonerie! Ah, se soltanto non l’avesse mai incontrata, lui non sarebbe diventato un povero derelitto! Non sarebbe stato costretto a nascondersi. Che altro poteva fare, dopo che Creusa era morta? Certo, non per colpa sua, ma per mano di quella maledetta donna che aveva avuto la sfortuna di incontrare in Colchide. Medea. Il nome gli echeggiò ancora nella mente e per un attimo gli parve di vederla, come un tempo, su quella stessa nave, quando stavano ritornando in Grecia dalla Colchide con il Vello d’Oro. Poi ne vide il volto deformato, come nel giorno in cui, con i corpi insanguinati dei suoi figli, era volata via sul carro del sole. Giasone si mosse lentamente per la nave che iniziò ad ondeggiare pericolosamente, avvicinandosi all’albero di maestra. Doveva togliersi dalla mente l’immagine di quella maledetta strega che gli aveva rovinato la vita. Di quello era certissimo. Tutta la responsabilità della sua caduta era unicamente dovuta a Medea. Nemmeno per un istante gli passò per la mente, che per lui la donna aveva rinunciato a molto, che per lui aveva ucciso il fratello, che per lui aveva assassinato Pelia. Mentre il vento cominciava a soffiare, Giasone alzò il capo verso l’albero di maestra, osservandolo, come se quel pezzo di legno della nave che un tempo aveva portato gli argonauti, che un tempo era stata gloriosa, potesse donargli la pace dell’anima che la perdita di tutto quanto aveva desiderato e sognato gli aveva tolto. Per un breve istante vide davanti a sé i cadaveri dei figli e gli parve che quei corpi privi di vita gli dicessero che, in fondo, se loro erano morti e se lui aveva perso tutto era anche una sua responsabilità. L’uomo scosse il capo con rabbia. Era un pensiero sciocco e stupido. La colpa ricadeva unicamente su Medea. E fu quello il suo ultimo pensiero, prima che l’albero di maestra si spezzasse in due e lo travolgesse, uccidendolo.
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