Anatema, [1/01/10] Contest di inizio anno

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 6/3/2010, 00:15
Avatar

Member

Group:
Writers
Posts:
114

Status:


Rating: 16 anni
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 12181 parole, titolo e citazione esclusi
Avvertimenti: Angst, Non per stomaci delicati, Linguaggio Colorito
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: La frase presente nella storia e citata in alto a destra, appartiene a George Bernard Shaw.
Note dell'Autore: Da tempo immemore volevo usare il nome Mallory in una delle mie storie, mi sa di tristezza, fragilità e suona bene. Per puro caso, ho scoperto che, tra i suoi significati, conta 'Bella' e 'Sfortunata'.
Introduzione alla Storia: Il bullismo, visto dalla parte di chi lo pratica. Sulla vittima decisamente sbagliata.
La banalità del male ai giorni nostri.




La crudeltà sarebbe deliziosa
se si potesse trovare qualche tipo di crudeltà
che non facesse veramente male

George Bernard Shaw







Anatema




Quel giorno d’inizio giugno c’era fermento alla Jefferson High School. Per gli studenti dell’ultimo anno era tempo di esami e conveniva farsi trovare preparati.
Dave lo sapeva bene, infatti conosceva il secchione che faceva al caso suo.
“Fammi indovinare, Dave… Vuoi che ti faccia ripetizioni di matematica” Esordì Bobby, sfoggiando il suo solito, fastidioso, sorrisetto da chi la sa più lunga degli altri.
E Dave avrebbe davvero voluto dirgli quel che pensava di lui, che se non fosse stato un genio dal Q.I. superiore alla media a quest’ora col cavolo che avrebbe voluto la compagnia di uno stronzo del suo calibro. Ma lo tenne per sé e sfoggiò il suo sorriso migliore.
“Magari anche di fisica”
Gli altri suoi amici se ne stavano in angolo e si capiva che anche loro avevano dovuto mendicare aiuto al brufoloso e occhialuto nerd. Ce l’avevano scritto in faccia.
Sam nascondeva la sua irritazione dietro un sopracciglio alzato e un ghigno di amara ilarità. Aveva il potere di buttarla sul cazzeggio anche quando si trattava di se stesso, da cinico navigato qual era.
L’altro era l’unico a mantenere l’espressione più spontanea possibile: sguardo confuso e sorriso appena accennato. Si trattava di Schwarzenegger, detto Schwarzy, al secolo Brian, ragazzone che non brillava per acume, quanto piuttosto per il suo fisico da culturista che scolpiva con diverse ore palestra al giorno.
Dave era il bello della scuola, il tombeur de femmes prossimo alla nomina di Re al ballo di fine anno.
“Einstein, se te la meni ancora un po’ diventi cieco” Sam decise di darci un taglio, per cominciare a parlare di ciò che gli premeva di più.
“Allora, gente, pronti per la carognata dell’anno?”
Sam era quello che doveva far ridere, proporre trovate divertenti, tirarti su la giornata con una battuta. Il buffone di corte.
“E questo è l’ultimo anno. Dobbiamo farne una coi fiocchi” Aggiunse, dando ad intendere già aveva programmato tutto nel dettaglio.
Ogni anno, verso la fine della scuola, organizzavano una bravata per sganasciarsi a danni di una o più persone.
“Sentiamo” Intervenne Dave, con scarso entusiasmo. Da un po’ di tempo giudicava Sam una squallida iena ridens, ma il gruppo seguiva in automatico le sue iniziative, quindi… come dice il saggio: segui il flusso.
“Dunque, per festeggiare la fine di questa disavventura chiamata scuola, ho pensato a qualcosa di bastardissimo per… Indovinate chi?”
“Spara, dai” lo esortò Bobby, piccato perché quel somaro deficiente adesso aveva tutta l’attenzione per sé.
“Ho pensato che la qui presente divinità della bellezza – indicando Dave, che cercò subito di sembrare meno preoccupato di quanto in realtà non fosse – potrebbe sedurre la racchia della scuola. Sapete di chi sto parlando, vero?”
Ci fu un breve silenzio-assenso, tutti sapevano a chi si stesse riferendo.
“E uscirci insieme per una sera. Quindi noi saltiamo fuori e ci godiamo la faccia della povera scema, che evidentemente aveva cominciato a credere nei miracoli. Allora? Che ne dite?”

Dave tornò a casa camminando molto lentamente. Aveva un bel po’ di cose sulle quali riflettere.
Non sapeva neanche da dove cominciare. Da quanto gli stava sui cosiddetti Sam? Ma che bella pensata, avrebbe dovuto esporsi in prima persona, così se quella ha un parente o amico grande e grosso, le botte toccheranno a lui! Scosse la testa. Già, per questo c’è Schwarzy…
E’ da un po’ che ci pensava su: la loro amicizia si basava solo sulla reciproca utilità. Bobby aiutava con lo studio, Sam animava le giornate, Schwarzy faceva da bodyguard e lui presentava ragazze, dava dritte su come fare colpo e cose del genere.
Dave era la faccia pulita del gruppo: se hai un bel visino e ti comporti da bravo ragazzo, sarai considerato un tipo affidabile; e il tuo gruppo con te. Non era la prima volta che lo mandavano avanti, come la ragazza che fa l’autostop mentre i suoi amici stanno nascosti, pronti a saltar fuori quando qualcuno si ferma.
Con la fine della scuola si sarebbero persi di vista per sempre, e a Dave la cosa faceva tutt’altro che dispiacere. Non teneva in particolare considerazione nessuno di loro – ok, aveva cazzeggiato, parlato di roba sporca, condiviso esperienze – ma non aveva mai sentito la necessità di confidarsi con loro a cuore aperto. Mai. Da uno come Sam ti puoi solo aspettare di essere deriso (perché Sam ride di TUTTO) e anche Bobby non ci scherza, con quel suo sentirsi superiore. Per quanto riguarda il culturista, non è che sia proprio stupido… diciamo ingenuo, un intelletto semplice.
Oltretutto, Dave cominciava ad essere stufo di andar dietro a tutte le bastardate di Sam. Certe sue battute non lo facevano più ridere, erano semplicemente troppo meschine.
La sopraggiunta maturità, che gli suggeriva ‘Non fare agli altri…’, cozzava con il pragmatismo del ‘Segui il flusso’. Aveva cominciato ad avvertire uno strisciante senso di colpa per essere andato dietro alle cattiverie della sua compagnia.
Sentiva la necessità di non prendervi più parte, anzi di dire apertamente che sono roba da ragazzini idioti e che il male che fai alla fine ti torna indietro con gli interessi.
Ma questo quanto gli sarebbe costato? Già si immaginava i commenti (di Sam, con la partecipazione di Bobby. Schwarzy non era capace di dire frasi divertenti, si limitava a ridere come un ebete per quelle degli altri): ‘Oh, no! Dave è posseduto da un’entità sfigata! Esci da questo corpo, ridacci il vecchio Dave!!’.
No. Ormai le cose avevano preso una determinata piega. Troppo complicato cambiare atteggiamento, sentire i giudizi di chi ti conosce… Per di più, rischiava di vedersi negare l’aiuto di Sam per gli esami.
La maturità poteva attendere la fine della scuola.
Così adesso gli toccava colpire un caso umano che la natura e il destino avevano già conciato per le feste: Mallory Blake.

Di primo acchito, alla vista di Mallory avresti detto che la sua pecca capitale era la trascuratezza, dato che brutti si nasce e non può essere una colpa.
Avrebbe potuto almeno pettinarsi la sua liscia chioma nera, che invece teneva sciolta e arruffata e a volte raccoglieva in una coda, quando i capelli erano unti di sebo perché non faceva lo shampoo da una settimana. E che dire delle sopracciglia? Un unico sopracciglio, a dire il vero. Per non parlare del fisico, magro a livelli di anoressia, il volto soprattutto, un teschio dai lineamenti marcati. E le rughe e le occhiaie intorno agli stretti e affilati occhi neri tenuti sempre semichiusi, da sembrare una morta di sonno. E le unghia mangiucchiate, e l’abbigliamento trasandato, e il portamento poco femminile…
E un milione di altre cose.
Ma appena apriva bocca… Ah, vita ingrata!
Aveva la ba-bababa-baaaaalbuzie!!
La natura non sembrava aver controbilanciato in alcun modo: non era una nerd, un Bobby versione femminile. Nei compiti scritti era poco sopra la sufficienza, mentre nelle interrogazioni, beh, finiva sempre con i prof. che terminano la risposta per lei, anche se negli ultimi tempi usavano l’escamotage di farla rispondere per iscritto; così i suoi voti erano un po’ migliorati.
Dave aveva sentito parlottare le solite ochette a proposito del fatto che vivesse con gli zii e che avesse cambiato ben cinque scuole dalle elementari in poi, tanto che il preside della Jefferson aveva cercato di informarsi se fosse o no un pessimo elemento.
Mallory Blake era derisa e insultata da tutti, incapace di rispondere alle provocazioni se non mettendosi a piangere e a urlare, venendo per giunta rimproverata in un’occasione da un’insegnante perché ‘Nei corridoi non si urla’; una paria che nemmeno il sistema (che alla Jefferson non era molto evoluto, da questo punto di vista) sapeva o voleva difendere.
E adesso Dave si sarebbe dovuto unire alla massa, fare il bastardo perché così aveva deciso la comitiva…
Al diavolo, questa sarebbe stata l’ultima, maledettissima, volta in vita sua.

Avvicinarla fu di per sé un’impresa. Una così poteva tranquillamente aspettarsi che un qualsiasi ragazzo le facesse proposte solo per farsi quattro risate, figurarsi se a farle è il più figo della scuola. Dave si era preparato a superare se stesso nella complessa arte dell’ammaliatore, che tanto successo gli aveva fatto riscuotere tra i suoi simili. Contenere eventuali fughe di risa per la situazione quanto mai insulsa, primo, non far caso al mondo circostante che sta cominciando a prenderti per pazzo, secondo.
Cercò di catturarne lo sguardo più volte, inutilmente: Mallory camminava sempre guardandosi i piedi e questo spiegava il suo continuo andar a sbattere contro cose o persone, nonché la leggera cifosi.
Alla fine la individuò nel punto più remoto e isolato dei giardini della scuola, dove era solita rifugiarsi in solitudine nelle ore di pausa. Malgrado l’incedere tranquillo e il sorriso rassicurante, la prima cosa che fece la ragazza fu tentare di allontanarsi il più in fretta possibile, perché quello era David Simmons, proprietà esclusiva delle ragazze più popolari.
Lui si chiedeva dove stesse sbagliando nel suo approccio, mentre tentava di chiamarla e di andarle dietro, senza sapere che Mallory non era poi tanto diversa dalle sue coetanee e anche lei era sensibile al suo fascino. Si sentiva morire alla sola idea di balbettargli in faccia, o di mostrargli il suo viso paonazzo.
Trovandosi la rete di cinta a sbarrarle la strada, Mallory si voltò e squadrò terrorizzata il suo inseguitore. E si accorse che avanzava sorridente, un bocciolo di rosa teso verso di lei in una mano.

Quella sera, a casa di Schwarzy, furono risate a crepapelle. Dave raccontò con dovizia di particolari la faccia allibita della latrina alla vista del fiore, le sue lacrimucce alla proposta di uscire insieme. Mentre quelli si sganasciavano, dal suo tono supponente non sembrava trasparire nulla di quel sottile senso di colpa che gli aveva attanagliato lo stomaco poche ore prima, e che adesso si era rifugiato nei meandri della sua coscienza.
I suoi occhi che luccicano. La gioia. La speranza.
Con la noncuranza di chi può dire ‘Ordinaria amministrazione’, terminò riferendo che si erano scambiati i rispettivi numeri di cellulare e che lei ci stava, ma per l’appuntamento doveva prima
“…chiedere il permesso a zio Frank e a zia Vera”.
La teatrale conclusione del suo intervento suscitò l’ennesimo coro di risa, il più forte.
Brindarono con lattine di birra al posto dei calici, spassandosela alla salute del grande Dave. Il quale non se la spassava affatto.

Il giorno dopo il suo cellulare squillò. Mallory gli annunciava in lacrime che, no, non potevano uscire, i suoi zii non le davano il permesso. A Dave sembrò un segno divino: fine del piano, fine della carognata, fine dei sensi di colpa, fine…
Fine della tua fama di conquistatore a colpo sicuro.
Erano sessantaquattro le ragazze con cui ci aveva provato, e sessantaquattro le volte in cui aveva fatto centro.
E la sessantacinquesima rispose picche.
Sarebbe stato forse questo il commento più tenero di Sam? Probabilmente, considerato quanto lui e gli altri si stessero leccando i baffi per questa storia. Maledetto imbecille, lui e le sue brillanti idee!
Richiamò Mallory.

Non sapeva se sperare che la sua soluzione funzionasse o facesse fiasco. Ma alla fine, per fortuna o purtroppo, funzionò.
Gli zii della ragazza accettarono di incontrarlo di persona, a pranzo, a casa loro.
In che cavolo di casino s’era andato a cacciare!? Andare a casa di una tizia che poi avrebbe dovuto umiliare. Non era ancora detta l’ultima parola, nossignore… poteva ancora sperare che i suoi parenti fossero la causa principale delle disgrazie di Mallory, ovvero due bigotti acidi che la volevano vedere suora, ovvero due che l’hanno già bollato come un maniaco sessuale e lo hanno invitato solo per dirglielo in faccia. Oppure poteva dare una cattiva impressione di proposito, grattandosi le palle prima di stringer loro la mano, ruttando a tavola…
Dave sfoggiò il suo irresistibile sorriso da bravo ragazzo, al quale la zia Vera capitolò praticamente subito. Era una donna esile, dallo stile classico e un’acconciatura molto anni Trenta. Lo zio Frank, un ometto dai simpatici baffi cespugliosi, lo accolse con calore.
La casa sapeva tanto di gente con una certa cultura, come dimostravano le numerose librerie cariche di volumi in salotto e nei corridoi. Qua e là, sparse tra i soprammobili, cornicette d’argento mostravano istantanee di momenti di vita e una notevole quantità di ritratti aveva per protagonista una graziosa bambina dai capelli neri. Dave rimase immobile davanti alla foto della bambina, immortalata mentre leggeva da una pergamena.
“Quella è Mallory a sette anni – intervenne la zia Vera – stava leggendo la poesia di fine anno ai tempi delle elementari”
Cosa? E da quando in qua una con la balbuzie può leggere ad alta voce, sul palco, davanti al microfono e a decine di persone?!
Le altre foto non erano tanto diverse. Mallory felice con le amichette, al suo compleanno, mentre scarta i regali di Natale…
Nella testa di Dave prese forma un pensiero tanto logico quanto inquietante. Ma che diavolo mi raccontano? Non può essere lei quella bambina… Come cavolo ha fatto a ridursi così?
Non c’era traccia di ritratti con i suoi genitori (e lui non aveva nessuna intenzione di chiedere che fine avessero fatto) e le foto, disposte in ordine cronologico, mostravano una Mallory che cresceva. E peggiorava.
Già a undici anni sembrava meno serena, la colpa di un volto così smunto non poteva essere addebitata alla pubertà, la bocca sorrideva senza più mostrare i denti. Gli anni delle medie la vedevano peggiorare ancora: sempre meno serene le sue espressioni, sempre meno amiche alle sue feste. Per i suoi quindici anni c’erano solo lei e gli zii in posa dietro la torta, e la faccia era più o meno quella con cui approderà all’inferno delle superiori. Dave non si stupì affatto nel notare che per i sedici, i diciassette e i diciotto anni le uniche foto fossero quelle di tristissimi compleanni in compagnia della sua sparuta famiglia.
I pensieri gli si sovrapponevano freneticamente, tentando di dare una spiegazione a quella cronaca per immagini di un tale deterioramento psicofisico. Dave era talmente imbambolato che, quando la zia Vera lo chiamò per il pranzo, ebbe un sussulto.
La cosa peggiore era Mallory. Dietro di lui, lo aveva osservato mentre esaminava concentrato le sue foto, e adesso lo guardava con gli occhi sgranati. Due pozzi nero pece, solitamente nascosti dalle palpebre semichiuse e dalle lunghissime ciglia.
Dave rabbrividì. Da uno popolare non ti aspetti certo che si metta a guardare con interesse le foto di quand’eri piccola.
Ti prego, fa che non mi si legga in faccia…!
Distese i lineamenti in un sorriso.
“Sei venuta veramente bene in queste foto, sai?” Salvo per un pelo.
La ragazza abbassò la testa affinché i capelli, pettinati e tenuti indietro da un fermaglio, le coprissero almeno buona parte del viso.
“Gra…eh…gra… gra-zie”

Tutto quel che seguì fu per Dave automatico. Ingraziarsi persone, risultare affidabile, erano da sempre sue prerogative.
Come da copione, fu il capofamiglia a guidare la conversazione a tavola, tenendo un monologo sull’umanità e la sua miseria morale.
Argomenti che non fossero moto, auto, sport o donne solitamente facevano sì che la mente di Dave volasse verso altri lidi, lasciando al suo interlocutore un faccino finto interessato che ogni tanto annuiva con cenno del capo. Ma questa volta non accadde.
Per sua sfortuna, perché l’avvilente senso di colpa era cresciuto e gli stava impedendo di gustare il delizioso arrosto della zia Vera.
Quell’uomo, che sembrava aver preso lezioni di oratoria da Gandhi in persona, continuava a insistere su come la violenza verbale non fosse affatto diversa da quella fisica.
“Se non siamo capaci di frenare le parole, come pretendiamo di dominarci nelle azioni?”
Si soffermava sulla condizione di chi subisce un torto, morale o fisico, su come questi fosse candidato alla vendetta verso i propri persecutori o verso altri, e su come ciò non facesse altro che permettere alla violenza di dilagare.
“Certo, se taluni evitassero di fare del male, non ci sarebbero nemmeno vittime inferocite” Intervenne Vera, che non era mai stata troppo d’accordo con le tesi non-violente del marito.
“Di questo abbiamo parlato spesso, cara… David non lo sa, ma io e mia moglie dibattiamo animatamente su certe questioni, specialmente quando ci riguardano da vicino…” Il tono di Frank sembrò affievolirsi, come se si fosse reso conto di aver imboccato il sentiero sbagliato.
Frattanto, Mallory aveva abbassato gli occhi sul piatto.
“Sì, ma io parlo di chi offende, deride… Era di questo che discutevi poco fa. Se uno fa del male fisicamente va in galera e viene biasimato dalla collettività, ma il cinismo… Santo cielo, è considerato una dote eccezionale, ti porta in TV, ti rende famoso! Con buona pace di chi ne soffre. La gente si diverte ad essere crudele”
“La crudeltà sarebbe deliziosa se si potesse trovare qualche tipo di crudeltà che non facesse veramente male – chiosò Frank – devo dartene atto, Vera: l’umanità ha bisogno di sfoghi violenti, ma la violenza delle azioni va contro ogni principio di conservazione, pertanto viene condannata. La violenza delle parole è considerata un ottimo palliativo, a mio avviso non meno dannoso”
Seguì un attimo di silenzio imbarazzato. Vera aveva l’espressione crucciata di chi ha appena detto una cosa che teneva in pancia da tempo, mentre Mallory seguitava a guardare immobile il suo pranzo che si raffreddava. Frank aveva lo sguardo perso, le considerazioni della moglie avevano innescato in lui un’amara riflessione.
Nessuno guardò Dave e fu la sua fortuna. In quei momenti il suo sorriso era più una paresi e l’angolo del labbro superiore gli s’era sollevato in segno di disgusto, un’espressione quasi comica. Si sentiva come l’imputato alla sbarra, con lo zio nella veste del giudice, la zia che faceva il pubblico ministero e, ovviamente, Mallory la vittima. Niente avvocato per lui.
Questi sanno tutto! Leggono il pensiero. Sanno dello scherzo e me lo stanno facendo capire così! Bastardi!!
Per un attimo lo pensò davvero. C’erano troppe cose che non andavano, a cominciare dallo zio che faceva un simile discorso senza annoiarlo, e la convinzione fu così forte da procurargli quasi il terrore.
Un colpo di tosse di Frank riportò l’atmosfera a livelli sostenibili.
“Vera, tesoro, siamo in trepida attesa del contorno! Vedrai che il nostro ospite non saprà resistere alle tue patate al forno”
La donna riprese il piglio amabile di sempre e si alzò.
“David… Ti senti bene? – chiese la donna, dopo aver gettato uno sguardo al ragazzo – Sei così pallido”

La sera stessa. Buono per togliersi il pensiero, no? No. Non se poche ore prima hai visto in Frank il padre che non hai mai avuto, non se c’è mancato poco che ti confessassi di fronte a persone talmente umane da non sembrare nemmeno reali. O, almeno, non appartenenti alla tua realtà: solo paraculi e sciacquette per David Simmons.
Così adesso si ritrovava alla guida della sua auto, con Mallory accanto a lui, verso un qualcosa che avrebbe disgustato entrambi. Soprattutto lei. La zia le aveva pettinato di nuovo i capelli, sciolti e laccati, e le aveva concesso un leggero maquillage; indossava un vestito azzurro che la faceva leggermente meno verginella innocente di quello bianco sfoggiato a pranzo.
Pizzeria Ciro’s, poi a casa per le dieci.
Nel pomeriggio aveva chiamato Sam (quanta fatica aveva fatto per selezionare il suo numero in rubrica, dover ascoltare la sua voce dopo il pranzo a casa Blake gli dava la nausea), informandolo su luogo e ora e ricevendo da lui le indicazioni sul da farsi.
Entrarono nel locale alle sette in punto. Dave non li vide, ma sapeva che erano appostati da qualche parte, là fuori.
Il numero di avventori non era eccessivo, ma in TV c’era la partita e le prenotazioni per le pizze a domicilio fioccavano. Ci sarebbe stato tutto il tempo di star seduti ad aspettare, prima che il cameriere venisse a prendere le ordinazioni (Dave voleva evitare almeno di dover pagare due pizze per una serata persa).
Come da programma, aveva scelto un tavolo per due e fatto accomodare Mallory in modo che desse le spalle all’ingresso del locale. Dave le sedeva di fronte.
Sembrava felice, le sottilissime labbra erano tese al massimo nel sorriso migliore che le riuscisse (da tanto non ne faceva uno così) e anche gli occhi sembravano più aperti e luminosi del solito.
Dai, sbrigatevi e facciamola finita!
Li vide entrare.
Si irrigidì impercettibilmente e la sua espressione s’incupì.
Bobby e Schwarzy gli si affiancarono, ghignando. Il nerd impugnava una fotocamera digitale.
“Ciao, siamo gli amici del tuo fidanzato”
Mentre Mallory spostava lo sguardo tra Dave e quei due, dando segno di non capire, dietro di lei si materializzò Sam. Le rovesciò un bicchierone di frullato alla banana sulla scriminatura dei capelli.
La ragazza cacciò un gridolino spaurito, mentre i primi rivoli bianchi scendevano lungo i capelli puliti, ma non poteva muoversi: Sam le teneva il bicchierone piantato in testa, se avesse mollato il contenuto si sarebbe versato del tutto.
Partì il primo flash.
Quindi Sam sollevò il bicchierone come un secchiello da mare quando si fa un castello di sabbia. Solo che al posto della sabbia bagnata c’era frullato, che si versò interamente sulla testa della ragazza, inondandole i capelli e parte del viso fino al collo.
Partì il secondo flash.
Mallory si alzò, rovesciando la sedia. Puntò gli occhi spalancati e pieni di pena su quello che aveva creduto essere il suo cavaliere. Dave si teneva la faccia con una mano, nascondendo la sua mortificazione. Ma poi, Sam fece una battuta - roba che alla fine di quella serata non avrebbe nemmeno ricordato - che gli diede lo stimolo a metterci del suo. C’erano anche i suoi complici e lui doveva partecipare. Prese a ridere in modo forzato, alzando la voce per calcare e dare credibilità ad un’espressione del tutto innaturale.
Gli occhi di Mallory si spalancarono ancora di più, se possibile, e la pena lasciò spazio ad un odio fondo.
“Stronzo! Pezzo di merda! Stronzo!” Urlò d’un fiato e senza balbettare.
“A-ah! Signori, questa è la prova che incazzarsi ogni tanto fa bene. Vedete? Ha guarito questa fanciulla dalla balbuzie!”
Mallory si girò verso Sam. Era ancora vicino a lei e alternava risate ad uscite da cabaret.
“Coglione! Deficiente inutile! Decerebrato senza futuro!!”
Un terzo flash che la immortalava col dito puntato verso Sam la fece voltare. Il ghigno di Bobby la irrideva da dietro la fotocamera.
“Testa di cazzo! Testa di cazzo! Testa di cazzo! Testa di cazzo!”
“Testa di cazzo, testa di cazzo…” Schwarzy aveva preso a fare il verso a quel disco rotto.
Lo sguardo nero e furente di Mallory si piantò su di lui.
“Tu! Non sei un uomo… Sei un coniglio!!!”
Il sorriso del ragazzone morì sul colpo.
“Hai capito? Coniglio!!”
Cosa? Cosa!? Lui era forte e coraggioso, aiutava le ragazze (le vere ragazze) pure quando non arrivavano a prendere gli oggetti troppo in alto, potava il prato della sua anziana vicina (anche se non lo avrebbe mai detto ai suoi amici). Andava fiero della sua forza e dei suoi muscoli, davano senso alla sua vita. Come si permetteva quel rifiuto umano di dargli del…
“CONIGLIO!!!”
Ora non rideva più nessuno. La faccia di Schwarzy, dopo un momentaneo stupore, parlava da sola. E diceva ‘Omicidio’.
“Io ti ammazzo, schifosa cagna!!”
Si avventarono tutti e tre su di lui, riuscendo a stento ad impedirne l’avanzata verso Mallory che, dal canto suo, non accennava a muoversi.
“Coniglio! Coniglio! Coniglio!”
Schwarzy ruggì di rabbia. Avrebbe picchiato chiunque, anche una donna, se questa avesse messo in dubbio la sua virilità.
Frattanto, il proprietario del locale inveiva contro di loro, dichiarandosi pronto a chiamare la polizia, tra gli avventori qualcuno rideva, qualcuno allibiva, qualcuno andava via.
Mentre tratteneva il possente amico, Bobby si rivolse a Mallory, che non cedeva di un passo e continuava a ripetere ‘Coniglio’ all’infinito.
“E su, piantala! Fila via, che è meglio!”
Lei cessò l’invettiva. Li squadrò tutti ancora per un secondo, con intensa severità, e trasse un profondo e silenzioso sospiro. Poi si voltò e uscì dal locale con passo solenne, tappezzando il suo sentiero delle gocce bianche che stillavano dalla sua chioma impastata.

La serata non era finita come auspicato. Schwarzy era rincasato con le palle che fumavano, lasciando la sua compagnia a maledirlo tra i denti.
“Ma tu guarda che razza di idiota… Ed è arrivata pure la polizia. Questo significa non farsi più vedere da Ciro’s, salvo plastiche facciali” Bobby terminò la considerazione con l’ennesima sorsata di birra.
Sam era messo peggio. Lui non si mostrava mai irritato, no, perché ciò significava scoprirsi, lasciar intravedere che tieni a qualcosa. E che hai un punto debole. Ma ciò non significava che non fosse capace di incazzarsi con tutti gli annessi e connessi. Evitava per il momento di far battute che certamente sarebbero state condivise dagli altri, perché l’amaro in bocca gliele avrebbe fatte suonare come malcelati piagnistei. Si limitava a fissare il cielo stellato, inumidendosi ogni tanto le labbra con la lingua.
L’ultimo scherzo dell’anno. Rovinato. L’ultima occasione di puro divertimento prima di entrare nella pallosa vita adulta. Persa. Questa sera si doveva ridere e basta. E invece no, perchè mister Sono-duro-fuori-e-fragile-dentro-quindi-stai-attenta-a-come-parli era stato ferito nel suo orgoglio! E allora che cavolo ci partecipi alle carognate, se sei così facile all’offesa! Te lo devi aspettare che la vittima ti prenda a male parole, dannazione! La regola aurea è buttarla a ridere sempre, ribaltare le parole a tuo favore, non prendersi mai sul serio…
Questo era vero quanto il fatto che si sarebbe lanciato nella carriera di comico-presentatore che prende tutti per il culo, se la fortuna lo avesse aiutato. Uno spettacolo su misura per lui, che fa la carogna su tutto e tutti, amato e odiato, polemiche sulle sue uscite ma ascolti alle stelle…
“Bene. A quanto pare, il caro Schwarzy ha un cuore di burro da far venire il colesterolo al Terzo Mondo” Sam si era ripreso abbastanza da poter chiudere la serata a modo suo.
“Mi domando – intervenne Bobby – chissà quante volte avrebbe potuto reagire così… Per sfortuna è stata proprio l’ultima. A saperlo prima, non lo si sarebbe coinvolto: le persone reagiscono male agli scherzi pesanti, è la loro unica rivincita, e se lui non è disposto ad accettarla…”
Sam annuì. Sì, maledizione, a saperlo prima! Ma l’avrebbe pagata. L’invettiva di quel pisciatoio di donna lo aveva offeso? Ci avrebbe pensato lui a fargli comprendere il significato del termine Offesa. Nessuna opzione era esclusa: la colla dentro le scarpe nella palestra della scuola… Colla? Facciamo lamette! Anzi, lamette e polvere urticante nella tuta. Lassativo nelle sue fottute bevande energetiche.
Ti faccio frignare come una mammoletta davanti a tutta la scuola, cazzo!
Mentre Sam rimuginava come far finire l’anno in bellezza a Schwarzy, Dave se ne stava seduto sul marciapiede a fissare la strada, tentando di affogare nella birra tutta l’amarezza che aveva in corpo. Inutilmente. Non si era mai sentito peggio in vita sua. Ora come ora avrebbe potuto prendersi a pugni da solo. Si odiava.
“…le persone reagiscono male agli scherzi pesanti, è la loro unica rivincita…” Una parte del discorso di Bobby lo colse quasi di proposito.
Già, rivincita. Una come Mallory probabilmente poteva solo sperare nella giustizia divina.

La settimana successiva trascorse come se niente fosse accaduto. O quasi. Tutta la scuola aveva saputo dello scherzo e Dave aveva sperato che qualche ragazza gli desse del bastardo in pubblico, avrebbe giovato alla sua coscienza; ma evidentemente anni di battaglie femministe annichiliscono di fronte ad un bel paio di occhi azzurri. Nessuna lo guardò meno sdolcinatamente del solito e chiunque avesse qualcosa da ridire, lo tenne per sé.
Era tutto nella norma, salvo il fatto che Schwarzy non si presentò a scuola per l’intera settimana. Alcuni insegnanti interpellarono gli altri tre per saperne qualcosa, o almeno per mandagli a dire che saltare le lezioni di fine anno può costare molto caro a uno che dedica più tempo ai muscoli che allo studio.
“Qualcuno ha sentito il gigante? L’ultima volta che l’ho visto è stato quella sera” Bobby preferì non infierire in presenza di Sam.
“Potresti darcela tu la soluzione, genio. Se il tempo necessario a guarire le ferite all’orgoglio è direttamente proporzionale all’ego del soggetto… Pensi che ce la farà per l’anno prossimo?” Fondamentalmente, a Sam premeva solo vendicarsi del bestione.
Bobby rise, fingendo di seguire il ragionamento.
“Non lo so. Ci sono delle variabili di cui tener conto, ad esempio la suscettibilità di Terminator…”
“Sabato passiamo da lui e ci togliamo il pensiero”
Dave tagliò corto a quella discussione idiota.

Sabato mattina erano davanti casa di Schwarzy. Il cellulare era spento e il telefono di casa squillava a vuoto, così come il campanello della porta.
“Che facciamo? Non è in casa” Bobby guardò gli altri, perplesso. Pareva scomparso, la scuola aveva provato a contattare pure la palestra dove andava a scolpirsi i muscoli, sentendosi rispondere che non lo vedevano da circa una settimana.
Dave guardò la finestra che dava sul soggiorno al piano terra, poi si rivolse agli altri.
“Proviamo ad entrare in casa, la finestra è aperta”
“Ma sei scemo? Hai presente il reato ‘Violazione di domicilio’?”
“E se per caso s’è sentito male in casa? Sempre meglio che telefonare a sua madre, le verrebbe un colpo se manco lei sa dov’è. Se qualche sbirro ci vede, pure i vicini potranno dire che siamo suoi amici, non vedo il problema” Dave sfidò con lo sguardo Sam ad avere qualcosa da ridire.
Era deciso. Intrufolatisi nell’abitazione del loro nerboruto compare, la prima cosa che li colpì fu l’odore di cibo andato a male proveniente dalla cucina. Sapevano che Schwarzy viveva solo per sei mesi l’anno, ma ciò non significava che sapesse mandare avanti la baracca da sé; anche se avrebbero giurato che i suoi pesi e attrezzi ginnici vari brillassero a specchio. Ma sarebbe tornato tutto in ordine prima del ritorno di mammina. Quella donna lo aveva dovuto tirare su da sola, dato che il padre se l’era squagliata dopo averla ingravidata sul ribaltabile della sua auto, e il lavoro più remunerativo che aveva trovato era con sede distaccata. Schwarzy avrebbe distrutto il mondo per lei.
S’incamminarono verso camera sua a colpo sicuro. Conoscevano fin troppo bene quella casa che, per ovvie ragioni, era la sede privilegiata dei loro incontri. Il piano era controllare ogni stanza e poi, se non lo si trovava, lasciargli un biglietto con su scritto ‘Amico, se non ti presenti alle lezioni di fine anno, neanche l’Onnipotente potrà salvarti dalla bocciatura’.
Ma quando Bobby provò ad aprire la porta della camera da letto, la trovò chiusa a chiave.
“Ehi… Schwarzy, sei lì dentro?” Chiese, bussando.
Sam bussò a sua volta, componendo sulla porta un allegro motivetto.
“Dai, Terminator, il lutto è finito! Torna tra noi!”
Da dentro non arrivava alcun rumore. Dave non condivideva affatto il tono spigliato degli altri due e chiamò ad alta voce l’amico, battendo con forza il palmo della mano sul legno della porta. Stava quasi per proporre di buttarla giù, quando da dentro giunse una specie di piagnucolio.
“Andate via!”
“Ehi, fratello, va tutto bene?”
“Schwarzy…?”
Altri leggeri TOC TOC alla porta.
“Per favore… Lasciatemi in pace!”
Quelli si guardarono in faccia, interdetti. Poi fu Dave a prendere l’iniziativa.
“Ascolta, Schwarzenegger, se hai un problema siamo qui per aiutarti. Volevamo dirti che i prof vogliono la tua testa, quindi se non vieni a scuola…” Da dentro arrivarono i singhiozzi di un pianto.
“Ma che hai, Schwarzy? Che diavolo ti prende…?”
“HO DETTO ANDATEVENE, O VI AMMAZZO!!”
Il tono rabbioso li fece indietreggiare automaticamente. Sam fece il gesto di levare le tende. Non se la sarebbero cavata contro quel bestione, neanche tre contro uno, soprattutto se era in stato di alterazione.
Non dissero più nulla, neanche un ‘Sai dove trovarci’, e uscirono da dov’erano entrati.
“Secondo voi cos’aveva? – chiese Bobby, una volta fuori – Potrebbe essere qualcosa di brutto… Droga?”
“Ma va! Per uno come lui la salute viene prima di sua madre”
“Sì ma… Doping? Steroidi?” Insistette Bobby.
E mentre lui e Sam avviavano una discussione scherzosa, Dave guardava il cielo terso, avvertendo un vago senso di inquietudine misto a malinconia.

Domenica mattina se ne stava spaparanzato sul divano a guardare l’NBA trangugiando popcorn, più depresso che mai. Aveva pensato che una bella scopata gli avrebbe tirato su il morale, ma per qualche strana ragione Janice, la più disponibile delle sue conquiste, s’era fatta venire un malore all’ultimo minuto. Diavolo, era chiaro che se l’era inventato, al telefono pochi minuti prima era pimpante! Poi lui è arrivato da lei e ‘Oddio, Dave, scusa… ho un po’ di nausea’. E addio scopata.
Sua madre rientrò da lavoro verso mezzogiorno. Faceva shampoo e messa in piega in un salone per acconciature e il suo unico giorno libero era il lunedì. Era vestita come una quattordicenne scema, con cerchioni di plastica fucsia per orecchini, minigonna e borsa zainetto a forma di pupazzo. Non poteva biasimare suo padre per averla lasciata, tuttavia ringraziava di non esser stato affidato a lui, perché non conveniva a nessuno avere per padre un marine. Adesso era di stanza a Pearl Harbor e non si scambiavano alcun contatto al di fuori degli assegni mensili per lui e sua madre.
“Io l’ammazzo, quella lurida scrofa! Come va Davey, tesoro?” Domanda puramente retorica, da parte di una cui non è mai importato neanche del suo rendimento scolastico.
“Ma tu guarda… Davey, come fai a mangiare popcorn con questo odore? E’ di nuovo la fossa biologica di quella negra qui di fianco!” Si riferiva alla loro vicina di casa, una cicciona afro che aveva sfornato cinque marmocchi con uno attualmente ospite delle patrie galere. Lei e i figli vivevano del sussidio statale, ma ovviamente avevano parecchie gatte da pelare sul piano economico. Giusto pochi mesi prima, un guasto alla fossa biologica aveva trasformato il loro incolto giardino in una palude maleodorante ed era intervenuto l’Ufficio Igiene.
“Sono tre giorni che sento puzza di merda in casa. Ieri le ho cantate a lei e a quella cretinetta della figlia più grande”
Si tolse di bocca la gomma che aveva ruminato dal primo mattino e la ripose in un posacenere, poi aprì la porta d’ingresso. Dave poteva solo immaginare cosa intendesse sua madre per ‘cantarle’. Tra lei e la grassona sarà scoppiato un casino segnalato pure dai sismografi.
“Vieni a vedere, tesoro. Guarda che razza di porcile!”
Il ragazzo la accontentò, pensando già a come tamponare una situazione che poteva portare all’ospedale e/o in tribunale la sua querula mamma.
Il giardino dei vicini versava nel solito, pietoso, stato, con ciarpame vario accatastato ovunque (in barba alle leggi comunali) e l’erba così alta da poterci nascondere un elefante. E l’odore…
Dave inspirò forte, per sentirlo meglio, ma la colonna di fumo che si levava due isolati più in là gli diede una risposta che non ammetteva replica.
“Resta ferma qui, mà!”
E si lanciò di corsa in direzione del fumo. Lui sapeva bene chi abitava da quelle parti.

“Siamo davanti l’abitazione dove si è consumata la tragedia. Secondo gli inquirenti non ci sarebbero dubbi sulle cause dell’incendio che ha parzialmente distrutto l’abitazione della famiglia Robson: il rogo avrebbe avuto origine dal corpo carbonizzato rinvenuto in cucina, che con ogni probabilità appartiene a Brian Robson, studente delle superiori. Restano da chiarire le dinamiche dei fatti, ma tutto lascia supporre al suicidio. Il ragazzo non si presentava a scuola da una settimana.
Per ora è tutto, vi terremo aggiornati”
Il cronista passò il microfono all’assistente e andò prendersi un caffè, mentre il cameraman effettuava riprese dell’abitazione semi-incenerita da più angolazioni, per confezionare il servizio d’apertura della TV locale.
La sera successiva mezza città era riunita a casa di un’amica della madre di Schwarzy, che si era messa a disposizione per ospitarla. La povera donna, tornata col primo aereo da Washington, sembrava non sentire le manifestazioni di cordoglio che le venivano rivolte, seguitando a mantenere uno sguardo perso e a ripetere ‘No… Nooo!’ come una litania.
Il corpo di suo figlio era in obitorio per accertamenti. Impossibilitata ad effettuare il riconoscimento, prelevare DNA o impronte digitali, la scientifica aveva optato per il calco dei denti.
Dave stava seduto in disparte, confortato solo dal fatto che sua madre si fosse presentata in abiti decenti (nei quali appariva in vistoso imbarazzo). Aveva temuto di vederla entrare con indosso qualche cazzatina di Hello Kitty.
Accanto a lui, Bobby, silenzioso e meditabondo.
Un mare di pensieri affollavano la mente di Dave. La follia di quell’ultima settimana, durante la quale era successo di tutto, e niente del suddetto tutto era stato meno che orribile.
Dopo lo scherzo a Mallory, aveva pensato ‘Questa è la volta buona, la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso’; aveva temuto che la facesse finita, già si preparava ai sensi colpa a vita.
E invece a compiere l’insano gesto era stato Schwarzy. Perché? Avrebbero potuto fare qualcosa per lui? Chi lo sa. Da dietro quella porta, due giorni prima, non sembrava neanche lui. Col senno di poi, le poche parole che aveva pronunciato piangendo erano già il segno che qualcosa non andava.
Ad un tratto, un pensiero malandrino lo fece sorridere amaramente.
Guarda, Mallory. Sembra proprio che adesso tocchi a noi prenderle. Alla fine, la sfortuna è una ruota che gira più onestamente della fortuna.
“Hai sentito Sam?” La domanda di Bobby lo riportò di peso alla realtà.
“No” Già, dov’era quel babbeo? Forse passare a dire ‘Condoglianze’, anche con la faccia da culo, gli costava troppa fatica…
Colto da una rabbia feroce, prese il cellulare con l’intenzione di richiamare il coglione ad un minimo di buona creanza.
Sennonché dopo diversi squilli, rispose una voce matura.
“Tu sei suo amico…? Io sono lo zio… Sei seduto?”

Giunsero all’ospedale con la macchina di Bobby, ma guidò Dave. Il nerd pareva connettere a mala pena con la realtà.
Il padre se ne stava seduto su una sedia appena fuori la stanza dove era ricoverato suo figlio, tenendo la testa china tra le mani. La madre era in lacrime al suo capezzale.
Il letto era stato rialzato in modo da farlo stare quasi seduto. Così, la prima cosa che videro entrando, furono gli occhi vacui di Sam. Immobile. Nessuna espressione sul suo volto, solo quegli occhi sgranati a scrutare il nulla. La pelle del viso bianco-giallastra.
“E’ così da stamattina. Sua madre è andata a svegliarlo per la colazione e l’ha trovato in questo stato” A parlare fu lo zio che aveva risposto al cellulare.
I due rimasero immobili, l’unico suono era il pianto sommesso della madre di Sam. Poi Dave si riscosse e trascinò Bobby fuori dalla stanza. Mentre il cervellone si metteva seduto vicino ai parenti di Sam, Dave trovò più delicato chiedere delucidazioni ad un medico. La risposta fu: stato catatonico persistente.
Nel frattempo arrivarono i risultati degli esami a cui avevano lavorato tutto il giorno due specialisti. Il referto parlava di demenza cronica, drastica riduzione dell’attività celebrale dovuta all’inspiegabile distruzione di una notevole quantità di neuroni, aprassia, eccetera eccetera. In pratica, Sam era più morto che vivo, condannato a vegetare a vita.
La madre si mise a urlare e afferrò un dottore, non si capisce se per obbligarlo a dare una parola di speranza o se per evitare di collassare a terra, mentre il marito e i parenti si stringevano intorno a lei e cercavano di calmarla. Dave si allontanò da quello strazio; voleva solo prendere Bobby e lasciare quella valle di lacrime. Ma si accorse che il nerd era rientrato nella camera e se ne stava nuovamente immobile a fissare Sam. Gli venne la pelle d’oca. Ma come può star lì a guardalo? Lui non ci pensava nemmeno a vederlo di nuovo, neanche per un secondo.
Che ti prende, genio? Lo trovi uno spettacolo interessante?
Provò a chiamarlo sottovoce, ma quello non si mosse. Si costrinse quindi ad entrare per portarlo via, tenendo lo sguardo ben lontano dal letto. Sotto la luce intensa del neon, Bobby pareva come ipnotizzato dal volto di Sam; fissava il rivolo di saliva che gli scendeva dall’angolo della bocca. Gli occhi sembravano vitrei dietro le lenti graduate. La faccia butterata da un’acne devastante era arrossata e ricoperta da piccoli tagli, segno di una rasatura eccessiva.
Dave fu colto per un attimo dal panico. In quel momento Bobby era troppo simile a Sam.
Lo scrollò con più forza del necessario (ma meno di quanto avesse realmente voluto) e l’amico sussultò.
“Andiamocene”
All’uscita dell’ospedale erano due fantasmi nella tiepida notte di inizio giugno.
Dave si stramalediva. Prima di lasciare la stanza, lo sguardo gli era caduto per sbaglio sul volto di Sam.
Il vuoto dei suoi occhi era un panorama agghiacciante.

“Tu che ne pensi, Fred?”
“Penso che è un gran cazzo di casino, Roger. Cioè, voglio dire, o sto sognando o gli alieni sono tra noi”
“Mi sa che stiamo facendo lo stesso sogno. O incubo, fai tu. Comunque, spero di svegliarmi da un momento all’altro, nel mio letto, con mia moglie che si toglie i bigodini davanti allo specchio”
L’anatomopatologo indicò la testa del cadavere.
“No, dico, ma che razza di cranio aveva questo qui? Guardalo!”
L’aiuto anatomopatologo lo stava guardando. Era da quando l’avevano portato sul tavolo delle autopsie che non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
“Ma hai visto che denti? Gli incisivi hanno le radici piantate sul setto nasale! Ed è un setto nasale, questo!? E’ quasi orizzontale, è metà dell’intero cranio!”
“Calmati, Fred” L’aiuto anatomopatologo fermò il collega più anziano, ma non per paura che si scaldasse troppo (in fondo, aveva meno di cinquant’anni e la pressione a posto). Non voleva che continuasse ad almanaccare le assurdità presenti su quel corpo carbonizzato. Continuava a sperare che fosse solo un brutto sogno.
“Quel deficiente del coroner non ha avuto niente da lasciare scritto, prima di portarci qui questo coso?”
Fred era visibilmente alterato e Roger non poteva dargli torto. Tutta questa storia era surreale, si sentiva impazzire solo a guardarlo, quel coso.
“Cosa potrebbe essere? Una malformazione cranica?” Azzardò con poca convinzione il più giovane dei medici legali.
“Un paio di palle! Fosse solo il cranio… L’intero scheletro è un picasso! Ha le vertebre coccigee che sporgono verso fuori, tanto per dirne una”
“Quindi… ha una coda?”
“Se uno così fosse andato in giro con queste fattezze, a quest’ora sarebbe diventato un caso internazionale” Fred emise un profondo sospiro, poi si voltò verso Roger con lo sguardo stralunato.
“Non faremo alcun esame. Riferisci a chi di dovere che non c’è bisogno del calco dei denti, basta una fotografia. Chiunque sia stato in vita, non era Brian Robson, se è Brian Robson quello che ci hanno fatto vedere in foto. E soprattutto non era umano”

Martedì mattina, nell’aula magna della scuola, si tenne una preghiera di gruppo per la sorte di Samuel Delacroix. Il giorno prima c’era stata quella per l’anima di Brian Robson, tra ricordi commossi e occhi lucidi.
Dave tornò a casa e si buttò sul divano a peso morto. Si sentiva nella testa (e nell’anima) qualcosa del peso di circa una tonnellata. Da quando la vita aveva cominciato a diventare così complicata? A lui non era successo niente, d’accordo, ma era come se intorno gli si fosse fatta terra bruciata. Nella mente gli si formò l’immagine di un cerchio infuocato che si stringeva. Rabbrividì senza sapere il perché.
Quella mattina, Bobby non era venuto a scuola. Lo aveva chiamato al cellulare, sudato e col respiro accelerato, sentendosi rispondere ‘Oggi non mi sentivo un granché… Penso sia un po’ di febbre’. Il che era alquanto preoccupante, dato che ‘Un po’ di febbre’ poteva tranquillamente diventare malaria o meningite. Dopo ciò che era successo a Sam.
Già, Sam.
Da registrare come non avesse notato facce particolarmente affrante alla sua preghiera, vuoi perché non era morto, vuoi perché stava sulle palle un po’ a tutti. Allo stesso modo, però, tutti ridevano alle sue battute. Ah, umanità ipocrita!
E aveva visto Mallory, quella mattina. Se n’era stata in disparte vicino alla porta dell’aula magna, ed era filata via appena il preside aveva posto fine al raccoglimento. Più ingobbita del solito, si è diretta a passo svelto verso la sua aula, manco fosse una ricercata che ha appena visto la sua foto segnaletica affissa sui muri.
Dave ci pensò un attimo. Pescò il suo cellulare dalla tasca e rimase a fissarlo. Posso farlo, perché no? Sì, ma per dire cosa?
Armeggiò con la rubrica e selezionò il numero di Mallory. Si sarebbe fatto venire le parole giuste. Lui trovava sempre qualcosa da dire per ogni occasione.
Tre squilli. Poi la chiamata fu interrotta. Aveva visto il suo numero sul display (magari registrato sotto il nome ‘Bastardo’) e l’aveva mandato a quel paese: più che comprensibile. Ma Dave sperava che fosse disponibile almeno ad ascoltarlo, perché sentiva un’urgenza quasi fisiologica di chiedere perdono.
Ripensò a Frank e Vera e gli venne un nodo in gola. S’era maledettamente affezionato a quella gente, malgrado l’avesse frequentata per poche ore. Adesso tremava al solo pensiero di incontrarli per strada: non sarebbero stati più quelli di prima, questo è certo, almeno non con lui.
Mise da parte le seghe mentali sul perché Valery Sinclair, sicura Reginetta della scuola, avesse rifiutato l’invito al ballo di fine anno del sicuro Re della scuola, cioè lui. Si tolse le scarpe e si accoccolò sul divano, addormentandosi quasi subito.
E sognò. Era davanti alla porta della camera di Schwarzy, il giorno in cui erano andati a cercarlo. C’era solo lui. La porta gli occupava l’intero campo visivo, quasi fosse enorme. Voleva andarsene, scappare, eppure non si muoveva di lì e quella porta lo sovrastava immane. Sentì bussare con forza, ma non poteva essere lui. Lui voleva fuggire. Altri colpi, pugni, calci rimbombavano, qualcuno bussava e Dave avrebbe voluto gridare di smetterla, perché qualcosa dentro di lui gli diceva che non doveva vedere cosa c’era dietro quella porta. Poi, il bussare cessò. La porta si aprì lentamente, senza un suono, finché da uno spiraglio si potè scorgere l’interno della stanza. Dave vide qualcosa dai contorni indefiniti; che si mosse. La porta seguitava ad aprirsi lentamente e inesorabilmente. No! NO!
Si svegliò contorcendosi sul divano, e gli ci volle un minuto buono per realizzare di essere a casa sua, al sicuro.
Si mise a sedere, il sudore gli aveva modellato capelli stile pazzoide. Per allentare la tensione accese la TV.

Il resto della settimana fu un incubo ad occhi aperti.
Dave si trascinava a scuola facendo appello a tutta la sua forza di volontà, ma per il resto non usciva più di casa. La mattina si alzava controvoglia e aveva giusto il tempo di vestirsi per arrivare in orario a lezione; non settava più la sveglia un’ora prima, per rifarsi il look. A scuola girava con lo sguardo basso, gli abiti stropicciati, i capelli impastati pettinati dal cuscino… Forse era per questo che le ragazze non gli correvano dietro come una volta (anzi, lo scansavano), e le primedonne sempre all’ultimo grido avevano preso a guardarlo ridacchiando in tralice.
Fortuna che quella era l’ultima settimana di scuola e il supplizio sarebbe finito presto. Adesso, Dave doveva solo concentrarsi sugli esami, le ultime fatiche prima delle vacanze estive che sentiva sarebbero state per lui come la mano d’un taumaturgo. Aveva bisogno di un incontro di studio, ma s’era sentito appioppare un laconico ‘Ti chiamo io’ da Bobby, che continuava a massacrarsi la faccia già malridotta con una rasatura troppo profonda.
Quella settimana la città s’era riempita di curiosi e giornalisti, le emittenti televisive di mezzo mondo avevano sguinzagliato i loro segugi che, armati di microfono e telecamera, andavano in giro a fare domande su Brian Robson: che tipo era? Avete notato qualcosa di strano in lui, prima che sparisse? Si erano appostati soprattutto nei pressi della scuola, e il preside aveva richiesto un’ingiunzione per farli sloggiare, che gli molestavano i ragazzi già sconvolti per conto loro.
Una tizia aveva provato a intervistare Dave, che però aveva tirato dritto. Tutta questa storia era pura follia. Gli prendeva il tremore ogni volta che ripensava a quando s’era risvegliato da quell’incubo, per poi finire in un altro. Aveva acceso la TV ed era incappato nella CNN che parlava di una vicenda a metà fra il giallo e il paranormale: tutto comincia con un ragazzo creduto morto carbonizzato in casa, per poi scoprire che il corpo non solo non è suo, ma non è neanche umano. La carcassa rinvenuta, definita ‘umanoide’ dagli esperti della scientifica, presenta una struttura scheletrica ibrida (a questo punto venivano mostrate le foto dello scheletro bianco ripulito dalla carne bruciata, e Dave vomitava in soggiorno).
Dopo aver messo in evidenza che l’anatomopatologo si era schifato a toccarlo pure con i guanti e s’era messo in malattia per lo stress, ecco gli interrogativi fondamentali: dov’è finito Brian Robson? Ma soprattutto, chi o cosa è quell’essere rinvenuto in casa sua?
Seguivano ipotesi varie, tra alieni e criptozoologia, ma Dave aveva già spento la TV. La storia aveva fatto il giro del mondo e la loro cittadina era stata presa d’assalto.
Quando finalmente arrivò il venerdì, Dave tirò un sospiro di sollievo rientrando a casa: almeno non doveva più mostrarsi a scuola in quello stato. Però restavano il malessere e gli incubi. Ne faceva di notte e di pomeriggio, ormai quando non era a scuola dormiva di continuo e non riusciva più a studiare. Sognava di essere ancora davanti a quella dannata porta che, di volta in volta, si apriva un po’ di più; Dave non voleva vedere cosa c’era dentro, cercava di scappare, di urlare, ma il suo sguardo rimaneva fisso sull’interno della camera di Schwarzy che poco a poco si rivelava. Ormai riusciva a scorgere parte dell’armadio con un poster di Terminator 2 affisso all’anta; e della cosa semovente vedeva una specie di arto deforme ricoperto di peli. Si svegliava urlando ogni volta.
Aveva provato a non addormentarsi, una sera aveva bevuto dieci caffè, ma era stato tutto inutile. Adesso era l’ombra di se stesso, non voleva neanche guardarsi allo specchio, perchè si sarebbe trovato di fronte un David Simmons con occhiaie enormi e nerissime, emaciato e con diversi capelli bianchi malcelati dalla folta chioma bionda.
Ogni volta che provava a dare un senso alla situazione, si ritrovava a chiedersi quando fosse cominciato tutto questo. Una voce non del tutto sincera gli rispondeva: ‘Con l’ultima visita a casa di Schwarzy’. Già, quel giorno non l’avevano visto, però l’avevano sentito. E cos’è che aveva detto?
‘Per favore… Lasciatemi in pace!’
No, non così.
‘Pefffafofe… Laffiatemi in pafe!’
Questo, aveva detto. Non ci aveva fatto caso, o forse credeva di esserselo immaginato.
Ora gli sembrava un particolare fondamentale, maledizione! E cosa doveva fare, adesso? Andare alla polizia, con Bobby magari, a raccontare ciò che avevano sentito? A che pro? Gli sbirri avevano le palle girate, i media li stavano spremendo come limoni per la storia dell’alieno o strano animale o qualunque altra cosa fosse, e loro disponevano di pochissime informazioni utili provenienti per lo più dalla signora Robson, che ormai veniva sentita all’ospedale dov’era ricoverata per esaurimento nervoso. Non ci pensava proprio a presentarsi in centrale e dire ‘Sapete, io sono stato a casa sua il giorno prima che sparisse (morisse?). Non voleva uscire da camera sua e parlava come se avesse un gomitolo di lana in bocca’. No, neanche per sogno. Oltretutto, non era neanche in condizioni di presentarsi al mondo esterno.
Il suo cellulare squillò. Era Bobby.

Gli aveva detto ‘Dopo cena’, e gli andava benissimo. Il buio l’avrebbe celato agli sguardi altrui. Andò a piedi, perché Bobby aveva precisato che non si trattava di fare ripetizioni, ma di bere in compagnia. Così, per passare una serata tranquilla; e Dave aveva tanto bisogno di tranquillità.
Venne accolto da Bobby nella penombra della sua casa. C’era la sola luce di un lume in soggiorno, il resto era al buio. Si accomodarono su due poltrone dalla tappezzeria verde poste una di fronte all’altra, e Bobby aprì il mini frigo nel quale aveva stipato tre confezioni da sei di birra. Passò una lattina al suo ospite e cominciarono a scolarne una dopo l’altra.
L’occhialuto genio dei numeri spiegò che i suoi e la sorella erano andati in Florida dai parenti.
“Quando finisco con gli esami, li raggiungo” Terminò la frase in un soffio che sembrava un misto di amarezza e rassegnazione.
Non si scambiarono molte parole. Bevvero, ora guardandosi, ora assentandosi coi pensieri.
Dave non potè fare a meno di soffermare lo sguardo sul volto di Bobby, distogliendolo solo affinché questi non lo scoprisse a fissarlo. Ma perché si radeva in quel modo? Era ridotto a un ammasso di cicatrici arrossate. Ed era gonfio come se avesse gli orecchioni. Ma non chiese nulla, perché in fondo non erano cazzi suoi (aveva paura della risposta).
“Hai scorreggiato?” Domandò Bobby all’improvviso, con un mezzo sorriso. Dave rispose di no e lo guardò con aria interrogativa.
“No, sai, è che sento puzza…” E prese a sghignazzare a singhiozzi, in un moto di euforia assolutamente composto.
Dave bevve un’altra bella sorsata e lo guardò con sufficienza. Una volta ci metteva di più, prima di farsi venire la coglioneria da ebbrezza. E continuarono a sbronzarsi.
Diverse lattine più tardi, perso nel contrasto tra il retrogusto amaro della birra e il torpore alcolico, Dave parlò. O meglio, pensò a voce alta.
“Mi sa che Mallory si sta facendo quattro risate…”
Bobby fu colto nel bel mezzo di una copiosa sorsata. Sputò una parte della birra a spruzzo e centrò i jeans di Dave, mentre l’altra parte gli andò di traverso e lo fece tossire rumorosamente. Un rivolo gli scivolò fuori dal naso.
“Scusa” Disse al suo ospite, dopo essersi parzialmente ripreso.
“Fa niente” In quel momento, a Dave non poteva fregare di meno dei jeans bagnati di birra sputata.
La serata terminò verso le undici, quando anche la birra di riserva era finita. Dave ringraziò e salutò Bobby, senza chiedergli come avrebbe fatto col suo vecchio, quando questi sarebbe tornato e non avrebbe trovato più un goccio di birra in casa. Però finalmente era riuscito a strappargli un incontro di studio per domenica.
Tornò a casa, barcollando a tratti e guardando il cielo stellato.

Di notte andò in scena l’epilogo del suo incubo. La porta si spalancava del tutto e la camera di Schwarzy si rivelava a Dave per come la ricordava, nei dettagli. C’era qualcosa accovacciato sul letto, un essere cui non riusciva a dare un nome né una definizione. La bocca era una sorta di muso che sporgeva in avanti, la testa ovale, e i due occhi rossi posti ai lati lo fissavano. Il corpo era interamente ricoperto da un folto pelo scuro.
Il solo vederlo bastava a farlo impazzire.
“Aiufami, Dafe! Peffafofe!”
Parla!
La creatura scese dal letto e a Dave impazzire non bastava più, perché quella cosa stava venendo verso di lui. E come sempre non riusciva a muoversi.
Procedeva saltellando a gambe (zampe?) unite, con la schiena curva in avanti, le ginocchia piegate toccavano il petto. Le estremità erano deformi e munite di artigli neri. Dave poteva sentirli ticchettare sul pavimento ad ogni salto.
“Aiufami! E’ ftata quella! Falla fmettefe!!” Dalla bocca spalancata e urlante sporgevano denti paurosamente lunghi.
Giunse ad un passo da lui, e Dave vide il terrore più puro nei suoi grandi occhi rossi. E non era il proprio terrore riflesso. Questo era di più.
L’essere sollevò la mano-zampa all’altezza del suo viso.
“AIUFAMI!!”
Dave si svegliò urlando sul suo letto, nel primo pomeriggio di sabato. Le sue sudate e stropicciate lenzuola parlavano di un sonno parecchio agitato, solo per miracolo non era caduto dal letto. Si mise a sedere reggendosi la testa tra le mani, i suoi capelli erano ridotti a lana di pecora appena tosata. Con uno sforzo titanico riuscì a trascinarsi al bagno e poi in cucina. Aveva bisogno di un caffè fortissimo.
Mise la caffettiera era sul fuoco e si sedette. E pensare che serata di ieri doveva tirarlo su, allentargli la tensione… Invece era ridotto peggio di prima. Quella notte l’incubo aveva raggiunto il suo apice, e se era fortunato (cosa ultimamente assai rara) il ciclo era concluso.
Un incubo a puntate. Ma che cazzo!
Mentre sorseggiava il suo caffè, provò a fare tabula rasa nella sua mente, giusto per rilassare le meningi. Ma i pensieri riaffioravano veloci e inafferrabili come pesciolini affamati sul pelo dell’acqua.
Allora, proviamo con qualcosa di divertente.
Era un po’ difficile, perché lo stesso termine Divertimento sembrava appartenere ad un’altra vita. Gli venne in mente Bobby che trasaliva e sputava la birra; questo sì che faceva ridere. Che spasso… Gli è preso un colpo appena ha sentito nominare…
Fu allora che trasalì anche lui. Balzò in piedi, rovesciando il caffè.
Oh, cazzo. Oh, no. No! No! No!!
Non era concepibile il pensiero che aveva appena formulato. Eppure l’angoscia che gli aveva stretto il cuore in una morsa diceva il contrario. Prese a fare avanti e indietro per la cucina, con il cuore a mille e il respiro accelerato; era a tanto così da un attacco di panico in piena regola.
Mantieni la calma. Non può essere così. Non può.
Doveva dimostrare a se stesso che il suo timore era infondato, una paura irrazionale. Altrimenti sarebbe impazzito. Il dubbio è un tarlo che rode.
E decise sul da farsi.

Si recò a scuola. La tenevano aperta di sabato per le ripetizioni di gruppo in vista degli esami e per i preparativi del ballo di fine anno.
In biblioteca si poteva consultare l’annuario scolastico virtuale. Sulla pagina della studentessa Mallory Blake, appena sotto la sua foto, erano presenti le informazioni essenziali, più una lista riportante le scuole da lei frequentate. Proprio come raccontavano.
Aveva cambiato due scuole elementari, due medie e una superiore. L’ultima volta il cambio le era costato anche il trasloco dallo Stato dell’Illinois a quello attuale di New York.
Ora veniva la parte più difficile. Dave appuntò in un foglietto le date di tutti i trasferimenti. Quindi chiuse l’annuario e selezionò un sito che raccoglie le notizie di quasi tutti i quotidiani nazionali e locali dal 1900 ad oggi. Nel dicembre del 199* aveva effettuato il suo primo cambio, lasciando l’elementare Saint Peter della città di Flintwood; cercò le notizie relative alla città di Flintwood a partire dal settembre di quell’anno. Niente di particolare, si trattava di un paesino modesto: rissa con arresti ad una sagra annuale, raccolto rovinato da una grandinata eccezionale… Una notizia di fine novembre catturò la sua attenzione, non foss’altro perché tra titolo e sottotitolo erano presenti le parole ‘scomparsa’ e ‘mistero’.
SCOMPARSA UNA DONNA A FLINTWOOD
E’ mistero sulla scomparsa di una maestra d’elementare. In casa, rinvenuto cadavere non identificato.
Stando all’articolo, una maestra dell’elementare Saint Peter, la stessa frequentata da Mallory fino a dicembre, era scomparsa nel nulla. La trentacinquenne Angelica Smith, nubile e di bella presenza (stando alla foto che la ritraeva) non si era presentata a lezione, così la scuola aveva chiamato a casa e, dato che il telefono squillava a vuoto, era stato richiesto l’intervento della polizia. Quando gli agenti sono entrati in casa della donna, di lei non c’era traccia e mancavano segni interpretabili come una colluttazione seguita da un sequestro, o un allontanamento volontario, dato che l’armadio era perfettamente in ordine e le valigie stavano al loro posto; l’unico particolare stonato, uno specchio frantumato dal lancio di una suppellettile. Il fatto più eclatante era il ritrovamento, in cantina, del cadavere impiccato di una vecchia. Non solo non si sapeva chi fosse o che diavolo ci facesse lì, ma a lasciare a bocca aperta gli inquirenti erano i connotati dell’anziana, definiti ‘surreali’. Un naso adunco e spropositatamente lungo con un enorme bitorzolo in punta, mento anch’esso lungo e affilato, occhi troppo grandi cerchiati da ampie occhiaie giallastre e bocca altrettanto smisurata, provvista di un unico dente. La descrizione proseguiva riferendo che l’anziana aveva dita ossute munite di unghie simili ad artigli, lunghi capelli bianchi e che indossava un mantello nero con cappuccio. ‘Sembrava la strega di Biancaneve’ commentava chi l’aveva vista. La donna pareva essersi impiccata da sola, ma altri accertamenti erano in corso. Seguivano inquietanti interrogativi sulla stranezza del caso.
Dave scorse gli articoli successivi alla ricerca di sviluppi sull’indagine, con le prime gocce di sudore che gli facevano capolino dalla fronte. Ne trovò giusto un paio: la prima riferiva che era stato accertato il suicidio volontario da parte dell’anziana, ma che la sua identità era sconosciuta. Ancora non si avevano notizie della signorina Smith. La seconda notizia era un trafiletto che dichiarava ufficialmente scomparsa la maestra e l’inchiesta archiviata senza indagati. L’anziana era stata tumulata come Jane Doe.
In quel periodo, Mallory aveva sei anni e faceva la prima elementare.
Dave aveva preso ad ansimare. Lesse sul foglietto su cui erano appuntati i cambi di scuola della ragazza, decidendo di fare ricerche sul più recente: il primo anno delle superiori, quando aveva circa sedici anni, era passata dalla Hemingway dell’Illinois all’attuale Jefferson dello Stato di New York, nel gennaio del 200*. Setacciò le notizie riguardanti la cittadina di Westlay, con mani sudate e tramanti e la vista che a tratti si annebbiava. Proprio nel gennaio di quell’anno, una tragedia aveva sconvolto la pacifica comunità di Westlay: uno studente era collassato nella palestra della Hemingway High School durante l’ora di educazione fisica. I medici giunti sul posto non hanno potuto che riscontrarne il decesso, avvenuto per un infarto fulminante; pare che il ragazzo, di nome Timothy Mitchell, non soffrisse di alcuna disfunzione cardiaca. Tre giorni dopo si parlava del funerale del ragazzo, dei fiori e della commozione da parte di familiari, amici e compagni di scuola. Solo un’incresciosa vicenda turbava questo momento di cordoglio collettivo: una studentessa, M. B., veniva accusata di essere l’artefice della tragedia, poiché aveva augurato la morte a Timothy a seguito di alcuni pesanti apprezzamenti da parte di quest’ultimo, che era deceduto il giorno stesso. I familiari della ragazza hanno annunciato che si trasferiranno altrove, essendo la situazione divenuta insostenibile; pare infatti che la giovane non fosse nuova ad episodi di bullismo a scuola, cosa che l’ha costretta a cambiare diverse volte istituto nel corso degli anni.
Dave deglutì a vuoto e fissò lo schermo. Stavano cominciando a combaciare i tasselli di un puzzle raffigurante uno scenario atroce.
Scosso dai tremiti e sull’orlo del pianto, digitò sul motore di ricerca del sito i termini ‘mallory’, ‘blake’,‘tragedia’ e ‘mistero’. Due risultati. La prima notizia era di discreta lunghezza, diceva:
MISTERO SULLA SCOMPARSA DI DUE CONIUGI
Da ieri non si hanno più notizie di John e Rachel Blake. La figlia trovata sola in casa.
Closeville, Illinois. Una scomparsa che ha le tinte del giallo, quella dei giovani coniugi Blake. Proprio ieri il fratello di John Blake, Frank, ha chiamato a casa, sentendo rispondere la nipotina di tre anni e mezzo, in lacrime. Allarmato, l’uomo si è precipitato nell’abitazione del fratello, trovando la bambina sola, in preda ad una crisi di pianto. La polizia non ha trovato segni di colluttazione, né di fuga precipitosa. Sembra che i due si siano allontanati all’improvviso, senza prendere alcunché; perfino i portafogli e le chiavi di casa e dell’auto erano al loro posto. Un particolare ha sconcertato gli inquirenti: il forno era acceso e stava cucinando una crostata, ormai bruciata. Sembra che i coniugi Blake siano letteralmente spariti da un secondo all’altro. La loro povera figlia, sconvolta, è stata provvisoriamente affidata allo zio paterno, e sarà ascoltata dagli investigatori col supporto di uno psicologo. […]
L’articolo proseguiva con una dichiarazione resa da Frank Blake, a proposito del fatto che suo fratello e sua cognata non sono così scriteriati da andarsene di punto in bianco e mollare sola in casa la loro bambina, e che pertanto deve essere certamente successo qualcosa. Il secondo risultato della ricerca era un trafiletto: nessuna traccia dei coniugi Blake. Gli zii paterni chiederanno l’adozione della piccola Mallory, che viene seguita dai servizi sociali a causa del trauma subito: pare infatti che si senta responsabile in qualche modo per la scomparsa dei genitori.
Dave si ritrasse di scatto dal computer della biblioteca, come se fosse diventato un cane rabbioso pronto a mordere.
NO.
Era pazzesco, ma le cose stavano in quel modo. Gli venne il latte alle ginocchia e si accasciò sul pavimento, abbracciandosi le gambe in posizione fetale.
Quella. Mallory! Lei fa… dice… pensa… non so, ma… è capace di modificare la realtà.
Il suo compagno la prendeva in giro. Cosa gli ha urlato? ‘Crepa!’? E lui è schiattato.
Cosa le aveva fatto la sua maestra? Un rimprovero? E lei non l’aveva presa bene. ‘Sei brutta e cattiva!’. Nella mente di una bambina di sei anni, il volto dei cattivi veniva magari desunto dalle favole trasposte nei film Disney; così, un bel giorno, la donna s’era svegliata con le fattezze della strega di Biancaneve. Niente di strano che si fosse impiccata. La dispersa e la suicida sconosciuta erano la stessa persona.
E i suoi genitori, in cosa li aveva trasformati? Probabilmente aveva disubbidito o commesso qualche marachella, e per punizione non avrebbe mangiato la crostata. E lei aveva solo tre anni e mezzo… ‘Non vi voglio! Andate via!’. Via. Sparite.
Ma Frank era un tipo avveduto. Non appena si era reso conto del potere della nipote, aveva preso le dovute contromisure. Da non-violento, avrà certamente fatto capire a Mallory peso di una vita distrutta; forse aveva fatto leva perfino sul senso di colpa. Tutto sommato, un uomo di mondo: Mallory si chiude in se stessa, evita i contatti umani e si consuma per la solitudine patologica, ma sempre meglio questo di chissà quante tragedie fra i suoi simili. L’aveva abituata a non rispondere di getto, a non mettersi a discutere. ‘Stai attenta a quel che dici, Mallory. Nessun torto autorizza simili conseguenze’.
Lei sfogava la sua ira con pianti e urla, e a furia di pesare ossessivamente la sua parlata l’era insorta una balbuzie psicogena.
Però, ogni tanto, quando la misura era colma, scoppiava. Nei dintorni dell’Illinois (soprattutto nelle scuole), ne sapranno certamente qualcosa…
Oddio!
Schwarzy. Mallory gli aveva dato del coniglio e lui s’è ritrovato a mutare, giorno dopo giorno, inesorabilmente. Il pelo che gli cresceva su tutto il corpo, i denti che diventavano enormi e che sporgevano dalla bocca…
Dave si rese conto a mala pena di essersi pisciato addosso sul pavimento della biblioteca.
Se non si fosse dato fuoco (col chiaro intento di farla finita e insieme occultare quel suo aspetto mostruoso) quelli della scientifica avrebbero trovato una sottospecie di coniglio gigante, con tanto di coda a batuffolo e orecchie lunghe. Roba che, con una carota in mano, ti fa ‘Ehm… che succede, amico?’… et voilà, Bugs Bunny!
L’immagine apparsagli nella mente gli provocò un moto di riso convulso e isterico. Che cessò al pensiero successivo.
Ha detto delle cose… delle parolacce contro tutti.
Aveva dato a Sam del decerebrato, e adesso Sam era su un letto d’ospedale, con il cervello ridotto manco fosse un novantenne con il Parkinson e l’Alzheimer insieme.
Quindi lei dice una cosa e questa si avvera… Fantastico!
Quanti ne ha rovinati così?
Un ragazzo la prende in giro, lei gli grida ‘Va a farti fottere!’; la sera stessa, tre energumeni fanno la festa al suo culo nel bagno del cinema.
Wow!
E se ti manda all’inferno?
E se… e se…?
Oh, cazzo!


Non seppe come ma raggiunse casa sua, senza ricordare quasi niente del tragitto di ritorno; lui che arrancava per i corridoi della scuola, il bidello che gli chiedeva se andava tutto bene, e poi fuori, la gente che lo guardava camminare come un ubriaco, barcollare e cadere e rialzarsi per tutta la strada.
Si chiuse la porta dietro le spalle e si accasciò nuovamente, ma questa volta si concesse un attimo di tregua e rimase lì, come afflosciato, di fronte l’uscio di casa.
Stava ricordando e non voleva. Gli tornavano alla mente quelle parole.
Prese a piangere e a singhiozzare. Sentiva quell’odore. Quell’odore!
Si rimise in piedi con uno sforzo immane. Doveva calmarsi. Si diede un pugno nello stomaco e cacciò un urlo selvaggio. Rifiutare ciò che stava accadendo non lo avrebbe salvato. Non era un sogno e non stava delirando. Forse c’era ancora speranza.
Afferrò il cellulare. Doveva sbrigarsi perché l’odore stava aumentando. In rubrica aveva il numero di Mallory, ma l’ultima volta gli aveva chiuso la chiamata. Si avventò allora sul cordless, facendo cadere per terra la basetta. Compose il numero e attese in linea.
Doveva rispondere, non conosceva il suo numero fisso. In quegli istanti, Dave semplicemente partorì troppi pensieri. Uno sull’altro.
Sta calmo, Dave. Calma. Andrà tutto bene. Quell’odore… Janice e Valery schifate. La pregherò, farò tutto quello che mi chiederà di fare, me la porterò a letto, la sposerò… Quell’odore… Si dice che quando puzzi gli altri lo sentono prima di te… Forza, rispondi! Dai!
E alla fine dall’altro capo sentì ‘P-p-pronto?’, proprio mentre stava pensando che doveva dire a sua madre di smetterla di piantare casini alla vicina, che non era la sua fossa biologica…
“Ma-mal-lory”
“C-chi è?” Sembrava una conversazione fra due membri dell’Associazione Balbuzienti.
“Dave – disse d’un fiato, dopo diversi secondi di apnea – David Simmons” Non sapeva se rivelarsi subito fosse una grande idea, ma non era lui a reggere il gioco.
Silenzio.
“Senti, Mallory, quella cosa che ti abbiamo fatto… Io… mi dispiace. Non volevo. E’ stata una trovata di quel coglione di Sam! Io non volevo farlo!” Aveva sputtanato il suo amico e la sua dignità, ma ormai cosa gliene fregava? Sam non era suo amico, nessuno di quei tre imbecilli lo era, e loro avrebbero avuto ciò che meritavano. Non lui. Non lui che non voleva farlo, che non si è divertito. Ma si è comunque fatto coinvolgere. Perché doveva seguire il flusso.
“Che-che coo-sa vuoi, eh?” Gli chiese. Ma già lo intuiva.
“Non farmi male. Ti prego. Io… sto dalla tua parte, non sono come loro… Hai ragione tu”
Dignità e orgoglio, colpiti e affondati.
“No-non è co-come credi t-tu. I-io ho già f-faaa-tto tu-tutto”
Dave stralunò gli occhi e volle credere d’aver capito male.
“Che significa?”
“I-io ho de-detto qu-queeel-le cose e o-ra non s-si può p-più fare nulla”
“NOOOO! Non è vero! Non è possibile! Perché fai così? Ti ho chiesto scusa, ti prego! Farò tutto quello che vuoi, tutto!” Ti sposo, ti do dei figli, ti tratto da regina… Ormai a parlare era solo l’istinto di sopravvivenza.
Mallory si inumidì le labbra per proseguire, ma tanto a che serviva? Ormai era fatta. E perché mai doveva sentirsi in colpa e magari chiedergli perdono per ciò che gli stava accadendo? Mi spiace, zio Frank, ma stavolta ha ragione zia Vera.
“Tu s-sei il primo c-che lo ca-ca-capisce. F-forse peee-rchè la ma-maledi-zione ha fatto u-un po’ tardi. Io s-sono nata così. E’ la-la mia mmm-maledizione. Lancio maledizioni” Terminò senza inciampi, mentre Dave era scosso da un pianto disperato e il tanfo si stava propagando per tutto il soggiorno.
“Qu-quando la lancio… p-poi non p-posso farci più nu-nulla. S-succede s-solo qu-quando sono mooo-lto arrr-rabbiata”
Mallory sentì piangere Dave e, per la prima volta, non avvertì compassione, né senso di colpa. Le sue parole rabbiose avevano colpito tanta gente, e il fardello della colpa l’aveva sempre perseguitata; se fosse potuta tornare indietro, si sarebbe morsa la lingua. Ma in questo caso… Beh, si sentì nata per gente come David Simmons. E così scoppiò in una risata forte e acuta, amaramente sincera.

Nel frattempo, il sangue di Robert Curtis, detto Bobby, si stava rapprendendo intorno al suo corpo. S’era sparato, con la pistola del padre, a ciò che rimaneva della sua testa. S’era accorto da un bel pezzo che qualcosa non andava: quei peli crespi e duri che gli crescevano in faccia non potevano essere barba… Poi le guance avevano preso a gonfiarsi e radersi a sangue non bastava più. Quella mattina s’era svegliato con la testa grande il doppio, il collo gli doleva nel sostenerla. Davanti allo specchio era inorridito. Le guance s’erano gonfiate e unite fra loro, formando un gigantesco scroto tutto ricoperto da quell’ispida peluria ricciuta, che adesso gli cresceva pure sulla fronte e sul collo. Il naso si era allargato e allungato, prendendo la forma cilindrica di un pene.
Aveva urlato tanto forte da tranciarsi le corde vocali; poi aveva raggiunto il cassetto dove suo padre teneva la pistola. BANG.
Testa di cazzo! Testa di cazzo! Testa di cazzo!

“NOO! NOOOO! NOOOOOOOO!”
Dave piangeva e urlava cercando un appiglio, mentre tutto intorno a lui cominciava girare. Stava semplicemente impazzendo. Lasciò cadere il cordless e vide che era impiastricciato da una sostanza marrone densa e melmosa. E maleodorante.
“NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!”
Le mosche e tutti gli insetti presenti in casa presero a svolazzargli intorno.
La risata di Mallory fuoriusciva in un gracchio compatto dalla cornetta del telefono.
“AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!”
Ma Dave non la sentiva più. Guardava inorridito la pelle del suo braccio mutare in quella melma marroncina, l’arto s’era fatto molle e il processo si stava estendendo a tutto il corpo. Stava perdendo sensibilità, il suo corpo, le sue ossa… si stavano ammorbidendo.
Una mano perse la sua forma, si staccò dal polso e cadde a terra con un secco SPLACK. Alcune mosche la raggiunsero e presero a banchettare.
Dave urlò. E urlò. E urlò. Ancora e ancora, finché la bocca rimase integra.
Stronzo! Pezzo di merda! Stronzo!
 
Top
_Jessica
view post Posted on 20/5/2010, 21:44




SPOILER (click to view)
SONO SCONVOLTA!
Complimenti per l'originalità, per la bravura e per quel pezzo di crudeltà, che sono venuti fuori naturalmente.
Brava, brava e ancora brava.
Perdonami, ma sono talmente sconvolta che non so cosa dico.
A presto.
Jessica.



Ciao, ho lasciato una recensione, a dir poco, pessima la scorsa volta (che puoi trovare nello spoiler, non l'ho eliminata perché è stata la mia prima impressione, ma questa che mi accingo a farti è un pochetto più ragionata e, si spera, migliore.).

Solo a leggere la storia si comprende la grande fantasia dell'autore e quanto i particolari non sono mai casuali. Soprattutto in questa storia.
Il protagonista, Dave, è un ragazzo che ha una coscienza, che emerge spesso, ma che al contempo viene soffocata per seguire la massa. Mi è piaciuto moltissimo questo passaggio:

SPOILER (click to view)
Il giorno dopo il suo cellulare squillò. Mallory gli annunciava in lacrime che, no, non potevano uscire, i suoi zii non le davano il permesso. A Dave sembrò un segno divino: fine del piano, fine della carognata, fine dei sensi di colpa, fine…
Fine della tua fama di conquistatore a colpo sicuro.


Si capisce benissimo che lui non vuole ferire veramente Mallory con quell'orribile scherzo, si è sentito una merda (scusami per la parola un po' colorita) già al solo pensare di fare quello scherzo terribile, ma è evidente quanto l'orgoglio sia più forte del buon senso.
Bello anche il potere di Mallory (non scherzo!), poiché si dà più importanza alla vittima e a ciò che subisce, e a come questa si difenda sempre in modo peggiore di ciò che il carnefice si aspetterebbe. La frase di zia Vera risuona per tutto il racconto, ancora prima che la stessa la pronunci, così come la frase di George Bernard Shaw. Le hai utilizzate divinamente.
SPOILER (click to view)
“Certo, se taluni evitassero di fare del male, non ci sarebbero nemmeno vittime inferocite”


Le conseguenze delle maledizioni sono davvero ben posizionate nel racconto, nulla di troppo prevedibile né di troppa "roba già vista e tritata". Azzeccato il tempo di lettura, poiché ad ogni riga fa crescere la suspense e fa rabbrividire ancor di più il lettore. Sadico è stato anche lasciare per ultimo Dave. La sua prima punizione è stata quella di non presentarsi più come il belloccio della scuola, poi susseguita dal suo sbigottimento e dolore nel vedere piano piano ogni suo amico cadere come una pedina del domino. La morte per lui si è avvicinata lentamente. La seconda punizione è stata quella di capire ciò che stava succedendo, di sapere il perché e chi stava facendo questo. La terza punizione è stata il dover chiedere pietà. Il doversi piegare ad una ragazzina denigrata da tutti, da lui per primo. Ed infine, la sua punizione più grande: la trasformazione in letame.

Credo di non essere l'unica ad affermare che questa storia fa riflettere sulla crudeltà, mostrata più brutalmente dalle vittime esasperate. Mi sono ritrovata d'accordo con zia Vera: non esisterebbero vittime inferocite se non ci fossero carnefici.

Complimenti.
A presto.
Jessica.


Edited by _Jessica - 21/5/2010, 23:46
 
Top
1 replies since 6/3/2010, 00:15   91 views
  Share