Where the wounded and dead show the way., [23/02/10] Storia in musica

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kaos3003
view post Posted on 10/4/2010, 22:08




Rating: 14 anni
Tipologia: long fiction/raccolta (diciamo che sono dieci scene che unite formano una storia)
Lunghezza: 4866 parole, dieci capitoli, otto pagine
Avvertimenti: femaleslash, het, death,
Genere: romantico, fantasy, drammatico
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: ogni capitolo è ispirato a un preciso brano musicale, ossia:
1.Sanctus - Aesma Daeva (It is because they are connected / With the most thoughtless and the happiest / Moments of life.)
2.The dark night of the soul - Loreena McKennit (Upon a darkened night / the flame of love was burning in my breast / And by a lantern bright / I fled my house while all in quiet rest) (video)
3.Mourning star - Kamelot (So come save us, turn water to wine, / Give me words of unfathomable wisdom / As I'm crossing the enemy's line, / Where the wounded and dead show the way.) (video)
4.Fuoco dell'inferno (da “Il Gobbo di Notre Dame” della Disney) (Ma allora, Maria! / Dimmi perché, proprio a me / L'anima mi brucia al suo pensier / La vedo, la sento, / fra i suoi capelli capelli il fuoco c'è / E annienta ogni controllo che c'è in me) (video)
5.May it be - Enya (When the night is overcome / You may rise to find the sun) (video)
6.Anthem - Kamelot (I don't know your name, or what I am to do. / One day you'll wonder why I read between the lines) (video)
7.Disincanto - Mango (tutto quello che volevi / trova spazio dentro me, / sogna ancora amore mio) (video)
8.Per lei contro di lei – Mecano (Una pensa «con lei io peccherò» / l'altra pensa «peccato è dirsi no») (video)
9.Evening falls - Enya (As I walk there before me a shadow / from another world, where no other can follow.) (video)
10.End of all hope – Nightwish (Angels, they fell first but I'm still here / Alone as they are drawing near) (video)
Note dell'autore: ho messo i versi a cui mi sono ispirata fra parentesi. E prima o poi scriverò una storia con capitoli più lunghi... poi, molto poi.
Introduzione alla storia: una settimana per cambiare la propria vita, una settimana in cui un popolo attende il sangue.


~ Maemoris sancti cantui intersumus

Gli accoliti del tempio stavano intonando il primo dei sette inni sacri dagli importanti loggioni. La settimana sacra era ormai vicina e il popolo si radunava nella capitale per la festa.
Ylva camminava nella galleria sud, sorridendo mestamente. Negli anni passati quelle dolci melodie le avevano sempre portato pace spirituale e serenità con le loro promesse di primavera ed abbondanti raccolti, purtroppo quest'anno era destinato ad essere differente.
“Che la Luna vi sia amante, Madre Ylva.”
La donna si voltò. Un giovane prelato di campagna si stagliava tra lei e la navata principale del tempio in atteggiamento di rispettosa sottomissione. Anche se quasi totalmente rasata, la chioma di fuoco del giovane Bleddyn era inconfondibile.
“E io prego lo sia per voi, figliuolo.” mormorò, sorridendo benevola al ragazzo, no, all'uomo di fronte a lei. Era quasi impossibile credere che fino all'anno prima fosse solamente un novizio in partenza per una comunità sperduta oltre i monti.
L'inno continuava, mentre il giovane si rialzava, curando di rimboccarsi le maniche e il cordone della tunica per non inciamparvi.
Una scena simile avrebbe sdegnato qualsiasi abitante della capitale, eppure a Ylva ricordava così tanto il suo periodo d'apprendistato presso una lontana comunità di pescatori analfabeti.
Bleddyn stava ancora raccogliendo quella veste troppo grande. Aveva l'aria di un cucciolo sperso e Ylva sentì le labbra incresparsi. "Figlio mio, quella tunica non è un po' troppo grande?" domandò, nascondendo una leggera risata dietro una mano inguantata.
L'uomo sbuffò vistosamente, facendo due rapidi giri di cordone intorno alla vita."Che volete farci, Madre, la mia piccola comunità non è certamente ricca come la vostra capitale.
I lineamenti di Ylva si indurirono improvvisamente, ogni traccia di ilarità cancellata completamente dal suo volto. Da quando era diventata Precettrice non aveva sentito altro che la stessa lamentela da tutti i curati in pellegrinaggio, come se lei stessa non avesse affrontato per prima i disagi di un'esistenza spartana.
Eppure, pensò, i precetti di Hala erano chiari: ai suoi occhi liberi ed uguali, per questo chi decideva di servirla doveva sperimentare una seconda nascita fra gli umili, per poter meglio comprendere la grandezza del proprio compito.
“Questo è peccare d'invidia, Bleddyn.” asserì, riportando lo sguardo oltre le colonne della galleria.
“Perdonatemi, reverenda Madre.”
La donna gli concesse un rapido cenno d'assenso, preferendo concentrarsi sulla piccola folla radunatasi nella piazza antistante al tempio.
"E' già nella Nicchia?" chiese il curato, portandosi al suo fianco, le mani diligentemente nascoste nelle ampie maniche. "La figlia della Luna, intendo." continuò, non avendo ottenuto risposta.
Ylva abbassò il capo, rilasciando un sospiro sofferto. Ovviamente il ragazzo era venuto solo per assistere al rito, esattamente come le migliaia di pellegrini giunti dai più remoti confini della regione, eppure in quei giorni si scopriva spesso a sperare che quell'anno la festa non fosse celebrata.
Poco discosto dal tempio un venditore proponeva con feroci grida dei datteri secchi e Ylva intravide fugacemente un lembo della pallida carnagione della prigioniera stagliarsi prepotente tra la folla.

~ Urbis lanternarum nocti intersumus

Era notte fonda e le strade della capitale erano deserte da ore. In quel periodo di digiuno e penitenza tutti gli uomini seguivano fedeli i dettami e presto si ritiravano nel talamo nuziale con la propria consorte.
Fuori da una delle più note Case della città Sirvart si strinse nelle braccia, battendo numerose volte i piedi a terra e maledicendo il proprietario de La luna gemente per quella tunica, troppo leggera per gli ultimi rigori invernali.
La ragazza sbuffò, odiando l'uomo per privarla perfino del semplice conforto di un mantello, e naturalmente per essere tanto stupido da credere che qualcuno avrebbe disatteso i precetti di Hala per un paio d'ore con una cortigiana; quell'apostata, non aveva nessun rispetto per le festività e le tradizioni, e per queste sue idee sacrileghe lei era costretta ad aspettare dei clienti appoggiata allo stipite della porta, giusto di fronte alla Nicchia dell'Est.
Oh ma lo avrebbe denunciato al tempio, pensò, soffiando sulle proprie mani, lo avrebbe denunciato e avrebbe assistito con sommo gaudio al suo castigo nella pubblica piazza.
Con numerosi piani d'azione nella mente, Sirvart gettò una rapida occhiata alle mura. Oltre i soldati stanziati di guardia riusciva ad intravvedere appena la figura della deimosta, legata ai piedi dell'effige di Hala e coperta solamente dai suoi lunghi capelli argentei, tipici di quella razza.
Sirvart sbuffò nuovamente, prendendo fra due dita ed esaminando critica un ricciolo scuro; fra le cortigiane de La luna gemente i suoi lunghi boccoli scuri e la sue pelle chiara erano giusti motivi di vanto, ma messi a confronto con la pelle quasi evanescente e quei lunghi capelli risultavano oltremodo banali. “E' una vera fortuna che gli uomini non possano toccare quelle cagne.” pensò, scrutando torva la deimosta stringersi in posizione fetale. “Ne hanno abbastanza per soddisfare l'appetito di un re.”
Una leggera folata di vento mosse appena l'insegna della Casa, e la ragazza si strinse ancora una volta nelle braccia. Stava giusto per rientrare nel locale, quando una la luce di una lanterna rischiarò il porfido di un vicolo dietro il negozio del fornaio. Non poteva certamente trattarsi di un cliente, la scomunica e il cavalletto erano sufficienti a trattenere perfino il peggior maniaco nel proprio letto, e i pellegrini non sarebbero arrivati prima delle orazioni del mattino, ma allora, si domandò, chi poteva aggirarsi in quell'area della città ad un'ora indecente?
Al comparire della figura le guardie di misero in posizione d'attacco e, per non farsi scoprire, Sirvart si appiattì contro lo stipite. Il freddo e i suoi piani di vendetta contro il proprietario della casa di piacere passarono immediatamente in secondo piano davanti a quella scena.
L'uomo, perché quella corporatura robusta non poteva che appartenere ad un uomo, era ormai accanto ai soldati, che si ritirarono subito dopo un rispettoso inchino, andandosi a rifugiare nella vicina guardiola. Doveva essere uno importante se quegli scimmioni se ne erano andati senza battere ciglio.
La ragazza si sporse un po' dal suo nascondiglio per scorgere qualche particolare in più di quella scena: il comandante della guardia cittadina avrebbe pagato caro per sapere chi aveva il potere di corrompere i suoi uomini, e lei avrebbe potuto saldare qualche piccolo debito della famiglia. Un vero peccato che tutto quello che riuscisse a vedere fosse quella dannata lanterna appoggiata per terra e la schiena dell'uomo, chinato sulla deimosta.
Il suo volto era coperto da un cappuccio, ma anche da quella distanza Sirvart poteva vedere le sue mani accarezzare i fianchi della prigioniera e salire fino a sfiorarne i seni prominenti. Beata Hala, se solo al tempio lo avessero saputo quel nobilastro sarebbe finito immediatamente su un rogo.
Sirvart continuò a fissare quella scena, completamente raggelata dal disgusto. Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma ad un certo punto l'intruso si alzò e si allontanò con la sua lanterna per la stessa viuzza da cui era uscito.
La campana del tempio batte tre rintocchi. La deimosta sembrava fissarlo con i suoi occhi cerulei, resi vitrei dal primo incantesimo della settimana sacra.

~ Improbo dialogo intersumus

La stanza era fiocamente illuminata dalle deboli fiamme del caminetto, poco alimentata a quell'ora tarda della notte. Le pareti, coperte del rosso vermiglio delle coste dei libri giuridici, gettavano sul nuovo arrivato un'aria di austerità e crudeltà, esattamente come la toga, appesa con cura alla sua sinistra..
Fissando lo schienale del trono di fronte a sé, l'uomo deglutì sonoramente. Non si era mai sentito a proprio agio nella stanza del Sommo Giudice e dal processo che l'aveva coinvolto le cose erano peggiorate; purtroppo erano tempi difficili quelli e si voleva sopravvivere ci si doveva adattare alle alleanze peggiori.
"Allora?”
La voce tonante lo riscosse dai suoi pensieri. Il Giudice sedeva ancora sul proprio scranno, e l'unica cosa che vedeva di lui era la mano, tesa oltre il bracciolo ad afferrare da un treppiede una coppa d'argento, probabilmente contenente un pregiato vino dalle campagne delle più lontane colonie.
L'uomo sulla soglia si schiarì la gola. "Avevate ragione, è una di pura razza.”
"E?”
"Ed è fertile, mio signore." mormorò, avvicinandosi alla sedia poco distante dallo scranno. Il fuoco gettava bagliori rossastri sul suo mantello, sottolineandone la pregevole fattura. "Ho avuto il responso dal guaritore delle ancelle stamane e poco fa il comandante del plotone di guardia ha confermato la notizia.”
Il Giudice intrecciò le dita, appoggiandovi sopra il mento. Aspettava da anni quel giorno, precisamente da quando il suo padre spirituale aveva condiviso con lui i piani dell'Ordine dell'Occhio: una deimosta, una figlia di Hala, capace di generare e un sacerdote addestrato e raccomandato dalle più alte sfere del loro Ordine.
L'uomo bevve un altro sorso di vino, prima di invitare l'altro a sedersi su una sedia poco discosta da lui. "Molto bene, quando pensi di agire?”
"Al sesto giorno delle celebrazioni." rispose prontamente la figura nascosta dal mantello, rifiutando con un cenno la coppa offertagli da un servitore. "Si ritireranno tutti presto quella notte e sostituire la deimosta senza essere visti sarà oltremodo semplice.”
"E dove la porterai? La Madre si accorgerà sicuramente dello scambio e ti lancerà i suoi cani alle calcagna.”
L'uomo sorrise in modo ferino, osservando il volto anziano del suo ospite distendersi in un'espressione tranquilla. Il suo piano sembrava piacergli, e tutto questo era solo un passo verso la completa riabilitazione.
"Ho un cugino a Guadian Peak, la sua tenuta è abbastanza lontana perché le guardie non ci trovino." disse sicuro, distendendo le lunghe gambe di fronte a sé. "Ci fermeremo un paio di giorni e da lì prenderemo una nave per l'isola di Enidu, dove la consegnerò al Gran Maestro dell'Ordine.”
Un servitore in livrea entrò, annunciando la visita del consigliere della Madre, e il Giudice si alzò per congedare l'uomo.
"Mi raccomando, deve essere trattata con la massima discrezione” disse in tono sommesso, porgendo la mano con il sigillo inquisitoriale perché l'uomo desse il bacio di riverenza.
Una debole luce si spanse nella stanza; si stava ormai avviando il secondo giorno delle celebrazioni e da una delle piccole finestre di quella stanza si scorgeva la Nicchia, dove la deimosta riposava placida, mentre a pochi passi da lei si ergeva una figura femminile, avvolta in uno scuro mantello.

~ Sacro ludo impudicitiae intersumus

Il sole doveva ancora sorgere sulla capitale e nel tempio gli accoliti attendevano di recarsi nei loggioni per i primi inni del mattino, mentre gli usci di poche case si aprivano per permettere ai fornai di preparare i pani e le focacce per la giornata.
Tutto sarebbe stato quieto immobile, se un'imponente figura non fosse scivolata nei vicoli, evitando luoghi troppo esposti e botteghe, per giungere infine alla Nicchia. Il plotone di notte non aveva mai ripreso il proprio turno dopo la visita precedente e mancavano ancora alcune ore al cambio della guardia.
Sorpresa dell'inaspettata fortuna, la figura si inginocchiò a terra, lasciando che il mantello s'aprisse a rivelare una lunga gonna in seta nera. Di fronte a lei l'effige di Hala sovrastava la giovane deimosta, sveglia nonostante la lunga giornata.
Quegli occhi cerulei e vitrei si fissarono su di lei, mentre si chinava ad accarezzarle un fianco.
"Shhh, non devi aver paura." sussurrò, muovendo la mano in cerchi concentrici. La pelle pallida e serica sotto le sue dita si stava scaldando lentamente, evidentemente alla giovane non dispiaceva quel trattamento.
Con estrema attenzione passò le dita sui tagli e gli ematomi, ricevendo in risposta solo sospiri sofferenti. “Quegli zotici non hanno idea di come si tratti una femmina di questa specie”, pensò cercando nella borsa una boccetta dell'unguento curativo che aveva acquistato al tempio: il Mastro speziale le aveva assicurato che quella mistura d'erbe avrebbe resuscitato perfino un morto, qualche effetto lo avrebbe avuto sicuramente su una creatura viva.
La donna stappò la boccetta, l'unguento era fresco sotto le sue dita e cominciò a spalmarlo sulla pelle delle giovane deimosta. "Hai una bella pelle, sai?" sussurrò, passandole l'unguento sulla coscia contusa."Pallida, morbida, sembra quasi seta.”
La ragazza la fissava attentamente mentre le massaggiava lentamente i fianchi, risalendo fino ai seni. "Sai da quanto sogno di farlo?" mormorò al suo orecchio. "Da quella sera, quando sono venuta al tuo accampamento. Ricordi?"continuò, stringendole i capezzoli e affondando il volto fra i suoi capelli. “Sono venuta nella tua capanna, e tua madre si mise di fronte a te per nasconderti, come se servisse a qualcosa.”
Improvvisamente il silenzio fu rotto dal primo inno della giornata e una raggio di sole colpì la nicchia, rifrangendosi sugli occhi di zaffiro dell'effige di Hala. La donna spostò velocemente lo sguardo dalla ragazza sotto di sé alla statua della dea, per poi riabbassarlo vergognosa e riaffondando il volto nella chioma fluente della deimosta; nemmeno quel profumo caldo e dolce aveva il potere di distoglierla da quello sguardo accusatore.
"Beata vergine Hala, perché hai dato a me questa tentazione." mormorò, lasciando andare la ragazza e allontanandosi nei vicoli, poco prima che sopraggiungesse il cambio della guardia.

~ Dialogo de caede et impudicitia intersumus

I loggioni dei cori erano nuovamente pieni degli accoliti e l'inno del secondo giorno riempiva le cappelle e le volte con i suoi toni caldi, raggiungendo perfino la piazza, nuovamente gremita di commercianti e fedeli, pronti ad assistere alle celebrazioni di quel giorno.
Ylva spiava la folla riunitasi da una delle piccole grate del parlatorio, mentre una delle novizie le spazzolava i capelli. Quelle sarebbero state delle ore molto lunghe, specie se i reali avevano intenzione di tardare come l'anno prima, costringendola a rimanere per ore inginocchiata su quei ciottoli in preghiera.
Dopo poco la testa le ricadde pesantemente in avanti, sfiorando le sottili sbarre in ferro battuto.
"Madre Ylva, non vi sentite bene?”
Ansimando pesantemente, Ylva sollevò appena lo sguardo sulla novizia. Quei due occhi verdi, che così spesso aveva scorto fissi sui pregiati stucchi della cappella, ora la fissavano preoccupati.
"Non ho riposato bene, figliola."mormorò, sollevandosi nuovamente contro lo schienale, la morbida imbottitura diede sollievo alla sua schiena stanza."Brutti sogni, presagi di sventure.”
"Forse dovreste dormire ancora qualche ora."disse la ragazza, coprendole i fluenti ricci con il velo." Penserò io a chiamarvi quando giungeranno i principi.”
Ylva sorrise, alzandosi in piedi. Fuori dal parlatorio la folla si affacciava smaniosa nei corridoi e nei cortili del monastero, perfino le aule del collegio erano traboccanti di curiosi per gli uffizi della madre. Alle volte avrebbe voluto che tutta quella gente non fosse così ossessionata dai doveri e dalle preghiere da recitare.
La donna si avvicinò alle grate, salutando con lievi cenni del capo i fedeli raccoltisi. "Siete molto gentile, ma è mio dovere attendere il loro arrivo pregando."mormorò accettando il baciamano di un vecchio in abiti eleganti.
I nobili si addossarono ancora di più alle grate per porgere doni e omaggi alla Madre, cuccioli di cane desiderosi di compiacere il padrone e di una carezza dalla mano superiore.
Ylva sorrideva, digrignando i denti. Dietro di lei la novizia sistemava le camiciole della notte nel baule, attività che ogni donna avrebbe dovuto fare nella propria intimità e non di fronte a un pubblico avido e ingordo.
“Una donna non dovrebbe nemmeno vivere legata nell'impudicizia del pubblico ludibrio.” pensò, tirando le pesanti tende di broccato ed isolandosi nuovamente da quel mondo rumoroso.
Rilasciando un sonoro sospiro, la donna si appoggiò alla parete, massaggiandosi la testa; le tempie le dolevano da impazzire e la voglia di piangere la stava sommergendo. Stava accadendo tutto troppo in fretta e i suoi voti erano ormai stretti come una morsa glaciale e infuocata.
"Posso farvi una domanda, figliola?"mormorò, guardando spaurita la ragazza.
"Certamente madre.”
"Avete mai pensato di aver preso la strada sbagliata?”
La ragazza la fissò, stralunata. "Madre...”
"Voglio dire," continuò Ylva, cominciando a camminare avanti e indietro, incurante dell'espressione di sconcerto che si andava dipingendo sul volto della novizia, "avresti potuto sposarti, tuo padre era conte e ti avrebbe dato una dote generosa, e invece sei vincolata ai tuoi voti...”
"Madre Ylva?”
"Ora potreste essere madre. Oppure avreste potuto vivere alla corte del re, come numerose vostre coetanee...”
La risata della ragazza interruppe il suo discorso.
"La Madre ha sempre voglia di scherzare." mormorò, avvicinandosi a lei. “Non preoccupatevi, la mia fede è salda e i miei voti sono sicuri, non dovete mettermi continuamente alla prova." le sussurrò in un orecchio, prima di uscire da una porticina laterale.
Mentre il piccolo uscio si chiudeva, Ylva si lasciò cadere a terra. Già, i voti di quella novizia erano saldi, ma si poteva dire lo stesso dei suoi?

~ Iniusto amori duarum mulierum intersumus

La notte era nuovamente calata e gli addetti all'illuminazione pubblica si stavano lentamente ritirando nelle proprie case. Di fronte alla Nicchia d'Est il corpo di guardia si dileguò per lasciare il campo libera alla figura di una donna; alle loro cinture tintinnava una borsa colma di monete.
La donna si chinò a scrutare la deimosta, profondamente addormentata. Aveva pagato caro per poter stare con lei un paio d'ore, ma certamente ne valeva la pena, pensò, accarezzandole dolcemente uno zigomo.
Improvvisamente la deimosta aprì gli occhi, fissandoli nei suoi. Sembrava quasi potesse vederla, sondarla fino a scoprire chi si nascondesse sotto quel cappuccio di broccato.
"Sono felice tu sia sveglia." le disse la donna, slacciando il più grosso dei collari che le cingeva il collo, un grosso anello d'oro con numerose decorazioni in giada. Il tesoriere reale aveva sempre avuto un pessimo gusto in orpelli e gioielli, ma certamente aveva un'ottima conoscenza di serrature e lucchetti, vista la resistenza di quegli arnesi.
La ragazza continuava a fissarla, mentre le dita tozze armeggiavano con i ganci degli altri due collari. Il suo sguardo misero e rassegnato le fece attorcigliare qualcosa all'altezza dello stomaco, qualcosa che non credeva si sarebbe mai più mosso. In fondo era anche colpa sua se si trovava legata in quella nicchia.
"Non ti preoccupare, prima o poi riuscirò ad allentarli." mormorò, spostandole una ciocca argentea dietro l'orecchio."E quando ci riuscirò, ce ne andremo insieme, dovranno trovare qualcun altro per questa stupida festa.”
La ragazza la continuava a fissarla mestamente; da quando aveva iniziato quelle visite aveva ricevuto solo sguardi colmi di tristezza e imploranti aiuto, sguardi che difficilmente avrebbero potuto ottenere qualcosa dalle migliaia di curiosi.
Il vento soffiava placido, portando le note di un'ocarina suonata appena oltre le mura. La donna si lasciò cadere accanto alla deimosta, cingendole i fianchi con un braccio.
"Mi sono comportata male la scorsa volta." mormorò, accarezzandole i capelli e lasciando che quelle ciocche seriche le scorressero tra le dita. "Ti devo aver fatto male. Alle volte sono troppo brusca per essere una vecchia donna.”
Il vento soffiava ancora leggero e i loro fianchi si sfioravano appena attraverso il pesante tessuto della sua veste; mai come in quel momento le risultavano odiosi i suoi alti natali e i suoi doveri.
"Non ho nemmeno voluto sapere il tuo nome, il mio è stato veramente un atto ignobile." mormorò, alzandosi. La campana del tempio suonava già i primi rintocchi e presto il cambio della guardia sarebbe giunto sul piazzale.
Aveva quasi imboccato il vicoletto che costeggiava il vecchio lazzaretto, quando una voce la raggiunse alle spalle."Aiday." disse la deimosta, alzandosi dalla sua posizione accucciata. "Il mio nome è Aiday.”
"Io sono Ylva.”
"Lo so.” ribatté veloce Aiday, portandosi i lunghi capelli dietro le spalle."La Madre del tempio, la pura e perfetta Ylva.
La donna la guardò incredula per qualche minuto, prima di voltarsi nuovamente ed affrettarsi verso il tempio. Il suono delle campane sovrastava ogni cosa e la sacerdotessa non udì mai l'ultimo sussurro della deimosta. "Fate attenzione, Madre.”

~ Somnio amoris duarum mulierum intersumus

"Se tu fossi mia, non ti legherei mai ad un idolo.”
La luna arrideva a quelle due figure dal cielo, pallida e piena come il ventre pieno di una donna, da lontano il suono di un'ocarina allietava quelle poche noti caste della città e i loro incontri.
Aiday fissò il cielo, seguendo quello che voleva fosse il lento vagare di una nube solitaria. Era ormai giunto il quarto giorno delle celebrazioni e da quella mattina diverse colombe erano state sgozzate davanti alla sua nicchia mentre i pipistrelli, fedeli servi della luna, venivano inchiodati alle imposte e sugli uscii e lei ancora non vedeva, ma sapeva. Oh, se sapeva.
"Se fossi tua mi legheresti a te." controbatté Aiday, massaggiandosi le caviglie dolenti. "Un legame è sempre un legame, non importa con chi, o che cosa, venga stipulato.”
Ylva la osservava attentamente. Nemmeno quel giorno era riuscita a sciogliere i collari. "Ma saresti mia e nessuno oserebbe toccarti." ribatté sommessamente, premendosi contro il fianco della deimosta. Visto che oramai conosceva il suo volto, non vi era più alcuna necessità del mantello e così poteva sentire il calore della sua pelle, tra i lembi della veste lasciata aperta.
Carne di femmina contro carne di femmina, religiosa e deimosta, il sommo peccato agli occhi di Hala. Ylva chiuse gli occhi, concentrandosi sul rumore del proprio respiro per escludere il turbamento di anni nei chiostri e nei monasteri.
Aiday, accanto a lei, ascoltava paziente il frinire dei grilli. "Nessuno mi toccherebbe, tranne te.”
"Sarebbe già qualcosa." sbottò Ylva, stringendosi le ginocchia. "E ti darei tutto quello che vuoi. Gioielli, sete preziose, schiavi, tutto ciò che desideri sarebbe tuo.”
La risata gelida della ragazza si sovrappose alle note cristalline dell'ocarina e Ylva si sentì rabbrividire: da tempo non udiva risate tanto prive di allegria e buoni propositi.
"Siete strana, Madre." disse la deimosta, asciugandosi le lacrime. "Offrire degli schiavi ad una schiava, quanti farebbero un errore tanto grossolano.”
La sacerdotessa si strinse maggiormente le ginocchia, nascondendovi il volto e un rossore inadatto ad una donna della sua età. Se fossero state nel tempio, e quella femmina fosse stata una semplice querelante, l'avrebbe fatta gettare nelle segrete e il giorno dopo uno dei suoi guanciali sarebbe stato rivestito di pelle pallida e vellutata. Ma quello non era il tempio, e quella non era una querelante, ma la deimosta per i riti della settimana sacra e la sua tentazione.
Ylva sorrise a questi pensieri, sbirciando tra i riccioli scuri la ragazza che la tentava inconsapevolmente. "Tu non saresti schiava, ma la mia regina.”

~ Somnio amoris duarum mulierum intersumus

L'ocarina aveva smesso di suonare da ore ormai, perfino il vento aveva smesso di soffiare, costringendo il luogo ad una quiete stagnante e soffocante come una cortina.
Aiday si premette contro il fianco di Ylva, fuggita anche quella sera dal tempio per venire da lei. Il quinto giorno delle celebrazioni era stato orrido con le grida dei cuccioli immolati ad Hala e l'odore del sangue che saturava l'aria ed i polmoni, mischiandosi con la polvere fino a toglierle il fiato.
"E' stato così brutto?” le chiese Ylva, conscia degli orrori passati in quella giornata. In risposta la deimosta strinse il braccio della sacerdotessa.
Ovviamente Ylva non poteva sapere cosa si provasse ad essere causa di morte, lei non era una della sua razza.
“Ma è della razza che brandisce il coltello.” pensò, affondando il volto nel suo collo. L'acre odore del limone e del sudore la colpì come uno schiaffo in pieno viso, risvegliandola da quella malinconia.
"Perché ridi?" chiese Ylva, vedendo la compagna della nottata portarsi una mano alla bocca.
"Nulla." rispose a fatica Aiday, annusando con forza la pelle della donna al suo fianco. "Ma pensavo che la Madre del tempio potesse permettersi qualcosa di più prezioso dell'essenza di limone.”
Ylva arrossì, passando a tormentarsi le mani. "I giardini interni sono ormai in fiore e mi sono ricordata del forte odore di limoni che vi sento in estate durante le passeggiate di meditazione." mormorò, passandosi nervosamente una mano sul collo. "Mi mancava quell'odore, ma se non ti piace...”
"No, no, va bene." la interruppe Aiday, strusciando la guancia contro quella pelle profumata. "Una volta ho mangiato un limone, con dello zucchero.”
Il suo sguardo si addolcì a quel piccolo ricordo e la presa sul braccio di Ylva si fece più salda. "L'aveva preparato una delle cuoche di corte per distribuirlo a tutti i bambini, e anch'io ne ebbi una fetta." la ragazza stette qualche minuto in silenzio, ripensando a quella scena. "In effetti, non credo avesse capito cos'ero.”
Ylva sorrise di quel piccolo, tenero frammento dell'infanzia della deimosta, e stava per rispondere, quando avvertì la lingua di questa leccarle lentamente il collo, mentre le braccia la trattenevano saldamente.
"Aiday," mormorò, cercando di liberarsi, "Non possiamo, è peccato.”
"Il vero peccato sarebbe dire di no." rispose calma la ragazza, baciandola sul lato della bocca. Ylva non aveva mai avvertito labbra estranee contro le proprie, ma ora poteva capire perché le educande ne fossero tanto eccitate al rientro nel chiostro.
“E poi, non sarà certo peggio di quello che mi hai fatto la prima sera.” aggiunse la deimosta, ridendo del rossore ricomparso sul volto della sacerdotessa.

~ Peractioni amoris et initio cladis intersumus

Quella sera, Ylva lo sapeva, il suono dell'ocarina non avrebbe accompagnato il loro incontro, forse nemmeno il vento avrebbe soffiato fra quei vicoli. In fondo, era sempre stato troppo bello per durare.
Il plotone puntò le armi, mentre l'uomo incappucciato che lo aveva condotto le si piantava a gambe larghe di fronte a loro con le mani ferme sui fianchi e un sorriso ferino stampato sul volto.
In quel momentoavrebbe voluto prendersi a pugni da sola: aveva visto un'ombra seguirla, mentre percorreva velocemente le piccole viuzze del settore commerciale, ma stupidamente l'aveva attribuita ad uno scherzo della propria immaginazione.
Distogliendo lo sguardo dal plotone di fronte a sé, strinse Aiday fra le braccia, nascondendo il volto nel suo petto. Il profumo degli oli essenziali le accarezzò i sensi mentre le dita discrete della deimosta le passavano fra i capelli.
L'uomo a capo del plotone la fissava intensamente, ghignando.
“Madre Ylva, ma che sorpresa trovarvi qui.” disse l'uomo, facendo cenno ad una delle guardie, che prontamente corse verso la caserma.
La voce baritonale la colpì come un pugno in pieno viso, togliendole il fiato. La conosceva bene quella voce, l'aveva sentita tante volte nei cortili interni mentre, nei rigidi inverni, i giovani discepoli giocavano a palle di neve.
Lentamente la sacerdotessa alzò lo sguado, sperando che i suoi sensi l'avessero ingannata, che la fatica e la tensione le avessere portato alla mente una voce amica per confortarla, purtroppo in quel momento vide una ciocca di capelli rossi, sfuggita ai bordi del cappuccio verde bosco.
“Bleddyn” sussurrò, sgranando gli occhi. “Voi... voi...”
“Fatevi forza Madre.” mormorò oscenamente Bleddyn, chinandosi sulle due donne. “Il Giudice e il santo uffizio saranno lieto di scambiare quattro chiacchere con voi.”
Senza la possibilità di rispondere, vide due soldati approssimarsi alla Nicchia e chinarsi, fino ad afferrarle saldamente le braccia. “Gettatela in cella.” ruggì Bleddyn, voltandosi poi ad indicare altri due soldati. “E voi prendete la schiava.”
“Temo dovrete modificare i vostri progetti, fratello Bleddyn.”
E a quelle parole, Ylva seppe di essere perduta. Dietro di loro si stagliava fiero il comandante della guardia cittadina Saif, seguito da oltre una trentina di uomini.
“Gettate in prigione questi due eretici e fucilate traditori.” ordinò seccamente, prima di incamminarsi verso il tempio dove i principi e il gran consiglio avrebbero deciso delle loro sorti.
Senza troppe esitazioni un piccolo gruppo di soldati circondò Ylva e Bleddyn e, una volta legati, li scortarono verso le prigioni tra due ali di folla, improvvisamente riversatasi nelle strade per le grida e i rumori di quella notte agitata.
I cittadini imprecavano e lanciavano improperi all'eretico e alla sgualdrina dei demoni, ma tutto questo non toccò Ylva come si aspettava: mentre si allontanavano dalla Nicchia, udiva chiaramente numerosi spari e le grida di Aiday alzarsi verso il cielo plumbeo.

~ Conclusioni huius tragoediae intersumus

L'inno del settimo giorno si levò alto dai loggioni dei cori, riempiendo le navate e le volte del tempio, uscendo per abbracciare nelle piazze la cagnara della folla, eccitata dalle ultime celebrazioni.
Con la morte nel cuore, Ylva si avvicinò alla piccola finestra. Nel cielo la luna, ormai perfettamente rossa, venne coperta da una pesante nube, quasi fosse vergognosa per le nuove annunciate: Aiday era stata sacrificata ad Hala, la figlia della luna, privata dell'innocenza, era finalmente tornata alla madre.
Un leggero alito di vento le accarezzò il capo e istintivamente si portò la mano dietro l'orecchio per sistemare le ciocche ribelli, trovando però il nulla; il santo uffizio le aveva raso i lunghi capelli scuri prima dell'interrogatorio.
“Be', sempre meglio di Bleddyn.” pensò, ricordando il rogo di quella mattina, giunto a lei solo come odore di belle bruciata e denso fumo nero. Il giovane curato era stato arso vivo quella mattina, poche ore prima della deflorazione della deimosta, della deflorazione di Aiday.
No, a lei era andata decisamente meglio. Certo, aveva perso il proprio posto al tempio e fra poche sarebbe partita per l'esilio, ma almeno era viva e avrebbe potuto ricostruirsi una vita. Se solo fosse riuscita a liberare Aiday...
La porta alle sue spalle si aprì improvvisamente e la novizia che fino al mattino prima le sistemava la camiciola della notte nel baule entrò.
“E' tempo che ve ne andiate.” disse la ragazza, raggiungendola. La seta della veste frusciava ad ogni passo, sottolienandone l'incedere lento e sicuro, decisamente diverso da quello del giorno precedente.
Tremando, Ylva si voltò per fronteggiare la nuova arrivata; ora i ruoli si erano invertiti, ed era lei a doverla guardare con riverenza.
“I vostri abiti sono cambiati, figliuola.” mormorò, accarezzando con dita esitanti i nuovi paramenti blu e seguendo con concentrazione il sottile ricamo ceruleo.
“La Madre” iniziò, sottolineando quell'epiteto “mi ha nominata sacerdotessa minore. Da oggi servirò al secondo altare di destra.”
La Madre, già, non era più lei a portare quel titolo. Le lacrime salirono a pungerle gli occhi; aveva lottato tanto nella vita per arrivare lì e per quella femmina aveva gettato tutto al vento come una sciocca... eppure non riusciva a pentirsi di aver sentito le labbra di Aiday sulle sue, anche se per pochi secondi.
Al ricordo dei quei momenti, Ylva sorrise. “Buon per voi.” disse, lasciando andare il paramento e raccogliendo un fagotto di panno. “Be', credo che questo sia un addio, madama.”
“Che la benevolenza di Hala sia con voi figliuola.”
Ylva scosse la testa. “Non credo di volerla, in questo momento.” mormorò, ridendo poi della faccia sconvolta della giovane sacerdotessa.
Quando finalmente uscì dal tempio, il sole stava sorgendo sulla piazza, specchiandosi nella pozza di sangue che stagnava nella Nicchia dell'Est.
 
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