Noi -Capitolo Terzo: A pugni con il mondo-, 04/06/07 Prova su Dragon Ball

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sonia31
view post Posted on 24/7/2007, 20:09




Rating: verde.
Genere: molto introspettivo e triste.
Tipo: One-Shot.
Personaggi: il protagonista principale è Vegeta, le altre comparse non sono di rilevante importanza per il succo della storia.
Spoiler: la fanfiction è ambientata dopo la morte di Cell.
Disclaimer: i personaggi, la storia da cui traggo ispirazione è di proprietà del rispettivo creatore, Akira Toriyama, che ne detiene tutti i diritti; non traggo pertanto alcun beneficio dalla pubblicazione di questa storia.
Note dell'autrice: questa One-Shot è il terzo capitolo della mia Raccolta, dedicata alla coppia Bulma/Vegeta, conclusa circa quattro mesi fa. La Fanfiction è stata rivista e corretta appositamente per il concorso in quanto non ho potuto concludere quella che stavo allestendo a tale scopo.
Il titolo “A pugni con il mondo” è quello di una canzone degli Articolo 31 tratta dall'album Italiano Medio. Ho voluto intitolare così la storia perché mi sembrava un titolo molto adatto per il contenuto.

Buona lettura!
Sonia


:.Noi.:

Capitolo Terzo:
A pugni con il mondo





"Vuoi una mano, Vegeta?"
Una voce gli si rivolse gentilmente, ma lui non aveva alcuna voglia di ascoltare.
Le parole sono futilmente inutili, come gli essere umani...
Portando una mano al labbro inferiore si asciugò il sangue che colava da una leggera contusione.
Teneva il capo chino e la schiena incurvata, atteggiamenti poco caratteriali per un fiero principe, orgoglioso e altezzoso come lui era.
Alzò gli occhi guardando truce il suo interlocutore:
"Bada agli affari tuoi..." mormorò con asprezza "Non ho bisogno del tuo aiuto..." continuò più scontroso, spuntando seccato il suo disprezzo.
Le labbra del namecciano si piegarono in un piccolo sorriso comprensivo. "D'accordo..." rispose Piccolo dopo qualche istante.
Vegeta lo guardò allontanarsi minatorio e, quando il guerriero fu abbastanza lontano, il suo volto cedette, rimanendo a fissare in uno stato di trans sotto di sé.
Le rocce, le alpi frananti, la vegetazione incolta, il terreno polveroso: i segni di una delle battaglie che la superficie di quel pianeta non aveva mai visto.
Le sopracciglia si distesero e le pupille fremerono mentre le labbra si piegarono verso il basso, e per la prima volta non erano in senso di disgusto o scherno, ma in segno di profonda amarezza, che veniva emanata da una violenta distruzione interiore.
Il suo miglior nemico e il suo unico figlio che non aveva mai voluto riconoscere, che aveva tanto ignorato e disprezzato...
Loro non ci sono più.
Sconfitti dall'essere perfetto.

Barcollò, sospeso dov'era, rendendosi conto che l'aria gli veniva meno e voltandosi prese l'unica via che il suo istinto reclamava.
Urgentemente, ti mancava quell'odore di casa?
Né una reazione violenta, né uno sfogo.
A che serviva distruggere tutto ciò che intorno vegetava silenzioso?
Una rabbia infame, più cattiva e logorante del solito, spietata, disarmante.
Bruciava sulla sua pelle come la più peggiore delle cicatrici e, sapeva, avrebbe sanguinato per sempre.
In suo corpo nerboruto era forte, una salda roccia.
Aveva sempre fatto affidamento sulla sua corazza, ma allora... perché quel giorno non serviva?
L'abbattimento aveva ormai preso parte di sé, gli provocava un senso di pentimento.
Pentimento? E che cos'è? Lo conosci?
La sua legge si era rivelata dannatamente falsa.
Il suo stupido orgoglio l'aveva frenato.
La sua presunzione l'aveva fregato.
Lui stesso si era ingannato.
"Non combatterò... mai più..."
Tutto quello per cui aveva creduto e stato fedele fino a quel momento, non era altro che una mera utopia...
Il pensare e il vivere solo per sé stesso, non l'aveva reso abbastanza forte come credeva.
Lo scudo resistenze che aveva mantenuto e rigenerato all'occorrenza, non l'aveva protetto.
Nubi scure si riunirono all'orizzonte, come una sadica giuria che complottava la fine della sua pena, che lo guardava dall'alto e giocava con la sua vita come se fosse la stupida pedina di un gioco da tavola; gli legava un'incudine al collo, che pesava e pesava... tanto da farlo precipitare nel burrone della sofferenza senza il privilegio di un sordo tonfo ad attenderlo...
O almeno così si chiamava quella strana sensazione che lo obbligava a stare a terra, senza una ragione per rialzarsi.
Se fossi stato un uomo qualunque, probabilmente avresti pianto...
Le immagini degli eventi appena consumati davanti ai suoi scuri occhi lo torturavano, si ripetevano e ghignavano maledette.
Eppure questo era da lui: doveva essere lui che in quel momento rideva della triste sorte di due frivole vite stroncate prematuramente.
La figura del giovane dai capelli lilla che crollava al suolo privo di forze si susseguiva come una pellicola nella sua mente, come lo sviluppo di un rullino eterno e ripetitivo.
Era la sua condanna.
Anche se il ragazzo venuto dal futuro sarebbe risorto grazie alle sfere del Dio Drago, quel filo della sua vita sarebbe stato per sempre macchiato dalla vergogna.
Una vergogna che nessuno aveva mai conosciuto, nessuno avrebbe saputo.
Quel corpo esanime, il corpo di suo figlio, sbattuto al suolo come una spugna vecchia; proprio così, come lui l'aveva trattato fino a quel giorno.
Anche se il giovane aveva sempre cercato di guadagnarsi l'affetto paterno, quell'amore che gli era stato negato e che avrebbe potuto almeno assaggiare, senza avere il tempo di assaporare, lui era stato così meschino da non donargli una briciola di rispetto.
Il rispetto che si meritava.
Il rispetto che tu stesso in fondo provi, orgoglioso Principe, non è vero?
L'aveva scartato, evitato, rifiutato.
Così, in un solo e misero istante, la sua vita era stata rovesciata, spianata.
“Il Principe dei Saiyan...”
Rise a quel pensiero, un leggero spiffero di voce morta in gola.
Copiose gocce di pioggia iniziarono a cadere dal cielo ormai buio.
Scivolarono piano sul suo corpo, accarezzandolo e rinfrescandolo, ma dentro lui aveva il fuoco: un fuoco impossibile da spegnere, che avrebbe arso nei meandri della sua anima in eterno e non si sarebbe fatto dimenticare, ma sarebbe stato lì, in un angolino qualunque e avrebbe sempre fatto un po' male.
Strinse convulsivo i pugni al pensiero di quella faccia pulita e genuina, che sorrideva anche nei momenti peggiori, che si portava due dita alla fronte e scompariva insieme ad uno stupido mostro che sarebbe saltato in aria da un momento all'altro.
Così è sparito quel dannato guerriero di infimo livello!
Aveva salvato la fine ad un pianeta intero, a tutti loro... a lui.
Mai si sarebbe immaginato un simile affronto...
Come poteva camminare ancora a testa alta? Come poteva definirsi ancora il grande Principe dei Saiyan, la razza guerriera più forte in tutte le galassie esistenti... Vegeta, il nome del pianeta d'origine che li aveva creati, concepiti e datogli la luce.
No, non avrebbe mai più combattuto, lui non lo meritava, non più...
Il suo rivale l'aveva umiliato, offeso, superato... e si era sacrificato...
"Kakaroth..."
Serrò i denti e corrugò la fronte in una smorfia dolorante sussurrando quel nome che ormai creava solamente un vuoto incolmabile; ed infine, la violenta voglia di esplodere.
"I-Io non ti... non ti perdonerò MAIII!"
Pareva che si diffondessero in tutto il globo terrestre quelle urla logoranti e arrabbiate.
La voce roca, il petto ansimante si alzava e si abbassava irregolare, la collera lo pervase in tal modo da non accorgersi di essersi trasformato in Super Saiyan.
Un essere dalla potenza distruttiva che fece elevare il terreno intorno a sé, che si sgretolò abbagliato da quell'aura spaventosa.
E finalmente, intravide la casa rotonda, dalla facciata gialla e allegra.
Gli stivaletti bianchi, un poco sgualciti, si poggiarono leggeri sul pavimento della grande terrazza.
La finestra era stata lasciata aperta. Con un piccolo colpo della mano l'aprì silenziosamente ed altrettanto quatto si addentrò nella grande villa.
Come era solito, l'ambiente era ordinato e pulito.
L'unico rumore che si udiva, era lo scricchiolare delle suole di gomma dell'uomo, che umide dalla pioggia lasciavano impronte ben definite al suo lento incedere.
Giunse alla camera infondo al corridoio, che per lungo tempo l'aveva ospitato, si sedette sul letto con sguardo vuoto.

Una calda goccia scivolò piano sui pendii dolci e lattei.
Si assorbì alla pelle vellutata donandogli una sensazione amara e rigurgitante, mentre la parte rifiutata concludeva la sua fragile e corta vita fra le carnose labbra della donna dai capelli azzurri.
Aveva udito quel rumore che proveniva dalla sala, ma ancora stava seduta su quel letto, incapace di rialzarsi ed andare dall'unica persona che usufruiva sempre di quell'entrata.
Una veloce telefonata l'aveva avvertita dell'esito di quel torneo tanto atteso.
Con flemma, fece perno sulle ginocchia e avanzò timorosa verso la stanza che l'uomo occupava.
L'uomo che aveva portato un turbine di sconvolgimento nella sua vita.
Il tuo errore più bello.
Vide delle impronte sul palché.
Le avrebbe riconosciute fra mille; le seguì con estrema lentezza, ad ogni passo un profondo tonfo al cuore le lasciava desiderare l'incontro con il triste principe.
Rimase sorpresa nel vedere la porta lasciata aperta, che lasciava una perfetta visuale dell'interno della stanza arredata con semplicità e all'apparenza poco vissuta.
Deglutì rumorosamente e poggiò una spalla allo stipite portando le mani al petto, giocando nervosamente con il ciondolo d'argento della collana che aveva appesa al collo.
Era seduto sul bordo del letto, i gomiti alle ginocchia, le dita incrociate.
Sguardo basso e buio, occhi vacui e fermi: pareva morto.
Prese un respiro silenzioso e con voce rotta dal pianto sibilò il suo nome.
Nulla si mosse fra quelle cupe mura.
La donna raccolse tutte le forze che aveva in corpo e piano si mosse, un passo per volta, per paura di essere rifiutata.
Ma non fu così, perché facilmente riuscì ad avvicinarsi abbastanza da sentire l'odore attrattivo che emanava.
Gli faceva quasi paura, sembrava esser stato stuprato dall'interno.
Si accasciò e si mise in ginocchio davanti a lui, riuscendo a vedere il suo viso perennemente chino.
"L-La camera gravitazionale... l'ho riparata dopo il tuo allenamento... l'avevi ridotta mal..." si fermò, tra i singhiozzi che tentava in tutti i modi di trattenere, gli sembrava assurdo pronunciare quelle parole in un momento così delicato.
Anch'essa portò lo sguardo al pavimento.
"Non mi serve più" al sentire quelle parole alzò di scatto il collo.
Era nella stessa posizione di prima, non un muscolo si era mosso sul suo viso, pensò che forse quelle parole se l'era immaginate.
"N-Non capisco... di cosa parli..?" sussurrò.
Voleva forse andarsene? Voleva abbandonarla?
Il saiyan rispose solo dopo qualche istante "Non combatterò più" fece ancora con voce bassa e ferma.
Bulma sbarrò le palpebre e tremò, come non aveva mai fatto, mille volte più spaventata di quando, nelle sue innumerevoli avventure, aveva rischiato di tirare le cuoia.
Che diavolo stava dicendo?
Meditò su che cosa lo stesse spingendo fino a quel limite, lui che aveva sempre combattuto per superare ogni suo limite, ora voleva smettere di... vivere!
Quello non era di certo il Principe dei Saiyan!
"Ma è la tua vita.." mormorò scioccata.
"Non m'interessa e ora vattene" fece l'uomo senza badarla di uno sguardo, mantenendo quel tono così vuoto e insensibile.
La donna, che stava per ribattere, venne interrotta dalla radiolina che aveva attaccata al bordo dei jeans: stava diffondendo nella stanza i vagiti di un neonato.
La prese frettolosamente e la spense per non dar fastidio al principe che per la prima volta vedeva col morale a pezzi. Si soffermò a fissare con occhi accesi il suo volto marmoreo, anche in quel momento impenetrabile.
Quando i buchi neri, che aveva al posto delle pupille, si mossero: non poté che fremere a quel spostamento omicida.
Si posarono su di lei.
Deglutì e distogliendo lo sguardo, capì le sue parole, quelle che gli aveva trasmesso con un solo sguardo e s'allontanò velocemente chiudendo la porta alle sue spalle.

Fine

 
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